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La Storia come una linea

Tra le caratteristiche più evidenti del pensiero occidentale vi è la tendenza a concepire la Storia come una linea retta, una freccia diretta verso lo sviluppo o verso la decadenza. Nell’Ottocento i popoli giudicati inferiori venivano chiamati “senza storia”. Oggi invece si discute se il progresso, che sia tecnologico, economico o sociale, possa continuare all’infinito o sia destinato prima o poi a calare. È un’idea derivata dalla Bibbia, ma la grande diffusione di questa idea è dovuta in gran parte ad una figura il cui pensiero ha influenzato profondamente il pensiero occidentale, e non solo nell’ambito religioso.

Stiamo parlando di Sant’Agostino, nato nel 354 a Tagaste, nell’odierna Algeria, e morto nella vicina Ippona nel 430. Vescovo d’Ippona, Aurelio Agostino fu il maggiore tra i padri della Chiesa e l’ultimo grande scrittore dell’antichità latina: a lui seguiranno poche grandi figure, si pensi a Boezio, prima di un lungo periodo d’inerzia culturale che durerà sino alla metà del Medioevo, con la nascita della filosofia Scolastica.

Qui ci occuperemo di Agostino solo di un aspetto tra i tanti: come, in un’epoca densa di avvenimenti storici, egli scrisse il libro che influenzò in maniera decisiva la concezione occidentale della Storia.

Il sacco di Roma del 410 ad opera dei Visigoti aveva avuto un’eco sconvolgente: era da ottocento anni che l’Urbe non veniva saccheggiata, e la disperazione dilagò tra i cittadini dell’impero. I pagani videro nel disastro la naturale conseguenza dell’adesione al cristianesimo a scapito di quella religione tradizionale che aveva reso grande l’impero. È per rispondere a queste accuse che Agostino iniziò a scrivere la sua fatica maggiore: La città di Dio. Nell’opera la Storia è divisa in sei ere: l’ultima, quella in cui viviamo, va dalla venuta di Cristo fino al suo ritorno ed alla fine del mondo. È una visione derivata dalla Bibbia e quindi sul popolo d’Israele. Roma vi appare solo come una Babilonia d’Occidente: da un lato strumento della

Provvidenza per costruire un impero che riunisse le genti, dall’altro una città empia e pagana funestata più volte dalla collera di Dio prima che si diffondesse il cristianesimo. Questo però è forse l’aspetto meno interessante de La città di Dio, la cui importanza va ben oltre la semplice apologia.

Agostino infatti era un pensatore con una sensibilità unica per l’epoca verso l’introspezione: a ciò è dovuta la fortuna del suo primo capolavoro, le Confessioni, che qui dovremo trascurare. Ne La città di Dio invece Agostino inizia trattando l’animo dell’uomo singolo e da lì giunge a parlare di tutti gli uomini. Così come l’individuo singolo deve decidere se vivere secondo la carne o secondo lo spirito, così la storia dell’umanità è una lotta tra la città terrena, regno del diavolo, e la città celeste, regno di Dio. Sia la vita dell’uomo sia la storia di tutti gli uomini sono un’eterna lotta tra l’amore per se stessi e l’amore per Dio, tra il desiderio di sottomettere gli altri e la volontà di sottomettersi a Dio. All’inizio vi è solo il mondo terreno, che in quanto tale è malvagio: in seguito l’uomo può redimersi dal peccato e l’umanità può conoscere la parola di Dio, accedendo così al mondo celeste. Nessuna delle due città ha mai la supremazia sull’altra, e così sarà fino all’apocalisse, quando Dio giudicherà i beati ed i peccatori ed il regno divino sarà compiuto.

Le due città di cui parla Agostino sono da intendersi in senso mistico, ma molti lettori interpretarono la dottrina delle due città identificando i doveri dei principi della Terra (che fino alla rivoluzione francese regneranno sempre “per grazia di Dio”) come doveri verso l’Altissimo: da qui la necessità per l’uomo d’imitare il regno di Dio. Nell’alto medioevo quest’aspirazione al regno celeste era un incentivo alla vita monastica ed al rifiuto del mondo terreno. Nel IX secolo il progetto imperiale di Carlo Magno, poi rivelatosi effimero, sarà salutato come un primo passo per la creazione del regno di Dio in Terra. Lo stesso accadrà un secolo dopo con gli imperatori Ottoniani. Si rifaceva ad Agostino anche chi, al contrario, vedeva il potere imperiale come una minaccia all’autorità papale: costoro vedevano lo Stato dei re come la città terrena del peccato e la Chiesa come la città celeste di Dio. È bene ricordare che la mentalità medievale salutava con sospetto ogni novità, e che le aspirazioni dei Sacri Romani Imperatori erano bene accolte solo in quanto ricostruzione dell’impero di Roma antica. Ogni cambiamento ammissibile era quello che si rifaceva al passato: la linea della storia era una linea discendente, una decadenza dal paradiso terrestre al giorno del giudizio.

Come già accennato, è proprio la concezione lineare della storia la grande novità introdotta ne La città di Dio. Agostino per primo elaborò compiutamente la visione cristiana del mondo: la Storia era concepita come una linea, opponendosi ai filosofi Greci per cui la storia è un circolo in cui l’accadere umano e naturale si ripetono periodicamente. Per Agostino c’è un’unica Storia di tutta l’umanità, una linea dotata di direzione, significato e scopo subordinata ad un disegno divino complessivo.

L’idea di una Storia lineare, con la Provvidenza come motore e principio unificatore, divenne predominante in tutto il mondo cristiano. Anche in ambito laico, senza implicare la presenza di Dio, ogni visione lineare della storia è ancora oggi in qualche modo debitrice delle idee di Agostino. Il pensiero moderno ereditò anch’esso questa visione: si pensi ai grandi filosofi che elaborarono grandi sistemi in cui lo Spirito, le Nazioni o le Classi fungono da principi unificatori di una Storia che punta verso una direzione precisa.

Con Sant’Agostino il pensiero cristiano giunse alla maturità. Negli ultimi anni di vita, Agostino fu impegnato nel dirimere la controversia con gli eretici ariani e a tentare di placare la rivolta del conte Bonifacio contro l’imperatrice Galla Placidia, per risparmiare ulteriori sofferenze alla gente d’Africa. Quando Bonifacio si riconciliò con l’imperatrice e si trasferì in Italia (dove la guerra civile riprese poco dopo), lasciò in Africa i Vandali che aveva chiamato in suo aiuto dalla Spagna. I Vandali ne approfittarono per conquistare l’intera provincia d’Africa e creare un loro regno, e Agostino morirà di malattia durante l’assedio d’Ippona.

I pochi filosofi cristiani che seguirono nei secoli successivi saranno grandi debitori del pensiero agostiniano. Con la ripresa del fervore culturale il pensiero di Agostino non avrà più la centralità che aveva avuto in passato, ma non cessò mai d’influenzare la teologia come la filosofia laica almeno fino all’Ottocento.

Bibliografia:

Protagonisti e testi della filosofia, N. Abbagnano, S. Fornero. Paravia, 2000
Monaci e popolo nell’Europa Medievale, L. Milis. Einaudi, 2003

Umberto Mistruzzi

[Immagini tratte da Google Immagini]

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