Home » Rivista digitale » Filosofia pratica » Mondo » Imparare a vivere dalle piante per arginare l’emergenza ambientale

Imparare a vivere dalle piante per arginare l’emergenza ambientale

Sapete cos’è l’EOD? Oppure è la prima volta che vedete e leggete questa sigla?
EOD significa Earth Overshoot Day ed è conosciuto anche come il “giorno del debito ecologico”. Viene calcolato ogni anno dal Global Footprint Network, un’organizzazione internazionale no-profit con sedi in Svizzera e Stati Uniti. L’Italia e l’Europa hanno già superato per il 2019 il “punto di non ritorno”: è stato esattamente lo scorso 10 maggio. Fino al 2020, allora, noi consumeremo risorse del pianeta non rinnovabili.

Cosa significa? Per capirsi: che tagliamo gli alberi prima che diventino adulti; che emettiamo più carbonio nell’atmosfera di quanto le foreste siano in grado di assorbire; che peschiamo più pesce di quanto gli ecosistemi siano in grado di rigenerare.

Negli ultimi tempi l’emergenza climatica ha cominciato a diventare notizia. Sulla stampa, nei tg, sui social media si parla finalmente di cambiamento climatico, di quanto stia mutando il nostro pianeta, del rischio di estinzione che minaccia specie viventi e veri e propri ecosistemi. Tuttavia ancora in molti, per ignoranza, per superficialità o per la smania di una crescita che non è più sostenibile, non comprendono la portata drammatica e micidiale di questo fenomeno, di cui è proprio l’uomo la causa principale e che mette a repentaglio la nostra stessa sopravvivenza.

«Attraverso la sua storia la Terra ha subito cinque estinzioni di massa ed un certo numero di estinzioni minori. […] Adesso siamo nel bel mezzo della sesta estinzione di massa. Un evento di una portata tale che percepirne le conseguenze non è per niente facile. […] Le passate estinzioni di massa di cui si ha conoscenza, sebbene veloci, si sono sempre manifestate lungo un arco di milioni di anni. L’attività umana al contrario sta concentrando la sua letale influenza sulle altre specie viventi in una manciata di anni»1. Essere consapevoli del disastro che i nostri consumi stanno creando, sottolinea Stefano Mancuso nel suo libro, dovrebbe renderci tutti più attenti ai nostri comportamenti individuali, ma anche arrabbiati verso un modello di sviluppo che per premiare pochissimi, distrugge la nostra casa comune.

Mettiamocelo in testa: il nostro pianeta ha risorse limitate. Mi sembra più che normale, essendo un pianeta finito. Non occorre essere dei geni della scienza per capire che il modo di agire e di vivere che l’umanità ha avuto e ha tutt’ora è totalmente insensato, a meno che l’obiettivo finale non sia l’estinzione. E se non invertiamo la rotta è molto probabile che ci arriveremo.

«Risorse limitate non possono sostenere una crescita illimitata. E badate bene: quando parlo di crescita illimitata, non intendo parlare di crescita della popolazione – tutt’altro – ma di crescita dei consumi. Il pianeta potrebbe tranquillamente ospitare una popolazione umana molto più numerosa di quanto non sia oggi, e anche ampiamente superiore ai 10 miliardi di persone che si prevedono per il 2050 o giù di lì. Potrebbe, appunto. Ma soltanto qualora l’umanità cambiasse radicalmente il proprio stile di vita, riducendo drasticamente l’uso di risorse non rinnovabili»2.

Esiste, quindi, una soluzione al problema? Un modello virtuoso da poter seguire? La risposta è sì ed è da sempre sotto i nostri occhi. Secondo Mancuso, infatti, dovremo semplicemente imparare dalle piante. Nel suo libro, lo scienziato ribalta completamente la prospettiva e per una volta, invece di essere l’uomo al centro di tutto, sono le piante ad esserlo: le piante, con il loro sistema di sviluppo, la loro organizzazione, le loro regole, che sono ovviamente completamente diverse dalle nostre, eppure, fa notare Mancuso, molto più funzionali:

«Il mondo vegetale segue la semplice regola di crescere fin che è possibile farlo, in accordo con la quantità di risorse disponibili. In altre parole quando i mezzi cominciano a scarseggiare , la crescita si riduce. L’insana idea che si possa crescere all’infinito con risorse finite è solamente umana. Il resto della vita segue modelli realistici. […] Non potendosene andare in giro, come fanno gli animali, alla ricerca di nuovi territori da sfruttare quando il cibo scarseggia, le piante hanno imparato a convivere con la finitezza delle risorse e a modulare lo sviluppo»3.

Le piante, quando necessario, riducono la loro taglia, si assottigliano, si avvolgono, si curvano, interrompono la loro crescita, «fanno tutto ciò che è necessario, perchè il loro equilibrio con l’ambiente sia il più stabile possibile»4. Non solo, c’è un’altra caratteristica che la “nazione delle piante” possiede, di cui lo scienziato mette in luce l’efficienza: la cooperazione. «Non potendosene andare in giro a cercare ambienti o compagni migliori, una pianta deve per forza imparare ad ottenere il massimo dalla convivenza con i suoi vicini. Quest’arte della convivenza la ritroviamo nella maggior parte delle relazioni vegetali»5.

La nostra idea di come funzionino le relazioni naturali è basata sulla semplicistica e arcaica nozione che in natura valga la legge del più forte. Una visione della natura come di un’arena, che Mancuso considera figlia di una grande ignoranza sui meccanismi che denotano il funzionamento delle comunità naturali. Le piante invece, collaborano tra di loro, vivono in simbiosi, uniscono i propri destini, cooperano per mantenersi in vita, evolversi, crescere e prosperare.
Anche con noi uomini hanno questo comportamento. Le piante che circondano le nostre case, i parchi, gli orti, hanno stabilito con noi un rapporto di cooperazione e domesticazione: una lunga relazione durante la quale due specie imparano a stare bene insieme e a trarre l’una dall’altra dei vantaggi. La cooperazione è la forza attraverso la quale la vita prospera e per la “nazione delle piante” è il primo strumento di progresso delle comunità.

Pensare che il problema ambientale sia qualcosa di lontano dalle nostre vite quotidiane, di cui non vediamo gli effetti sotto i nostri occhi, non ci dà più il diritto di pensare che non sia un nostro problema. Nel nostro piccolo, nella nostra vita, ogni gesto è importante per dare una mano al nostro pianeta e concedere a noi stessi e ai nostri figli di poter ancora godere della sue bellezze: cercare di sprecare meno acqua, farne un uso moderato, scegliere di bandire la plastica monouso dalle nostre tavole, andare a lavoro in bici invece che in auto, o magari utilizzare i mezzi pubblici, sono tutti piccoli gesti che ognuno di noi può introdurre nella sua quotidianità. Pensate alla potenza che potrebbero avere se tutti, tutti noi, tutta l’umanità andasse in questa direzione!

Come diceva Madre Teresa di Calcutta: «Sappiamo bene che ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe. Importate non è ciò che facciamo, ma quanto amore mettiamo in ciò che facciamo; bisogna fare piccole cose con grande amore».

 

Martina Notari

 

NOTE
1. S. Mancuso, La nazione delle piante, Laterza, Roma-Bari 2019, p. 78.

2. Ivi, pp. 100-101.
3. Ivi, pp. 108-109.
4. Ivi, p. 109.
5. Ivi, p. 138.

[Photo credit Noah Buscher  via Unsplash]

copabb2019_set

Martina Notari

generativa, leggera, autentica

Ciao, mi chiamo Martina, ho 40 anni e sono giornalista professionista e Naturopata. Vivo in Toscana, a Quarrata, in provincia di Pistoia e dal 2020 sono mamma della mia splendida Diana. Mi sono laureata in Filosofia e Forme del Sapere all’Università di Pisa nel 2007, con una tesi su Machiavelli e le sue commedie. Nel […]

Gli ultimi articoli

RIVISTA DIGITALE

Vuoi aiutarci a diffondere cultura e una Filosofia alla portata di tutti e tutte?

Sostienici, il tuo aiuto è importante e prezioso per noi!