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L’essenza della nazione nella contemporaneità

La contemporaneità. Un’epoca relativamente semplice. Un’epoca che usa gli specchi sociali, la credenza più ignota ed il miglior Napoleone sul campo per manifestarsi sulla terra. La potenza di una nazione, oggi, è ben rappresentata dal mercato e della finanza: perché prendersi la briga di un travaglio, quando si può rendere un po’ più “Comune” ogni diversità?!

L’essenza della nazione sfuma per mezzo della materia: l’immagine, il make-up e gli stereotipi sono le leve che azionano la produzione post-idealistica e post-moderna di uomini del futuro. L’equilibrio dell’economia sollazza e decanta la classe politica; tutto il corpo dirigenziale si rende amabile, sempre relativo e sempre meno universale.

Il contrappeso alla spersonalizzazione soggettiva è un livellamento oggettivo: la realtà muta così velocemente rendendosi invisibile al soggetto, svuotandolo di ogni virtù elitaria, livellandolo al suo prossimo. Il soggetto, forzato o corrotto dai suoi bisogni sociali e materiali, muterà per spirito d’adattamento. Ogni tensione sociale all’interno del tessuto post-statale, viene consacrata ad una guerra: il Bene fornisce aiuti umanitari, il Male bombe e pugnali.

Ah l’umanità di oggi! Senza pudore né morale, né filosofia; realtà e rappresentazione concertano con le belle parole che abbiamo in bocca. Il grasso cola da ogni immagine dell’uomo: la bellezza è tangibile; riconosciamo in essa sia tragicità che comicità.

Grasso che cola dai nostri occhi e dai nostri sogni ad occhi aperti. Il grasso della contemporaneità non sta sulla brillantina sulla giacca, né in un colpo di tosse, né nell’improvvisazione; la parola d’ordine è “niente emotività”: ogni opportunità che si presenta va studiata, calibrata e dissolta.

Il fallimento è bandito dalla contemporaneità, non vi è spazio per i sogni e tutto deve compiersi nell’immediato. In questa epoca tutto è sia Bene che Male e i “Perché” non si esprimono ma si confutano ed il tuo problema non sarà mai il mio fintanto ho legna da ardere. Il mondo non è più manicomio, ma ospedale.

Salvatore Musumarra

[Immagini tratte da Google Immagini]

 

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