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Martin Heidegger e l’origine dell’opera d’arte

Martin Heidegger ha sempre privilegiato momenti alternativi a quelli dell’argomentazione filosofica tradizionale, quali la meditazione sul linguaggio e sull’esperienza della verità nell’arte. Questo atteggiamento trova espressione nel saggio L’origine dell’opera d’arte, che risale agli anni Trenta ma che viene pubblicato nel 1950. Nello scritto si trova il cuore della riflessione heideggeriana sull’arte attraverso l’indagine sul nesso tra arte e verità, anche se il suo contenuto viene rigorosamente determinato dal problema dell’essere. L’essere rimane infatti la questione da pensare sia nel “primo”, che nel “secondo” Heidegger e la posizione di questo saggio è di fondamentale importanza, poiché in esso il filosofo scopre un luogo concreto in cui poter fare esperienza dell’essere in quanto tale, nonché del suo carattere epocale (svelante).

per Heidegger l’opera d’arte, che si tramanda di epoca in epoca, non è riducibile a un unico significato, ma, al contrario, si può tradurre in modi sempre diversi. Persino la totalità dei significati assunti in tempi diversi non può racchiudere il suo senso ultimo, altrimenti non avrebbe più niente da dirci. Nell’opera d’arte non vi è mai nulla di completamente chiaro: luce e oscurità, velatezza e dis-velatezza, tra loro inscindibili, sono i caratteri che la rendono vibrante e che dispongono l’uomo all’ascolto e alla meraviglia di fronte ad essa. È importante ricordare che il titolo L’origine dell’opera d’arte non deve essere inteso come l’annuncio di una ricerca per determinare ciò da cui l’opera d’arte ha origine; esso indica piuttosto che l’opera d’arte è un’origine, nella misura in cui è il mondo che essa stessa apre e illumina. Heidegger tenta dunque una considerazione alternativa rispetto all’estetica tradizionale, che interpreta fenomeni quali bellezza, poesia e arte solamente in riferimento all’uomo come soggetto, levandogli portata ontologica.

Intraprendere la ricerca dell’essenza dell’opera d’arte, seguendo le opinioni comuni accettate, conduce a quello che Heidegger nei primi paragrafi chiama “un circolo vizioso”, da cui però il filosofo non intende uscire, ritenendo coerente sostare in esso e nella contraddizione da esso evidenziata: «Dobbiamo quindi muoverci nel circolo. Ma non si tratta né di un riepilogo, né di un difetto. Nel percorrere questo cammino sta la forza del pensiero»1. Per comprendere l’essenza dell’arte, Heidegger parte allora dal concetto di “cosa”, dato che l’opinione comune considera l’opera d’arte come una cosa, dotata, in più, di valore estetico. Successivamente il filosofo passa alla nozione di mezzo, che sembrerebbe intermedia fra quella di cosa e di opera, per poi scoprire che non è la comprensione della cosa a spiegare l’opera d’arte, ma, al contrario, è la comprensione dell’opera d’arte che permette di capire il significato della cosa.

Heidegger abbandona quindi le opinioni correnti sulla cosità dell’opera d’arte, poiché è la stessa opera d’arte che rivela l’essere cosa della cosa ed è sempre in virtù di essa che si svela l’essenza del mezzo. La tesi di Heidegger è che, nello stesso momento in cui si è in presenza di un’opera d’arte, le cose cessano di funzionare e appaiono nella loro cosalità, ovvero nel loro essere cose. Possiamo affermare, a questo punto, che l’arte è il porsi in opera della verità: «È così venuto in chiaro, quasi di soppiatto, ciò che nell’opera è in opera: l’apertura dell’ente nel suo essere, il farsi evento della verità»2. Se l’arte ha dunque fondamentalmente a che fare con la verità, di conseguenza la meditazione sull’arte assume i lineamenti di una speculazione ontologica che realizza una riformulazione del problema dell’essere e dell’ente. L’arte, secondo il filosofo, è un evento che fonda la verità come accadimento, ovvero come qualcosa che si dà storicamente. A ben vedere, allora, l’opera d’arte non appartiene semplicemente a un mondo, ma lo istituisce ed è alla base della sua fondazione.

Questa fondazione o apertura, però, rappresenta soltanto uno dei due momenti, inscindibili e correlati tra loro, di quell’evento di verità che è l’opera d’arte, quello che Heidegger chiama “Mondo”. Infatti, nel suo semplice schiudersi e venire alla luce, l’opera d’arte porta con sé il suo mondo storico e il suo fondamento, ciò che chiama “Terra”. La Terra è il chiuso rispetto all’aperto del mondo, attorno al quale si dispiegano i rapporti che costituiscono l’abitare storico: «Su di essa ed in essa l’uomo storico fonda il suo abitare nel mondo»3. Il rapporto tra Mondo e Terra viene visto da Heidegger come una lotta. «Sarebbe però una banale falsificazione di questa lotta se la si intedesse come contesa e rissa»4 poiché entrambi gli elementi occorrono l’uno all’altro per potersi manifestare: il Mondo necessita del terreno su cui edificarsi, mentre la Terra, per potersi indirettamente svelare, abbisogna del Mondo.

Questa lotta tra Mondo e Terra, che si gioca nell’alternarsi di nascondimento e di svelamento, costituisce, secondo il pensatore tedesco, l’essenza della verità. Si tratta della verità intesa come non-nascondimento, «nel ripensamento della parola greca a-lètheia»5 o, secondo il termine tedesco che usa Heidegger, “Lichtung”: verità nel senso di spazio illuminato all’interno di una zona oscura. Nell’uso heideggeriano del termine “Lichtung” c’è il rimando metaforico alla radura del bosco rischiarata dai raggi del sole e alla foresta buia. Infatti Heidegger insiste non solo sulla luminosità, ma anche sull’oscurità che la circonda.

 

Umberto Anesi

 

NOTE:
1. M. Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, in Sentieri interrotti, trad. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Milano 2002, p 4
2-3-4-5. Ivi, p. 23, p. 31, p. 34, p. 36

[Photo credit unsplash.com]

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Umberto Anesi

filosofia, paesaggio, ermeneutica

Laurea specialistica in Filosofia a Padova e magistrale in Sociologia a Trento, ho acquisito conoscenze e maturato esperienze nell’organizzazione e nella gestione di eventi culturali e di attività formative. Sviluppo e coordino progetti educativi e percorsi di formazione nell’ambito del governo del territorio e del paesaggio. Vivo e lavoro a Trento. Tra i principali campi di […]

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