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Metafisica dei soprammobili

Quante volte, da bambina, ho dovuto sopportare le richieste di mia madre implorante di aiutarla a spolverare casa. Non sopportavo farlo e probabilmente cercavo mille scuse pur di evadere da quella noiosa e scocciante attività. Avrei voluto far sparire tutti i centrini, già démodé negli anni Novanta e dei quali mai azzeccavo il giusto verso; e avrei voluto restituire ai proprietari le inutili bomboniere che guai a farne cadere o rovinarne una!

Eppure, a distanza di anni, eccomi a mia volta a collezionare (e addirittura a costruire home-made) altrettanti soprammobili inutili. Laddove da bambina non vedevo altro che scatoline devote alla polvere senza ragion d’essere se non quella di disturbare la quiete del mio giovedì pomeriggio (giorno appunto delle pulizie settimanali in casa dei miei e, pensate, invariato tutt’ora), ad oggi quel genere di cianfrusaglie contribuisce a far sì che io possa chiamare casa lo spazio che mi trovo ad abitare.

Metafisica dei soprammobili, insomma. Il che consiste nell’andare oltre la loro apparente inutilità, e oltre la loro funzione estetica e di arredamento, per ricordarne o attribuirne ex novo un significato più profondo. Ogni oggetto corrisponde infatti al ricordo di una persona o di un particolare momento del nostro passato. È cosi che un vasetto di vetro decorato corre veloce agli anni delle elementari, una tazza ricorda la gita scolastica in Inghilterra e un contenitore di latta conserva i sottobicchieri di alcune serate speciali. Ogni soprammobile trasmette sensazioni per lo più positive, racchiude il nostro percorso e di conseguenza ci permette di affrontare con il giusto piede anche il presente.

Che siate accumulatori seriali o minimalisti, vi lancerei una sfida, anzi due. In primis sarei curiosa di sapere quale sia l’oggetto più strampalato che conservate sopra una delle mensole di casa e che non riuscite a buttare in quanto carico di significati. In secondo luogo vorrei sapere se invece qualcuno tra i lettori è in grado di alzare la mano e di distinguersi come l’ “A-soprammobiliato”, individuo sprovvisto di soprammobili, essere a mio avviso dal DNA tutto da studiare.

È indubbio che talvolta sarebbe utile sapersi liberare di qualche oggettino, soprattutto se gli spazi di casa sono ridotti. Esistono delle vere e proprie terapie per affievolire la cosiddetta disposofobia, ovvero quella tendenza ad accumulare oggetti senza criterio. Per ovviare a ciò potremmo dire che la nostra chiave sta nel punto di vista della metafisica, ovvero nel saper conservare solo quanto merita la nostra attenzione e di conseguenza il nostro trattamento speciale.

Un altro spunto di riflessione proviene invece dalla cultura buddhista. Famosissimi sono i mandala, disegni creati con sabbie colorate attraverso un processo che può durare ore, bellissimi da ammirare e usati per la meditazione. Una volta terminato il momento di preghiera, i mandala vengono distrutti per ricordare il destino perituro delle cose materiali; un’usanza che fatichiamo a capire, in quanto vorremmo poter apprezzare più a lungo le loro geometrie e i loro colori. Ma dal punto di vista delle culture orientali, conservare i mandala significherebbe voler possedere ciò che per natura non può appartenerci.

Probabilmente la possibilità oltreché la volontà di conservare i nostri affezionati soprammobili hanno a che fare con lo stile di vita occidentale, con il nostro concetto di proprietà privata e con il nostro considerare la casa che abitiamo come uno dei beni di maggior valore dei quali possiamo disporre, in quanto sinonimo di indipendenza e sicurezza. Inoltre, il non volerci liberare di tutti quegli ornamenti che tanto la riempiono in virtù dei loro richiami metafisici, non è altro che l’ennesima riprova del nostro instancabile desiderio di aggrapparci alla vita materiale e terrena, l’unica dimensione che siamo in grado di esperire e della quale vogliamo godere appieno.

 

Federica Bonisiol

 

[Immagine tratta da Pexels.com]

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