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Joker: una critica violenta ma inefficace dei disagi del capitalismo

Se Joker di Todd Phillips si sta imponendo così massicciamente nel dibattito pubblico non è solo per la grande prova attoriale di Joaquin Phoenix, né per i meriti cinematografici dell’opera, riconosciuti in modo unanime dalla critica italiana, ma messi in dubbio da quella inglese e statunitense. Il successo di Joker sta nella sua capacità di aver inserito il fascino della storia del villain più famoso dei fumetti nella realtà concreta, nel disagio sociale sempre più avvertibile nel mondo occidentale. E non è infatti un caso che il regista abbia dichiarato di ispirarsi più al realismo e alla narrazione del mondo degli esclusi di Martin Scorsese che alla spettacolare ma volutamente irrealistica trilogia di Batman firmata da Christopher Nolan.

Certamente Phillips ha avuto il merito (e la furbizia) di aver legato la storia di Joker a un tema attuale e bruciante come la disparità sociale e la conseguente rabbia degli esclusi del progresso. E bisogna ammettere che non è affatto scontato che una grande produzione hollywoodiana lasci trasparire un ritratto così cupo e negativo della società capitalista. Il problema però è che Joker si accontenta di riprodurre questa rabbia sociale, di metterla in scena in modo particolarmente violento e shoccante, senza tuttavia tentare di offrirne un’alternativa. Il film culmina così in una scena finale di caos e morte, dove i negozi vengono distrutti e le macchine della polizia bruciate e Joker si dipinge sulla faccia un sorriso di sangue che non ha nulla di gioioso, ma è solo la sublimazione violenta di una rabbia che non ha trovato senso o risposta.

Phillips sembra aver traslato nell’universo pop una strategia già da tempo attuata nell’arte contemporanea, che il filosofo francese Jacques Ranciere nei suoi scritti descrive come arte critica. Si tratta cioè di un’arte che per combattere le contraddizioni del capitalismo si limita a raddoppiarle ed esagerarle, a costringere lo spettatore a confrontarsi con quegli effetti dell’esclusione sociale che nella nostra quotidianità sono rimossi, senza però cercare di modificarne la nostra percezione e lasciando quindi nel pubblico una sensazione di disagio e impotenza. Anche di fronte a Joker lo spettatore non può che rimanere annichilito, reso consapevole dell’insopportabile disparità sociale prodotta dal capitalismo, ma lasciato di fronte a due possibilità ugualmente spiacevoli: o celebrare la ribellione furiosa di Joker, oppure condannarlo, rimanendo quindi nel sistema dominante e accettandone l’ingiustizia.

Ranciere sostiene quindi che un’arte e un cinema critico nei confronti del capitalismo siano oggi quanto mai necessari, ma che non possano accontentarsi di denunciare le condizioni presenti e ricercare lo shock dello spettatore. In tal modo si rischia soltanto di diffondere ulteriormente degli stereotipi e di confermare in modo drammatico che non ci sia via d’uscita ai disagi della società contemporanea. Al contrario l’arte avrebbe il compito di aprire nuovi spazi di possibilità, di mettere in dubbio le condizioni esistenti per riformularle, di lasciar emergere un nucleo positivo e costruttivo e non un discorso puramente nichilistico. Che anche il grande cinema hollywoodiano si stia avvicinando ai temi della disparità sociale è un passo in avanti e al contempo il sintomo di un problema così pressante da invadere anche gli spazi del cinema commerciale, ma è tempo di cercare risposte diverse.

 

Lorenzo Gineprini

 

[Immagine di copertina tratta dal film Joker]

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