C’è un’epidemia di quelle che ti succhiano via la vita, di quelle capaci di lasciare al mondo solo dei bambini se è vero che non si diventa adulti semplicemente quando a morire sono i tuoi genitori.
In una Sicilia proiettata in un 2020 desertico, l’umanità è in via d’estinzione perché la “Rossa” macchia a morte chi si trascina gli ormoni della maturità. Anna, la protagonista-bambina del romanzo, è dunque votata alla sopravvivenza insieme al fratellino Astor, l’amico Pietro e un cane di nome Coccolone. L’imperativo è quello del “bisogna farcela” in qualsiasi luogo e condizione, perché fermarsi è concesso solo a chi sale, non a chi scende. È un viaggio pieno di avventure quello di Anna che oltre ad avere il compito di insegnare la lettura al fratello e di salvarlo quando verrà rapito dai “bambini blu”, cerca disperatamente di uscire dalla Sicilia perché forse, oltre l’isola, c’è una cura.
Scritto con l’arte visionaria propria di chi abbandona la normalità perché sa troppo di presente, Anna è un romanzo che romba da solo perché nelle inconsapevolezze dei bambini si annidano e si sciolgono naturalmente i problemi etici dell’esistenza. Case abbandonate o bruciate, autostrade, gruppi di ragazzini che si comandano a vicenda, animali randagi e incattiviti, la pesca pericolosa di un polipo e una traversata in mare sono gli elementi essenziali di questa distopica e curiosa narrazione. E non viene da storcere il naso quando ad un certo punto c’è un rave-party della speranza, celebrato in una Spa defunta, dove due bambini capibanda hanno fatto credere che ci si può salvare dalla “Rossa” prima di entrare nell’adolescenza. Né ci coglie totalmente impreparati quel lungo e affollato pellegrinaggio di piccoli cuori che, idioti e completamente abnegati da una credenza-Ikea, corrono per celebrare e bere il sangue (o ingoiare le ceneri) di una finta santa tutta particolare inventata per l’occasione e chiamata la Picciriddona nella speranza di raggiungere l’immunità dall’epidemia.
Quello che leggiamo è l’ultimo libro di Ammaniti, scrittore pop che ci ha abituato ai tentacoli di immagini vivide, forti, quasi si tratti di un fumetto dai ritmi accelerati.
Particolarmente significative sono le pagine nelle quali si costruisce il legame tra Anna ed Astor, nel reciproco tentativo di correggersi per restare a galla, perché nessuno si salva da solo. Sulla scia di altri suoi romanzi precedenti come “Io e te” o “Io non ho paura”, questa storia non vuole essere un romanzo di formazione alla Golding o alla Dickens (sebbene ci siano delle somiglianze) quanto piuttosto un continuo alternarsi di squarci spasmodici tra visioni apocalittiche e diaboliche, e riflessioni sulla vita e sulla morte. Sopra tutto, la certezza che, in maniera forse un po’ prevedibile, alle volte essere un fratello è ancora meglio che essere un supereroe.
Luzia Ribeiro da Costa