Ci sentivamo un tempo schiavi della televisione, oggi forse di uno smartphone: ce lo dicevano ogni giorno a scuola, leggendo i giornali e sbraitando in famiglia. Per anni ci siamo sentiti in colpa per aver tenuto la televisione accesa in sottofondo, mentre giravamo per casa facendo altro, perché sapevamo che qualcosa entrava nella nostra testa, ci pervadeva e ci condizionava. Eppure sembrava farci compagnia, pensavamo di mantenere comunque saldo il nostro potere decisionale, senza subire il condizionamento di pubblicità, opinione pubblica e conduttori persuasivi.
Nel frattempo le ricerche sul funzionamento del cervello diventavano sempre più elaborate e abbiamo iniziato a sentir parlare dei messaggi subliminali: parole, suoni o immagini che non vengono percepiti consciamente, riescono comunque a influenzare il nostro giudizio, gli atteggiamenti e le credenze a livello inconscio. Immagini tratteggiate sullo sfondo che non sappiamo di vedere, suoni con una frequenza sotto la soglia della percezione e tutto ciò che riusciamo a ricondurre a un significato senza rendercene conto, diventa realtà per il cervello e può sfociare in un’emozione fastidiosa, insinuata e radiata.
Ci siamo sentiti attaccati nel profondo, nella nostra intimità: nessuno si permetta di toccarci l’anima, la psiche, la mente, il pensiero che desideriamo nostro e di cui speriamo ancora di essere gli unici tutori e amministratori.
I suoni, le immagini e le vibrazioni sonore eccitano i nostri organi di senso e influenzano le nostre percezioni anche quando sono sotto la soglia della consapevolezza. Il messaggio elettrochimico che i neuroni si trasmettono crea una concatenazione di informazioni che parte dall’esterno e arriva direttamente al cervello. Ma se tutte le strada portano al cervello, che percorso fanno queste informazioni in entrata? La strada non esiste già dentro di noi e la responsabilità di ciò che arriva – anche in modo subliminale – è in parte nostra.
Quando infatti esercitiamo il nostro pensiero e siamo immersi nella vita quotidiana, creiamo dei sentieri, delle tracce che anche le informazioni future potranno percorrere, andando a rinforzare e tracciare al meglio quel determinato percorso. Un messaggio subliminale trova quindi dei varchi nelle nostre abitudini e le va a consolidare, crea una via neuronale specifica e diretta alle nostre credenze più sensibili. Non sono dunque messaggi a cui siamo totalmente vulnerabili, ma diventano incontrollabili anche dalle tendenze che ogni giorno esercitiamo con i nostri pensieri.
La forza della ripetizione di un pensiero crea abitudini e automatismi, piccole fessure su cui va a insediarsi il contenuto inconsapevole di una vignetta, di un motivetto e di un’immagine pregnante.
Per massimizzare l’effetto di questo fenomeno, non si possono usare le buone maniere, il cervello non usa il bon ton: preferisce gli eccessi, la volgarità, omicidi, suicidi, violenze sessuali, catastrofi naturali e tutte quelle notizie che ormai abbiamo assorbito e registrato come “normali”. Queste notizie sono però “negative” e stressanti, pur non essendo riferite a noi in prima persona, hanno un impatto sul nostro modo di percepire il contenuto della notizia.
Quando ci immergiamo in una situazione che il cervello registra come minacciosa, reale o implicita che sia, aumenta l’attività del sistema simpatico e dell’ippocampo, che iniziano a produrre ormoni corticoidi. Ma cosa implica quest’attività? Se il nostro cervello secerne questi ormoni in abbondanza, assistiamo a un mantenimento in memoria delle informazioni registrate. Non solo, dalla memoria a breve termine in cui vengono inserite, vengono poi impresse e incise anche in quella a lungo termine e legate in maniera quasi indissolubile ai nostri ricordi. La pubblicità accattivante non rimane più soltanto una bella esperienza visiva, ma diventa parte integrante del nostro bagaglio di vita, un’emozione che ci ha emozionato e che pulsa ora dentro di noi al ritmo del cuore.
Se vogliamo additare qualcuno per l’intrusione di informazioni impercettibili, non possiamo accusare soltanto i maghi della pubblicità, ma dobbiamo anche sentirci responsabili di aver spostato l’asticella dei nostri pensieri: tramite l’interazione con gli altri abbiamo dato spazio a riflessioni che non avrebbero trovato modo di instaurarsi nel nostro cervello, neanche con la malizia di un messaggio subliminale.
Giacomo Dall’Ava
[Immagine tratta da Google Immagini]