23 maggio 2018 Giacomo Mininni

Nietzsche, gli Avengers e il nuovo titanismo

Ogni cattivo è l’eroe della propria storia“, hanno pensato i fratelli Anthony e Joe Russo nello scrivere quello che con ogni probabilità passerà alla storia come il blockbuster più redditizio di sempre, Avengers: Infinity War, e infatti, ribaltando ogni topos narrativo del genere supereroico, la vera star del nuovo film Marvel è Thanos, il Folle Titano interpretato da Josh Brolin.

Contrariamente a tanti altri “cattivi” che si sono succeduti nei diciotto film (più serie televisive) legati a un universo narrativo che spegne quest’anno dieci candeline, Thanos non è spinto da ambizione personale, dal proprio ego (nonostante tradisca un’innegabile megalomania), da sete di conquista o di dominio. Il Titano presenta una ambigua e complessa posizione etica che lo vede “sacrificare tutto”, se stesso, i propri affetti, la propria umanità, per salvare l’universo. Il nemico da affrontare, oltre agli eroi che si mettono sul suo cammino, è l’entropia cosmica: l’universo non è infinito, le risorse sono limitate, mentre la vita è una variabile incontrollabile che ha bisogno di correttivi per poter continuare a prosperare. Per questo motivo, Thanos vuole eliminare metà degli esseri viventi dell’intero cosmo, così che i sopravvissuti possano condurre una vita serena e prospera, lontani dallo spettro della sovrappopolazione, della fame, dei disastri ambientali.

Il genocidio messo in atto, insomma, sarebbe un “piccolo prezzo da pagare” per salvare un universo altrimenti destinato ad un lento e agonizzante auto-annientamento. In questo senso, Thanos stesso non può essere considerato un analogo di migliaia di altri villain da blockbuster hollywoodiano: nella sua imponenza nietzschana che supera (ignora) ogni morale per raggiungere un fine etico più alto, al cospetto del quale ogni individuo non può che essere considerato alla stregua di un numero su una tabella, il Titano incarna alcune delle paure più radicate e giustificate del nuovo millennio, e propone una soluzione mostruosa, terrificante, disumana… ma indubbiamente efficace.

La cosa che più colpisce è che, oltre ai fan del fumetto che avevano imparato ad apprezzarlo nel superbo lavoro di Jim Starling, il personaggio si è ritagliato una solida fanbase anche nella sua versione filmica. Pur presentato come un omicida e un torturatore, pur uccidendo nell’arco di un solo film una quindicina dei personaggi principali dell’universo Marvel, Thanos riesce nella titanica impresa di porsi come un martire della necessità, una vittima dell’inevitabile, non tanto un cattivo in senso stretto quanto un anti-eroe che, grazie a una volontà granitica e a una morale non rigida quanto quella dei “buoni”, ha il coraggio di fare ciò che deve essere fatto.

Al livello di sensibilità contemporanea la lettura non è affatto confortante. L’incombere inevitabile di un collasso ambientale sempre più prossimo, una sovrappopolazione fuori controllo, risorse energetiche, alimentari e idriche in esaurimento, venti di guerra alimentati da nazionalismi che nascondono una incertezza e una paura endemiche, hanno plasmato una generazione senza speranza, senza futuro, senza prospettiva. Gli stessi spettatori che hanno decretato il successo della rinascita dei supereroi al cinema ora non credono più che il mondo possa essere salvato: si può eliminare una minaccia dietro l’altra, ma sempre nell’orizzonte di una fine neanche più rimandabile. Se rimane qualche speranza è riposta ora nel cattivo, in chi può fare ciò che il buono per definizione non può fare senza perdere se stesso e senza corrompere il proprio sistema valoriale. Il kakòs sotèr (salvatore malvagio) incarnato da Thanos è l’ultima incarnazione dello übermensch di Nietzsche, un oltre-uomo che non si limita a infrangere la legge morale, ma la riscrive, la riadatta a se stesso, e ha tutto il potere di un dio per dare valore e solidità al sistema da lui stesso incarnato.

La sfida più grande per gli Avengers sopravvissuti, e soprattutto per gli sceneggiatori, nel prossimo capitolo, non sarà quella di sconfiggere fisicamente Thanos, magari resuscitando i miliardi e miliardi di vittime del suo intervento “salvifico”: questa conclusione sarebbe un mero palliativo, un ristabilire la condizione iniziale comunque votata alla fame, alla guerra, alla morte. La sfida più grande è invece dimostrare che Thanos ha torto, che la sua disperata soluzione finale non è l’unica praticabile, che esiste un’altra via pur di fronte all’oggettività di una fine magari lenta ma inarrestabile. Buona parte del pubblico ha finito col simpatizzare col Titano: sarà molto più difficile rendere loro una speranza sparita ben prima che qualcuno schioccasse le dita.

 

Giacomo Mininni

 

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