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L’amica geniale tra soggettività e femminismo

A otto anni dalla pubblicazione dell’ultimo romanzo della tetralogia de L’amica geniale, la sua autrice Elena Ferrante resta un totale mistero. Nella lettura dei suoi romanzi ci consoliamo nell’immaginarla coincidere con la sua protagonista e voce narrante, Elena Greco, e scivoliamo nelle vicende e soprattutto nelle soggettività straordinariamente dipinte dei due lead character: Lenù (Elena Greco appunto), e Lila (al secolo Raffaella Cerullo), personaggio narrato e spesso lontano ma sempre vivo nelle pagine dei quattro volumi. Due storie personali che si aprono a mai banali riflessioni universali.

A partire proprio dal rapporto complesso tra le due amiche geniali, nato in un rione degradato e violento di Napoli negli anni Cinquanta. Il racconto nella tetralogia è estremamente introspettivo e non si riduce mai a forme edulcorate o stereotipate nel descrivere atti e pensieri che disegnano il percorso di vita femminile: né nei confronti del sesso, né in temi come matrimonio e maternità, e nemmeno nella complessa relazione tra amiche, una sorellanza e un affetto smisurati ma costellati anche da invidie, gelosie e competizione. Fin da bambina Lenù vive da subalterna di Lila e decide di collocarsi sulla sua scia, riconoscendole a pelle quella geniale libertà e indipendenza rispetto al violento ordine costituito che le circonda e che è loro imposto. Un caos nel quale però Lenù, diversamente da Lila, non sa nuotare, e dal quale infatti si sottrae grazie ai meriti scolastici che la portano lontano dal rione e della violenza, lontano dall’ignoranza e dalla parlata dialettale, lontano da quel rapporto inevitabilmente subalterno della donna all’uomo, ma anche da quella soggettività nuova e complessa incarnata da Lila. Salvo ritrovarsi adulta a Firenze, sposata con un docente universitario di ottima famiglia, due figlie al seguito, un libro pubblicato da un editore milanese, ma anche una vita domestica dedicata esclusivamente alla casa e alle bambine e una vita intellettuale tarpata dalle incombenze e segnata fin dalle origini dal desiderio di compiacimento maschile.

Sono i movimenti femministi del ’68 – ben descritti nel terzo volume de L’amica geniale – a risvegliare in Lenù questa consapevolezza, facendo germogliare in lei l’idea dei «maschi che fabbricano le femmine». Il dito è puntato su un’educazione millenaria tutta maschile che plasma e ingabbia nel suo rigore la soggettività femminile: temi che fanno eco (dichiarato e velato) ad autrici come Irigaray, Cavarero, Lanza, Muraro. Un’accusa violenta e a 360°: «Sputare su Hegel. Sputare sulla cultura degli uomini, sputare su Marx, Lenin e Engels. E sul materialismo storico. E su Freud. E sulla psicoanalisi e l’invidia del pene. E sul matrimonio, sulla famiglia […] e sulla trappola dell’uguaglianza. E su tutte le manifestazioni della cultura patriarcale. E su tutte le sue forme organizzative. Opporsi alla dispersione delle intelligenze femminili. Deculturalizzarsi. Disacculturarsi a partire dalla maternità, non dare figli a nessuno. Sbarazzarsi della dialettica servo-padrone. Strapparsi dal cervello l’inferiorità, restituirsi a sé stesse. Non avere antitesi. Muoversi su un altro piano in nome della propria differenza»1. Lenù sente finalmente di doversi liberare da quei «patti segreti» ai quali era scesa fin da ragazzina per plasmarsi all’ordine maschile del mondo, e di doversi riformare: dover «disimparare» per «capire meglio cos’ero, indagare sulla mia natura di femmina»2. Filosoficamente Ferrante rimanda dunque al pensiero della differenza sviluppato proprio a partire da quegli anni.

Questa rinuncia all’ordine maschile fa tornare Lenù a Lila, che pur non essendosi mai allontanata di un passo dal rione – manifestazione privilegiata di quella cultura da cui fuggire – sembra totalmente svincolata da ogni visione di mondo globale, paternalistica e progressista. Lila è il personaggio imprevedibile per eccellenza proprio perché capace di sfuggire a ogni ordine precostruito e anche noi lettori, come Lenù, l’amiamo e la odiamo per questo. Anche nel 2022, quando ogni rivendicazione di individualità femminile, ogni resistenza a plasmare la quotidianità in chiave patriarcale dovrebbe essere vecchia storia… ma ancora non lo è. Lo chiarisce la stessa Ferrante in un articolo pubblicato sul Guardian: «Ancora oggi, dopo un secolo di femminismo, non possiamo ancora pienamente essere noi stesse. I nostri difetti, crimini, virtù, piaceri, il nostro stesso linguaggio sono ubbidientemente iscritti nelle gerarchie maschili, puniti o apprezzati secondo un codice che non ci appartiene davvero e che quindi ci logora»3.

Questo lo sfondo della tetralogia de L’amica geniale, nella quale accompagniamo la crescita individuale di Lenù e anche noi come lei, attraverso Lila, ci mettiamo in discussione: chi siamo? Chi vogliamo essere? Come vogliamo comportarci? Quale visione di mondo ci è davvero nostra? Ma non solo: abbracciamo anche di noi i nostri lati più oscuri e facciamo pace con noi stesse, con le nostre inclinazioni e i nostri desideri, i nostri pensieri più bui. Pretendiamo una vita nostra.

 

 

NOTE:
1 E. Ferrante, Storia di chi fugge e di chi resta, E/O Edizioni, Roma 2013, p. 254
2 Ivi p. 256
3 Leggi l’articolo: https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2018/mar/17/elena-ferrante-even-after-century-of-feminism-cant-be-ourselves

[Immagine di copertina: le protagoniste della serie tv L’amica geniale. Fonte: RaiPlay]

Giorgia Favero

plant lover, ambientalista, perennemente insoddisfatta

Vivo in provincia di Treviso insieme alle mie bellissime piante e mi nutro quotidianamente di ecologia, disillusioni e musical. Sono una pubblicista iscritta all’albo dei giornalisti del Veneto, lavoro nell’ambito dell’editoria e della comunicazione digitale tra social media management e ufficio stampa. Mi sono formata al Politecnico di Milano e all’Università Ca’ Foscari Venezia in […]

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