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Medioevo e mass media: parliamo ancora di “secoli bui”?

Un recente articolo, comparso su “L’Espresso”, a firma di Helena Janeczek, titola: Febbre da Medioevo: Ritorna in tv “Il trono di spade” con stupri, tradimenti e torture. Una saga sul passato che intercetta lo spirito dei nostri tempi: incertezza sul futuro e predominio del più forte. Da alcuni mesi, articoli come questo si ritrovano su tutti i principali quotidiani italiani (a prescindere dall’orientamento politico), in rubriche che spaziano dalla critica culturale all’attualità politica, fino al commento su fatti di cronaca. Un fenomeno trasversale, certamente variegato, ma che può essere ascritto sotto la generica categoria di un “ritorno di moda” del Medioevo. Un fenomeno peculiare, che suscita stimolanti interrogativi: quali sono le sue caratteristiche? Qual è il suo nucleo d’origine? E ancora, come la stampa italiana ne viene influenzata?

Innanzitutto, alcune precisazioni. Primo: molte delle conoscenze sedimentate nell’opinione pubblica riguardo il Medioevo sono stereotipi, generalizzazioni, verità parziali. Quando non esplicite distorsioni ideologiche e ricostruzioni fittizie. Vale la pena citare l’esempio più eclatante: il medioevo dei “secoli bui”, un’età dominata da oscurantismo, immobilismo, assenza di cultura, violenza, in cui popolazioni “barbare” e arretrate vivevano sotto il giogo della superstizione e l’autorità di una Chiesa persecutrice e corrotta. In secondo luogo, è necessario sottolineare quanto tutte queste ricostruzioni fantasiose siano ormai completamente estranee agli orientamenti di storici di professione ed esperti di medievistica. Quale percezione invece hanno del periodo medievale i “non addetti ai lavori”? Nel 1979, una storiografa italiana notava quanto, benché l’accezione negativa del termine Medioevo fosse ormai stata estirpata dalla critica storica, essa fosse ancora in voga nel linguaggio giornalistico. A distanza di quarant’anni è interessante valutare se e in che misura le cose siano cambiate, ovvero se un atteggiamento pregiudiziale verso il medioevo possa dirsi eliminato a livello di mass media e cultura divulgativa. 

Apparentemente la tendenza giornalistica a utilizzare la parola Medioevo con accezione dispregiativa può sembrare in aumento, soprattutto nell’ultimo anno e soprattutto in Italia.  Ad una più attenta analisi tuttavia, in modo particolare nell’ambito della stampa online, è presente un approccio maggiormente consapevole alla questione. È significativo il drastico calo a livello mondiale dal 2004 a oggi della digitazione sui motori di ricerca di termini quali “secoli bui” (dati Google Trend). Ad articoli d’opinione che paragonano le storture del XXI secolo a un regresso verso l’anno mille, fanno da contraltare numerose analisi e fact checking che smascherano stereotipi e pregiudizi. Tutto ciò non esclude che permanga un ampio uso del termine “medioevo” in modo distorto. Inoltre, non siamo ancora in grado di valutare quanto questa tendenza sia radicata nel linguaggio colloquiale e presso le fasce meno istruite della popolazione. 

L’aggettivo medievale viene comunque utilizzato in modo diffuso, nel senso di regresso verso l’inciviltà, per numerosi titoli “caldi” da parte della stampa non specialistica. Il sussistere stesso di questa scelta presuppone che il lettore medio condivida l’equazione fra medioevo e decadimento di ogni manifestazione dello spirito umano. Una significativa opposizione contro l’irreggimentazione del medioevo si infrange sulla complessità, sulla poliedricità di un periodo lunghissimo (fra la caduta dell’Impero Romano e la scoperta dell’America trascorrono esattamente 1.016 anni!), costruito a posteriori, in modo artificiale sulla base dei differenti indirizzi storiografici.

In conclusione, il concetto di medioevo mostra con evidenza una peculiarità, ovvero il suo essere caleidoscopico. Proprio questa sua struttura intrinseca ci pone di fronte a un rischio: derubricare a mere sottigliezze erudite le tante, variegate interpretazioni – e strumentalizzazioni – riguardanti l’età di mezzo. È una tentazione forte, in particolar modo per il lettore non specialistico. Eppure, è una tentazione a cui bisogna resistere. Rifiutare la semplificazione è infatti un antidoto potente contro la manomissione delle parole (Carofiglio). Chi impiega il paradigma medievale per stigmatizzare l’attualità, non dimostra esclusivamente ignoranza del passato, né meramente distorce un vocabolo. Tramite preconcetti “storici”, infatti, sclerotizza il presente, per generare, a sua volta, nuovi stereotipi. 

Si può ipotizzare su quale terreno germini questo fenomeno di medievalizzazione del presente. Possiamo interpretare questa operazione come un tentativo di esorcizzare le paure della contemporaneità, nell’ottica di quello “spirito dei nostri tempi” citato in apertura. Stiamo innegabilmente vivendo un’epoca di profonde trasformazioni. Come in ogni periodo storico di cambiamento, si vedono i germogli di nuovi sistemi di valori, vengono generandosi nuovi ordinamenti politici, sociali ed economici. È inevitabile che la società risponda a queste modificazioni dell’ambiente circostante, rivedendo i propri metri di giudizio. L’adattamento, più o meno consapevole, è, in alcuni casi, incentivato dal riferimento, come modello da adottare o come esempio da rifiutare, a determinati periodi storici; è il caso del medioevo, il quale negli ultimissimi anni ha subito un vero e proprio revival. Come afferma lo storico Alessandro Barbero «ogni cosa che non ci piace ci fa gridare: ritorna il Medioevo. È il sollievo che il Medioevo sia finito che ce lo fa piacere».

 

Edoardo Anziano

Nato a Firenze, studia Filosofia all’Università di Bologna. È redattore del mensile culturale Edera e collabora con la testata online LucidaMente.

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