Sono stata radici. Resistenti radici che sentivano di dover sostenere il mondo.
Sono stata un leone. Un forte leone capace di resistere, anche quando avrebbe voluto tanto nascondersi.
Sono stata una farfalla. Una farfalla leggera e desiderosa di appoggiarsi di fiore in fiore, per poterne assaporare la dolcezza e la delicatezza.
Le radici, però, con il passare di giorni, hanno mollato la presa, facendo precipitare l’albero che sostenevano.
Il leone si è ferito, ed ha iniziato a zoppicare. Morente, si è trascinato fino a raggiungere un luogo nascosto.
E la farfalla, con un’ala spezzata, non ha più potuto volare ed è caduta a terra.
Non sono più stata né radici, né leone, né tanto meno farfalla.
Eppure, sono stata tutti e tre nello stesso momento per troppo tempo, insensibile a quel peso che portavo dentro, ma che aveva spezzato le mie ali di farfalla e rotto quelle radici che mi ero costruita, per sopportare la pesantezza di un mondo esterno che non ero capace di decifrare. O semplicemente che rifiutavo di capire, tanto che, come per automatismo, era diventato sempre più facile riprendere le sembianze di quel leone pronto a ruggire. Cambiando identità, con la stessa facilità con cui mi adattavo al mondo esterno e alle aspettative di chi mi circondava. Rincorrendo quella perfezione e quel bisogno di essere tutto e di resistere alla fatica.
Ricordo di aver continuamente trattenuto le lacrime alla morte del nonno. Ricordo anche di averle versate nel buio della notte. Come quel giorno, quando a scuola non trovai nessuno a prendermi per mano, e ascoltai il vuoto; a quel punto mi si riaprì dentro qualcosa che già risuonava da tempo, ma che non volevo ascoltare.
Perché il leone deve essere più forte, non deve ascoltare, deve insistere, deve farcela. Soltanto tanti doveri che mi sono costruita per proteggermi dalla paura della nientificazione. Anche se tuttavia, a forza di dovere essere e di corrispondere all’immagine di chi mi circondava, è stata la trasparenza a diventare il mio codice di sopravvivenza. La mia delicata capacità di posarmi di fiore in fiore, senza nemmeno farmi vedere, senza farmi sentire.
Ancora oggi ci ricado. Cambio colore continuamente, come un camaleonte. Giallo, rosso, verde, nero, grigio. Mi mimetizzo. E talvolta, ho davvero l’impressione di riuscirci bene.
Divento trasparente agli altri, come a me stessa, così da rendermi conto che quello spazio vuoto che lascio dietro non è nemmeno percettibile allo sguardo altrui. Non esisto. Nessuno può vedermi.
A meno che, e talvolta accade, non mi lascio andare a ciò che la vita mi presenta, abbandonando la pretesa di non essere nulla. Abbandonando doveri e programmi. E, all’improvviso, senza programmare, divento qualcosa e mi materializzo. Mi muovo e sento muovermi dentro.
Si muovono le ali. Si muovono le radici. E nasce quel cucciolo di leone che riceve la vista dalla madre.
Avevo tanto freddo, anche al sole. Eppure, inizio a scaldarmi. Le mani perdono quel colore violaceo, così come le labbra.
Sento il ritmo della vita e le note che compongono il pentagramma sono le mie.
La farfalla apre le sue ali rosse e riprende a volare.
Ricostruisco radici, non per sostenere il peso di un tronco, ma per nutrirmi.
Faccio i miei primi passi, un po’ zoppicando, ma riesco a muovere quegli arti atrofizzati e freddi.
Penso sia primavera, ma non ne sono certa.
Ho bisogno che qualcuno mi guardi, che dia conferma della mia esistenza. Che mi muovo perché sono io la fonte del mio movimento; che respiro perché sono uscita dall’affanno del pianto. Che il mio battito ha ripreso il suo ritmo normale. Che ho di nuovo radici, ma le mie radici, che sono un leone perché ho trovato la mia forza, che sono leggera perché libera.
E forse è questa la mia primavera.
Sara Roggi
[immagine tratta da Google Immagini]