23 dicembre 2014 lachiavedisophia

L’isola

L’isola campeggia sulla lavagna. Un contorno, segnato col gesso, a racchiudere un ampio spazio vuoto. Tutt’intorno, mare, velato d’azzurro; e cielo su onde leggere e nient’altro. La fascinazione che certe immagini sono in grado di suscitare nell’animo umano è potente; paragonabile, forse, allo stato di rapimento che coglie il topo nell’attimo di paura, quando, trovandosi faccia a faccia col predatore, gatto o gufo che sia, smette di sapere che fare e si ferma, pietrificato.

L’isola è una figura frastagliata tracciata su una mappa: attrae e spaventa l’idea di un paradiso dal quale non si può fuggire in nessun modo. Un paradiso che si può solo contribuire a rovinare, più e più volte, fino a completo disfacimento. Poche cose discendono l’immaginario con la velocità di un’isola deserta (forse tigri, cavalli, vulcani e poco altro vantano effetti così dirompenti).

Scrive Aldous Huxley, in uno dei suoi romanzi più apprezzati L’isola (Island, 1962): “Siamo vittime della stessa pestilenza del Ventesimo secolo. No, questa volta non si tratta della Morte Nera; ma della Vita Grigia”. Ebbene: Huxley, che quasi certamente non aveva in mente i bambini del suo tempo mentre formulava quel funesto ammonimento, ci spinge a considerare il valore educativo che l’isola potrebbe avere oggigiorno, quale argine filosofico alla malinconia, al tedio inarrestabile che affligge le presenti generazioni. Grigiore di cui quotidianamente avvertiamo la presenza, vivendo in prima persona la scuola a stretto contatto con bambini, insegnanti, genitori.

L’isola è un laboratorio semplice. Si traccia un contorno chiuso alla lavagna e lo si circonda d’azzurro. Ai bambini si danno poche indicazioni: soprattutto, si spiega cos’è possibile dare per scontato nell’affrontare l’esercizio. Trattandosi di un atollo, si dirà, saremo giustificati ad assumere la presenza di acqua tutt’attorno, e di pesci, e potremo senza troppa difficoltà aggiungervi il Sole, la Luna e le Stelle a scandire la ciclicità di quello strano sistema isolato. In ultimo, ci sarà concesso d’individuare un uomo, capitato lì non si sa come, né da quanto tempo, né con quali intenzioni. Un uomo che giorno dopo giorno, dopo giorno, dopo giorno, svetti come un faro in attesa di qualcosa di nuovo da accogliere e abbracciare.

Un individuo, come scrive Conrad, che «non poteva neanche immaginare che il valore morale di qualche suo atto potesse interferire con la natura stessa delle cose, potesse attenuare la luce del sole, eliminare il profumo dei fiori…». Eppure è così che andò ed è così che va sempre, ogni volta che muoviamo un passo, solleviamo la testa, parliamo con qualcuno o prendiamo delle decisioni. “Avventate idiozie” le chiama Conrad, quelle colpe che si potevano evitare, quegli sbagli frutto di un pensiero indomito, irrazionale. Gli sbagli che fanno tutti e che si riescono a evitare solamente quando si è ben sviluppata la capacità di affrontare mentalmente le conseguenze delle conseguenze, delle conseguenze, delle conseguenze… e così via, fino a quando l’occhio distingue solo il pulviscolo. E si sa quanto sia difficile risalire alle cause di un granello di polvere, specie se disperso tra miliardi di altri granelli identici.

«In che modo l’uomo potrà riuscire a vedersi così come l’ha formato la natura, attraverso tutti i cambiamenti che il susseguirsi dei tempi e delle cose ha dovuto produrre nella sua costituzione originaria, e districare ciò che scaturisce dalla sua stessa essenza da ciò che le circostanze e i suoi progressi hanno aggiunto o modificato del suo stato primitivo?», si chiede Rousseau. Ebbene, non stiamo parlando che del compito, difficile come pochi, che attende proprio il nostro protagonista sull’isola: conoscere per sapere cosa fare. Conoscere e, magari, riuscire a conoscersi; ma questo solo in un secondo momento, solo se, come dire, “avanza tempo”. Capire gli uomini e le loro azioni per avere un’idea di ciò che è stato, di ciò che è, ma soprattutto di ciò che ancora lo aspetta. Parafrasando Rousseau, potremmo chiederci a tal proposito: in che modo un insegnante potrà conoscere l’origine dei problemi della propria classe, se non comincerà conoscendo i bambini stessi che la compongono e che, giorno dopo giorno, contribuiscono a indirizzarne l’umore? Già, conoscendoli. Parlando con loro, dunque, non solamente insegnando. Chiedendo loro consiglio, ascoltando cos’hanno da dire, scoprendo quali pensieri li impegnano in ragionamenti il più delle volte così complicati.

Non occorre costringere un bambino sulla strada del mondo degli adulti, insomma, né tantomeno sulla strada della filosofia, o peggio ancora della saggezza, per fare di lui un uomo. Non sarà certo una lezione, un insegnamento e neppure una singola esperienza, per quanto formativa, che lo trasformerà in una persona matura. Il bambino è ciò che è nel tempo intenso che vive. Tempo durante il quale egli cerca, lo si vede immediatamente, di afferrare il maggior numero di ragguagli dall’esperienza; informazioni che solitamente utilizza per rispondere a quesiti che spesso continuano ad assillarlo anche da adulto. Fino a quando, alle medesime domande, gli sarà forse dato di rispondere, ma con meno speranza, curiosità e immaginazione.

«Non è impresa da poco separare ciò che vi è di originario da ciò che vi è di artificiale nella natura reale dell’uomo», scrive Rousseau. Così come non è facile, per il maestro, risalire al pensiero del bambino una volta che questo abbia incontrato l’educazione, si sia mescolato a quello dei compagni di scuola e abbia affrontato le prime difficili prove della vita. Certo è in quei luoghi e in quelle occasioni che esso si forma, cresce e acquista nuovi mezzi espressivi, ma è lì che talvolta “muore”, serrandosi nelle routine o in integralismi di varia natura. È al pensiero originario del bambino che si dovrebbe rivolgere la filosofia coi bambini, al pensiero libero dalle costrizioni del “le cose stanno così e così e basta“, al pensiero che rincorre se stesso nel fitto sottobosco dell’immaginazione. L’isola non è che l’ennesimo pretesto scelto per far emergere un pensiero, per richiamarlo allo scoperto, per tendergli un benevolo agguato. Come quando, nel 1889, in Danimarca, i primi Storni furono catturati e inanellati per motivi di studio e ricerca, oggi il nostro team di ricerca tenta di afferrare i pensieri dei bambini e le loro intuizioni per farne una storia che sia la loro e non la nostra, per liberarli dalla morsa imposta loro da una crescita controllata.

Carlo Maria Cirino

[Immagini tratte da Google Immagini ]
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