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Morgan, Non al denaro non all’amore né al cielo. (Rame)

Con la parola annichilazione la fisica indica ciò che accade quando una particella subatomica incontra la sua antiparticella – cioè una particella elementare che, rispetto ad un’altra, ha la stessa massa ma si caratterizza per numeri quantici opposti-: una totale conversione delle due masse coinvolte in energia. L’energia liberata dà vita ad altre particelle e antiparticelle affinché la somma della loro energia e quantità di moto sia esattamente uguale all’energia e alla quantità di moto delle particelle originarie.

In un’intervista a Fernanda Pivano, Fabrizio De Andrè disse che da giovane, letta l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, l’amò perché parlava di vizi e virtù.
Nel 1971 fu pubblicato l’album Non al denaro, non all’amore né al cielo, per il quale De Andrè si ispirò ai versi di Edgar Lee Masters (nel frattempo tradotti in italia da Fernanda Pivano).

È un disco che sa raccontare i vizi e le virtù di chi è morto per amore, per errore, per fame; di chi ha vomitato la vita nel cesso di un manicomio o l’ha smarrita a suon di percosse; di chi ha baciato via anche l’ultimo respiro, dopo una vita di affanni; e ora, dorme in collina.

La morte ha incontrato la poesia: la memoria si è cristallizzata. È intervenuta la musica e la stasi s’è fatta dinamica. Particella e antiparticella si sono incontrate.

Il risultato dell’annichilazione?

Nel 2005 Morgan pubblica un cover album, una reinterpretazione -filologicamente attenta e artisticamente innovativa- del lavoro di De Andrè: Non al denaro non all’amore né al cielo.

Si rallentano i tempi, si riarrangia la memoria le cui trame si fanno più fitte. La morte si riempie d’aria e di luce. Dormire in collina non è più morire: ma vivere ancora, perder la testa, perdere il fiato e la quiete e l’onore, viver ancora d’amore.

Di questo album non posso raccontarvi altro: ché sarebbe raccontarvi troppo di me. E so bene che ciascuno di noi, col primo disco narrato, ha implicitamente accettato il rischio di esporvi la propria intimità. Ma la fine che fanno i matti, i buoni, i suonatori – che talvolta sono lo stesso- ce l’hanno insegnato.

Vi bastino, lettori-ascoltatori-girovaghi, le poche coordinate che v’ho dato. Cercatevi da soli la vostra antimateria.

 Emanuele Lepore

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