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Intervista a Erica Boschiero: la musica come forma di ricerca, dunque di Filosofia

Menestrello fatto donna”, “la nuova Joni Mitchell”, “una delle voci più interessanti della canzone d’autore al femminile nel panorama italiano”, così i giornalisti descrivono Erica Boschiero, classe ’83, cantautrice e cantastorie veneta nata a Pieve di Cadore (BL) e trasferita poi in Provincia di Treviso.

Fresca e positiva, Erica si sta distinguendo nel panorama italiano con un timbro vocale interessante. Vincitrice del Premio d’Aponte 2008, del Premio Botteghe d’Autore 2009, premio per il miglior testo a Musicultura e al Premio Parodi nel 2012, vincitrice del Premio Corde Libere 2013 e finalista ad altri grandi premi per musica d’autore quali l’Artista che non c’era, il Premio La Nuova Canzone d’Autore al Mei e altri.
Nel 2007 registra il suo primo disco da solista dal titolo Dietro ogni crepa di muro ed ora è al suo secondo disco: Caravambolero, nato dall’incontro con il contrabbassista brasiliano Edu Hebling che ha curato poi la produzione artistica.

Da sempre cerca di fare della musica un’occasione per portare alla luce racconti di persone dimenticate e problematiche sociali: ha suonato per Emergency, per Amnesty International, per il Movimento Popolare per la difesa e l’attuazione della Costituzione e in molte altre occasioni di rilevanza sociale.
Ha lavorato e lavora anche nelle scuole conducendo laboratori con l’obiettivo di far conoscere ai ragazzi la canzone d’autore come esperienza letteraria, come mezzo per esplorare la loro sfera emotiva e creativa e come strumento per riscoprire il valore della partecipazione attiva nella società.

Erica fa poi parte dell’Associazione Ambasciatori in Musica, insieme ad altri artisti quali Edoardo Bennato, Maria Pia De Vito, Max Manfredi ed altri, associazione che l’ha vista nel 2010 e 2011 portare la sua musica e i suoi testi presso le università, le ambasciate italiane e gli Istituti di Cultura in Norvegia, Germania, Islanda, Estonia, Lettonia, Bielorussia e Kazakhstan.
Nel 2012 dà vita a Ballate di China, spettacolo di musica e disegno con il fumettista Paolo Cossi.
Nel 2013 nascono tre nuovi progetti che la vedono protagonista: Italie, spettacolo in duo con Gualtiero Bertelli, I Monti Pallidi, spettacolo di musica e teatro sulle antiche leggende delle Dolomiti e Mitincanti, antologia musicale sugli antichi miti della tradizione veneta scritta e diretta da Gianluigi Secco.

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  • Scrivere canzoni, un’arte che non si impara attraverso un manuale ma che nasce e si arricchisce attraverso l’esperienza. In che modo la scrittura è diventata per te una forma di libertà di espressione tramite la quale riesci a comunicare te stessa e ciò che ti circonda?

Ho sempre cantato, fin da quando sono piccola. E sempre scritto, all’inizio poesie e racconti (alle scuole elementari e medie) e qualche canzoncina, poi la canzone è diventata lo strumento primario d’espressione. E’ successo quasi senza accorgermene, giocando con gli accordi sulla chitarra e con le parole. All’inizio era un modo diverso per raccontare le storie che incontravo (reali o inventate che fossero), poi è diventato anche uno strumento per guardarmi dentro, per esplorare le stanze più profonde di me, e tirarne fuori quello che vi trovavo. Attraverso le storie degli altri, o raccontando direttamente di me, spoglio me stessa delle maschere del quotidiano: perché la canzone è un modo per raccontare agli altri le tue luci e le tue ombre, le tue paure e le tue forze. Che forse in qualche caso sono anche quelle di chi la starà ascoltando.

  • Emergere oggi nel mercato discografico è molto difficile e non esente dal superare molte difficoltà e situazioni scomode. Qual è stata la caratteristica che ti ha aiutato di più a distinguerti come artista e come donna?

C’è una cosa che spesso ha fatto da antidoto al trovarmi in situazioni troppo scomode e lontane da quel che sono: io all’inizio non pensavo di far diventare la musica il mio lavoro, non ho mai sognato il successo dei grandi numeri perché mi fa paura, e la musica non è TUTTA la mia vita. Ne è una parte consistente, molte esperienze del mio quotidiano confluiscono lì, ma non occupa tutto lo spazio della mia persona. Questo mi ha sempre reso più libera nel decidere di accettare o meno certi compromessi.

  • Un’artista narrativa che osserva l’esistente raccontandolo mai con banalità ma riscrivendo ciò che la circonda e immaginando mondi alternativi. Citando Schopenhauer “La musica è l’essenziale dell’uomo, il suo sguardo sul mondo”. Perché è così importante per te l’osservare e riscrivere tutto ciò che ti circonda a partire da elementi comuni e presenti nel nostro quotidiano?

Perché credo che si celi lì il miracolo dell’esistenza. Nella capacità di guardare il piccolo e lasciarsi stupire da esso, perché racchiude sempre un messaggio, una storia, una provocazione. Una storia che si dipana nella penombra di un vicolo, un oggetto insignificante che diventa simbolo, un gesto, le forme di un viso, possono smuovere e provocarci più del più grande spettacolo pirotecnico o cinematografico. Una vita passata senza osservare né accorgerci di quel che ci accade intorno sarebbe una serie interminabile di occasioni sprecate.

  • “L’isolamento non fa nascere nulla. Lì dove non c’è competizione ma c’è collaborazione si crea bellezza” così esordisci in un’intervista su RAI News. Disimparare a competere, imparare a collaborare sembra essere la via per un lavoro genuino che può arricchire. Secondo la tua esperienza, quanto può essere importante, soprattutto per i giovani, coltivare questi valori?

Credo sia importante per la qualità di vita di chiunque, imparare a collaborare e condividere le nostre risorse con quelle degli altri: un’abitudine che attiva circoli virtuosi di sostegno e arricchimento reciproco, di scambio di esperienze, reti di contatti e informazioni, cosa assolutamente preziosa nella complessità del mondo contemporaneo. Molte delle amicizie musicali che ho sparse per l’Italia sono nate in occasione di festival e premi: situazioni competitive che si sono trasformate in occasione di incontro e di condivisione, grazie allo spirito di chi vi partecipava. Sono rapporti che perdurano tuttora anche a distanza di molti anni. I media spingono in continuazione sulla sfera della competizione (pensiamo ai talent show musicali, ma anche alle sfide tra cuochi, pasticceri, designer, tatuatori e chi più ne ha più ne metta, ma anche a certe pubblicità), quando in realtà è sempre più difficile muoversi nella complessità del mondo con le sole informazioni a nostra disposizione e con le nostre sole forze, scontrandoci con gli altri. Paradossalmente, una rete di relazioni autentiche e leali tra colleghi (che qualcuno vorrebbe “rivali”) può davvero giovare a tutti.

  • Nelle tue canzoni protagonista è la metafora, figura che diviene un tutt’uno con la forza poetica presente nei tuoi brani. Quale significato assume per te l’utilizzo della metafora? Possiamo considerarla un mezzo attraverso il quale colui che ascolta ha la libertà di scegliere e interpretare?

E’ esattamente questo. Accostando nello stesso spazio elementi tratti da realtà anche molto lontane, la metafora ci permette di uscire dalla rigidità delle definizioni e degli aggettivi. La metafora condensa esperienze che sul piano logico non potrebbero coesistere, e così facendo ci offre la possibilità di intuire e comprendere quel che di noi è inspiegabile razionalmente, le nostre contraddizioni, i nostri misteri. Quando canto “io son papavero di ferrovia” non sto DEFINENDO me stessa. Sto dipingendo una realtà multiforme, un’esistenza in cui convivono fragilità e forza, disperazione e speranza, resa e resistenza, e in cui questa convivenza è percepita come assolutamente possibile e non contraddittoria. Ma soprattutto, sto permettendo a chi ascolta di farsi un’idea propria e libera su cosa questo significhi.

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  • Caravanbolero, il tuo ultimo album, altro non è il viaggio cui tutti noi siamo chiamati in parte a intraprendere nella vita, viaggio che mette a tema lo scorrere del tempo, il nostro rapporto con la natura, gli oggetti del nostro quotidiano e le grandi domande che caratterizzano il nostro vivere umano. Viaggio che dipinge un Paese che dovrebbe imparare ad amare e amarsi di più, magari partendo proprio dal basso. Perché secondo te oggi emerge questa forte necessità d’amore, di imparare ad amare?

Il bisogno di amore credo accompagni ogni essere vivente (non soltanto noi umani) fin dall’inizio della vita sulla terra. Quel che accade oggi, è che gli esseri umani hanno pensato di poter soddisfare questo bisogno con dei surrogati: il consumo, l’accumulo di beni di lusso, feste, viaggi, sport etc. : ci circondiamo di una quantità enorme di esperienze per non sentire che dentro abbiamo un vuoto profondo dovuto alla mancanza di relazioni vere e autentiche. Preferiamo consumare anche quelle, e sostituirle sistematicamente nel momento in cui ci mettono in discussione e portano a galla le nostre ombre. Perché la relazione comporta fatica, e pare che questa parola oggi sia vissuta come particolarmente ostile.

  • Io che d’amore non ho mai cantato, so che l’amore a volte va imparato e a volte si nasconde. Con le parole io ho sempre giocato, ora che ne ho bisogno io non ho fiato ed ogni sillaba muore”. Papavero di ferrovia, canzone d’amore per niente scontata, in cui l’arpeggio di chitarra rende molto bene l’immagine di un treno in corsa, per una relazione a distanza che avvolge e scombussola. Per te la donna insegna o impara l’amore?

Credo faccia entrambe le cose, così come l’uomo. L’amore si impara e costruisce in due a partire dalla diversità che ci contraddistingue, nel momento in cui ci si spoglia delle maschere e si guarda dentro la zona d’ombra dell’altro. Sono convinta che ciascuno di noi abbia una forma di saggezza ancestrale dentro, capace di manifestarsi nel momento dell’incontro. L’incontro delle nostre reciproche “saggezze”, e il contemporaneo incontro dei nostri demoni e delle nostre paure ci fanno imparare l’amore, e ce lo fanno insegnare. Che siamo donne o che siamo uomini.

  • In molte delle tue canzoni viene messo in evidenza il rapporto che lega l’uomo alla natura. Perché è molto importante che l’uomo recuperi e costruisca un rapporto sano con la natura?

Perché è la nostra mamma. Perché anche se la tecnologia e il progresso tendono a farcelo dimenticare, siamo e restiamo prima di tutto animali, con delle pulsioni fisiche, delle emozioni (che hanno radici antichissime nel nostro passato pre homo-erectus), un bisogno di contatto fisico e spiritualità. Sono certa che passare gran parte della nostra giornata in ambienti asettici sotto le luci al neon, tra pareti di cartongesso e pavimenti di plastica sia estremamente dannoso per la nostra vita e a lungo andare ci renda più deboli e tristi. Per questo quando camminiamo scalzi sull’erba, ci arrampichiamo su un albero, accarezziamo un animale o anche solo ci abbracciamo siamo felici: perché ricontattiamo una parte essenziale di noi.

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  • Nietzsche diceva che senza la musica la vita sarebbe un errore; concordi con questa affermazione?

Come potrei non essere d’accordo! L’uomo nasce con la musica in corpo, dal primo battito di tamburo alla sinfonia più sublime, l’uomo cerca se stesso e il senso delle cose attraverso il suono. La musica è indomabile, può raggiungere vette di beatitudine, scendere all’inferno, curarci come medicina e colpirci come il più affilato dei pugnali. Ha le sue regole ma spesso le viola e le trascende. Non è vincolata alla materia, e perciò può giocare con la realtà come nessun’altra forma d’arte. E’ in grado di descrivere la complessità dell’esperienza umana senza astrazioni razionali o psicologiche, in tutta la sua contraddittorietà, e perciò di farci esplorare il mondo e noi stessi senza giudizio, in piena libertà.

  • Platone diceva che la musica è una legge morale che dà un’anima all’universo, le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza, e la vita a tutte le cose. Questa visione potrebbe avvicinarsi molto alle tue canzoni e ai tuoi testi ma sempre meno al panorama italiano musicale dove dominano sempre di più canzoni con testi superficiali e scontati. Cosa pensi di questa situazione?

Non dobbiamo fare affidamento a ciò che si ascolta nelle radio commerciali e nei programmi di massa. Quella è musica asservita al sistema commerciale, è “musica per vendere”, la gran parte delle volte fatta a tavolino per essere comprensibile ed orecchiabile al primo ascolto, consumata in fretta e poi dimenticata. Attualmente c’è un sacco di buona musica prodotta e suonata, ma bisogna andare a cercarla, nel sottobosco dei cantautori e dei gruppi indipendenti, lontani dalle logiche della grande industria discografica. Purtroppo la grande distribuzione sta investendo sempre più su musica scadente, questo è un dato di fatto, e il motivo è a mio parere ovvio: più la gente verrà anestetizzata con canzoni dalle tematiche futili e da suoni familiari e già sentiti, più continuerà a farsi vivere senza mettere in discussione il sistema di consumo in cui è immerso. Il web può costituire un’occasione per contrastare questo fenomeno: il singolo ha la possibilità di scegliere (grazie a youtube anche senza alcun costo) tra le infinite possibilità che la rete offre. Quanto questa facoltà di scelta venga effettivamente esercitata, dipende ovviamente da quanto la persona è stata allenata e spronata a cercare al di là di ciò che gli viene proposto… e qui si va al punto essenziale e spinoso: l’educazione musicale a scuola… come viene effettuata? Cosa si insegna ai ragazzi? Purtroppo siamo ancora molto indietro su questo fronte.

  • Secondi alcuni pensatori Filosofia e Musica si rincorrono: da una parte il tentativo filosofico di svelare l’indicibile e di oltrepassare l’ordinarietà del discorso, dall’altra parte la Musica che tenta di sganciarsi dal suo ridursi a ornamento o divertimento, mostrandosi invece come un concetto in forma di suono, come un pensiero che non può essere interpretato nella forma del discorso logico. A tuo parere potremmo considerare la Musica come una delle tante forme della Filosofia? Che cosa significa per te ‘fare musica’?

Sicuramente la musica è una forma di ricerca, e per questo direi di filosofia. E’ un tentativo di esprimere il mistero che ci circonda e che abbiamo dentro, di dare un senso alla nostra molteplicità, alla convivenza di tutti i frammenti che ci abitano e ci compongono. Per me fare musica è cercare di orientarmi nella complessità che mi abita, dare voce alle parti di me. La stessa cosa è per ciò che vedo e racconto all’esterno di me: storie dove non esistono buoni e cattivi, ma dove i protagonisti sono sia buoni che cattivi, o meglio, dove per raccontare smetto di usare queste categorie per calarmi nei panni di coloro che sto osservando, per provare a vedere la realtà attraverso i loro occhi. E’ questa la vera rivoluzione che la musica può fare, secondo me: avvicinarci all’altro, e alla parte altra di noi; avvicinare ciò che non vorremmo vedere, chi non vorremmo incrociare per strada, e guardarlo negli occhi. Perché alla fine potremmo ritrovarci noi stessi. E a questo punto ci sarebbe impossibile non aprire il cuore.

  • Ultima domanda, dedicata ai nostri lettori: cosa pensi della filosofia?

Credo che sia connaturata nell’essere umano. Che, a diversi livelli, ogni uomo in fondo faccia della filosofia nel momento in cui smette di vivere passivamente ciò che gli viene proposto, e comincia a riflettere sul senso del suo esistere qui ed ora.

La filosofia oggi è rivoluzionaria: è rivoluzionario smettere di farsi vivere e formulare un proprio pensiero sulle cose, informarsi, cercare una propria personale chiave di lettura della realtà, perseguire una strada che si sente propria. Per questo credo che mai come oggi sia fondamentale recuperare una dimensione filosofica dell’esistenza, per smettere di essere pedine del gioco di qualcun altro (che attraverso i media ci manipola e controlla) e cominciare a vivere in prima persona.

 

Mi piace pensare ad Erica come una grande artista completa; oggi di artisti e musicisti così se ne vedono e sentono pochi. Non parlo solo del timbro musicale, che può piacere o meno, ma della ricerca, dello studio e di quell’insieme di sentimenti, emozioni e desideri che si celano dietro alle sue canzoni.

Al centro delle sue canzoni siamo tutti noi, abitanti di un realtà complessa della quale non possediamo le chiavi di lettura; troppo impegnati a correre contro il tempo siamo diventati attori ciechi e fragili, incapaci di apprezzare e godere ciò che ci viene offerto.

La musica di Erica ci pone davanti ad una sfida: mettere a nudo ciò che ci circonda e mettere noi stessi nella condizione di dover affrontare questa grande complessità che è l’esistenza; trovare e dare un senso a ciò che facciamo, viviamo e esperiamo: non è questa la Filosofia?
Una Filosofia che abbraccia non solo note e accordi, ma abbraccia ogni singola parola dei testi di Erica, parole non casuali e mai banali, parole che riacquistano il loro significato forte, parole che descrivono la nostra contraddittorietà con una sincerità e libertà tali da farci esplorare il mondo con occhi diversi.

La musica non è vincolata alla materia, perciò può giocare con la realtà come nessun’altra forma d’arte.” Così Erica mi descrive l’essenza della musica, della sua musica, come se la natura della musica fosse delle tutto svincolata da schemi logico-razionali e pertanto capace di trascendere ciò che invece caratterizza la nostra esistenza.
Canzoni e testi che diventano grandi metafore dei nostri bisogni più puri e genuini, dei nostri bisogni più profondi, permettendo di riscoprire la semplicità e la ricchezza di ciò che ci circonda. Una musica e un’artista che vogliono dar voce all’esistenza, senza troppi schemi e definizioni, ma semplicemente recuperando il senso e significato dell’essere attori vivi e liberi della nostra vita.

Elena Casagrande

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[fotografie di Raffaella Vismara]

Elena Casagrande

mountain lover, sognatrice, altruista

Sono nata a Conegliano nel 1992 e da sempre ho una grande passione per la natura, gli sport all’aria aperta e per la montagna. Dopo il liceo scientifico ho scelto di studiare filosofia all’Università Ca’ Foscari Venezia e mi sono bastati pochi mesi di lezioni per capire che la filosofia meritava qualcosa di più che […]

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