23 novembre 2016 Gianluca Venturini

La saga di Harry Potter come “meditatio mortis”

L’uscita quasi contemporanea del libro Harry Potter e la maledizione dell’erede e del film Animali fantastici e dove trovarli può costituire un’occasione per andare a recuperare i sette volumi che compongono la saga di Harry Potter e reimmergersi nella loro lettura. Molti dettagli che magari quando eravamo più giovani avevamo tralasciato o ci erano semplicemente sfuggiti potrebbero, ora che siamo più grandi, saltare subito all’occhio e gettare nuova luce sulla vicenda che ha accompagnato e reso ‘magica’ l’infanzia e l’adolescenza di tutti noi.

Può essere d’aiuto, in questa impresa di riscoperta, la lettura di qualche bel libro di appro­fon­di­men­to, come ad esempio Filosofando con Harry Potter, di Laura Anna Macor. Il volume è di grande interesse perché capovolge con decisione il ‘pregiudizio’ per cui J.K. Rowling non avrebbe fatto altro, nella sua storia fantasy, che riproporre per l’ennesima volta una variazione sul classico tema dell’eterna lotta tra il bene e il male. Macor riesce infatti a dimostrare che, sebbene tale conflitto giochi senza dubbio un ruolo importante nella saga, il vero nucleo narrativo di quest’ul­tima non consiste tanto nella ‘scontata’ contrapposizione tra i ‘buoni’ e i ‘cattivi’, ma in una battaglia ben più decisiva, che impegna l’uomo fin dalla notte dei tempi: quella con la morte.

In altre parole, secondo la studiosa, se si leggono i libri della Rowling con occhio attento, appare che il centro del discorso da essi condotto è costituito innanzitutto dal fatto che tutti i personaggi, ‘puri di cuore’ o i ‘malvagi’ che siano, sono chiamati a prendere posizione nei confronti della morte. Non bisogna dunque farsi ingannare dal fatto che il contrasto tra personaggi positivi e negativi sia posto in primissimo piano: esso, per quanto decisivo, è in qualche modo un fenomeno ‘di superficie’ che richiede, per essere adeguatamente compreso, di essere letto alla luce di un significato più profondo, che costituisce il ‘sottosuolo’ della saga.

Certo, ricorda la studiosa, per quanto nella storia di Harry Potter ci siano «molti temi secondari, peraltro fortemente attuali, come la discriminazione su base etnico-razziale, l’emancipazione di categorie socialmente sfruttate, la lotta al pregiudizio, […] questo però non toglie che il perno su cui ruota tutta la storia sia, con le parole della stessa Rowling, il ‘tentativo di trovare un senso alla morte’». A ben vedere, quindi, i sette libri di Harry Potter conterrebbero «una gigantesca, avvincente e riuscitissima meditazione sulla morte», che non avrebbe «niente da invidiare al Fedone platonico o ai virtuosismi teoretici di Essere e tempo». Nella storia del mago più famoso di sempre ci sarebbe dunque ben di più di quanto appare a un primo sguardo.

Che la morte sia «il vero interlocutore dei personaggi principali della storia» e il meccanismo che «determina in misura decisiva l’evol­ver­si della vicenda» appare chiaro se si pensa ai due personaggi chiave della saga: Harry Potter e Voldemort. Come tutti sanno, la storia comincia proprio perché Harry si salva ‘miracolosamente’ da un incantesimo mortale scagliato contro di lui da Voldemort, e prosegue descrivendo il modo in cui il giovane mago riesce sempre, durante ogni anno trascorso a Hogwarts e in generale all’interno della comunità magica, a ostacolare i piani del Signore Oscuro, evitando nel contempo di essere ucciso da lui.

Per quanto riguarda poi Voldemort, è indicativo il fatto che il suo vero nemico, in effetti, non sia né Harry Potter, né Silente, né gli Auror, ma proprio la Morte, che costituisce una vera e propria «ossessione» per Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. È infatti proprio il terrore per il proprio decesso (oltre che il desiderio di ottenere una fama imperitura e un posto di rilievo nella storia della magia) a indurre Voldemort, sin da quando è un giovane studente, a informarsi sulle modalità di creazione e di funzionamento degli ‘Horcrux’, dei particolari manufatti magici, creabili solo mediante omicidio, che consentono a frammenti della propria anima di sopravvivere anche se il proprio corpo viene distrutto.

Secondo Laura Anna Macor, ciò che i ‘cattivi’ del mondo di Harry Potter e in particolare Voldemort non sembrano capire è che esiste qualcosa di peggiore della morte: la perdita della propria umanità o della propria ‘anima’. Peggio della morte, per i ‘buoni’, è ad esempio tradire i propri amici o essere responsabili della loro morte (come Peter Minus), o commettere turpi azioni per restare in vita a ogni costo (come fa Voldemort); ma peggio della morte è anche «la condizione di chi sia stato spogliato dalla sua anima dal Bacio dei Dissennatori» (come accade a Barty Crouch Junior), o «la sorte di Frank e Alice Paciock», i genitori di Neville, «torturati fino alla pazzia da un gruppo di Mangiamorte».

Se dunque i membri dell’Ordine della Fenice sono convinti che vi sia «un ordine di ragioni superiore al mero impulso alla sopravvivenza, alla richiesta biologica di salvaguardia personale», e che pertanto non sia negabile «la priorità di dignità e giustizia rispetto al mantenimento dell’esi­sten­za a tutti i costi», i Maghi Oscuri sono invece persuasi che «la morte [sia] il peggiore dei mali, di fronte al quale qualsiasi alternativa diventa legittima». Lo scontro tra queste due visioni del mondo è riassunta nello scontro tra Voldemort e Silente che ha luogo nel Ministero della Magia:

“Niente è peggio della morte, Silente!”, ringhiò Voldemort.
“Ti sbagli”, replicò Silente. […] “In verità, l’incapacità di capire che esistono cose assai peggiori della morte è sempre stata la tua più grande debolezza”.

Ciò che Voldemort non vede è che la morte, propria o altrui, per quanto sia innegabilmente un fatto drammatico e tragico, può essere ‘accettata’, e persino essere foriera di eventi ‘positivi’ di maturazione e cambiamento. Il trauma derivante dalla visione della morte altrui può ad esempio essere un viatico per una «conversione integrale» della persona e per un «riassestamento dei suoi punti cardinali»; si pensi ad esempio a Piton, che, dopo la morte dell’amata Lily, deciderà di tradire Voldemort e passare dalla parte dell’Ordine della Fenice. Ma si pensi anche al fatto che morire può essere anche un modo per proteggere chi amiamo: sarà proprio il sacrificio di Lily Evans, la madre di Harry, a formare uno scudo magico intorno al figlio neonato e a permettergli di sopravvivere alla più potente delle Maledizioni senza perdono e quindi, a lungo termine, a consentirgli di sconfiggere Voldemort. Lily accetta la morte per permettere al proprio figlio di vivere e quindi per far sì che il Male abbia termine.

Se si vedono le cose da questo punto di vista, si può capire che «il vero padrone della Morte […] non cerca di sfuggirle. Accetta di dover morire e comprende che vi sono cose assai peggiori nel mondo dei vivi che morire». Ciò che la saga ci insegna è che solo mediante la «coraggiosa accettazione e [il] riconoscimento del limite dell’umano, la cui mortalità non necessariamente implica un difetto», potremo congedarci da questa vita andando incontro alla morte a testa alta, «da pari a pari», salutandola al suo arrivo «come [se fosse] una vecchia amica». «In fin dei conti», dice Silente, «per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura».

 

Gianluca Venturini

 

BIBLIOGRAFIA
L.A. Macor, Filosofando con Harry Potter. Corpo a corpo con la morte, Mimesis, Milano-Udine 2011.

[Immagine tratta dal film Harry Potter e i doni della morte – pt. II]

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