Dispiace vedere che la discussione sull’aggressione a colpi di machete di Milano ci porti nuovamente a dividerci tra chi sfrutta la paura per produrre consenso e chi invece si rifiuta di comprendere i fenomeni che stiamo vivendo minimizzando tutto come allarmismo. Dispiace che ancora una volta ci ritroviamo in balia di chi ragiona per 0 e 1, chi o si abbandona all’odio e teorizza fantomatiche esecuzioni e chi invece indulge in una storica malattia della sinistra italiana nota come buonismo.
Non sarebbe più semplice dire che a problemi complessi non esistono risposte semplici?
Il problema dell’integrazione, del confronto con culture diverse, di flussi migratori e di ghetizzazione culturale è diffuso e comune in Europa, vedi il caso Le Ballie in Francia. È giustissimo esigere che il problema venga affrontato in una logica europea e che si cerchi di mettere in pratica misure adeguate di distribuzione dei flussi ricordandoci però che parliamo di persone e non di pacchi postali. Il problema che porta molti cittadini stranieri a delinquere o ad avere atteggiamenti negativi in fondo non è molto diverso da quello che ho avuto modo di vedere tra italiani “ariani” crescendo in un quartiere abbastanza povero come quello di Via Altobello anche noto come Macallè dove c’erano fenomeni di criminalità diffusa, degrado, problematiche sociali. La ricetta messa in campo è stata quella di integrare misure di supporto sociale, urbanistiche e di repressione portando avanti in decenni un piano di risanamento della zona che oggi sembra rinata. A tutto questo aggiungerei anche il ruolo fondamentale della scuola che se vogliamo è il primo luogo di integrazione tra persone che vengono da storie diverse, ceti sociali diversi, culture diverse.
Se vogliamo che certi fatti non si ripetano forse dovremmo guardare a un approccio più pratico e operativo piuttosto che invocare le esecuzioni in pubblico, perché il mondo cambia molto più attraverso il nostro esempio che attraverso le nostre opinioni. In più i sospettati sono due sudamericani maggiorenni che pare facciano parte di una gang di latinos. Uno era già stato indagato in passato per fatti analoghi. Si sa anche che uno è irregolare.
Qui si vede anche il vuoto di una politica che troppo spesso è vittima di ragionamenti semplici e slogan.
Dobbiamo fare attenzione ad abbandonarci a pensieri semplici perché rischiamo di fare come coloro che credono che l’introduzione della pena di morte riduca i reati, cosa falsa, senza invece capire che la parte riabilitativa gioca un ruolo importante nella prevenzione di reati minori riducendo il rischio di recidività.
Uno dei grossi problemi poi è la nostra situazione economica, perché i fenomeni di emarginazione sociale non riguardano solo i migranti, ma anche le fasce più deboli della popolazione in un Paese che ha troppo spesso bloccato ogni tipo di mobilità sociale e dove intere generazioni sono state condannate a una eterna adolescenza fatta di precariato e scarse opportunità. Servirebbero più pari opportunità e un po’ di attenzione per il merito, senza anche in questo caso indulgere nella trita e ritrita retorica sessantottina del sei politico e di slogan che hanno raccontato a intere generazioni che in fondo si era tutti speciali a prescindere, senza che ci si dovesse confrontare con i veri ostacoli della vita, alla fine al motto che tutti erano speciali è finito per non esserlo nessuno.
Mi spiace di sentirci così arrabbiati, così pieni di livore e così poco capaci di formulare proposte oltre a proteste.
Non è che abbiamo così tanto bisogno di trovare un capro espiatorio perché forse dovremmo invece metterci davanti a uno specchio e riflettere meglio sulle scelte che abbiamo compiuto?
È questo misto di rabbia e di rassegnazione a non piacermi, l’idea che le cose non possano stare diversamente e che invece non si possano cambiare semplicemente iniziando ad abbracciare tutta l’immensa complessità dei problemi che abbiamo di fronte, magari facendo una lista di cose da fare e iniziando a farle una alla volta. Non dobbiamo neanche raccontarci che possiamo però sostenere flussi migratori infiniti, perché a risorse finite non possono corrispondere flussi migratori infiniti, però in questo forse i partiti dovrebbero prestare più cura al lavoro che viene svolto in Europa cercando di uscire dal gioco di ruolo della politica e dalla tifoseria e proponendo invece compattamente misure che coinvolgano e responsabilizzino una comunità che in effetti oggi ci sta lasciando un po’ da soli. In più continuo a credere che il nostro Paese sia in difficoltà per una classe dirigente politica, sia a destra che a sinistra fino al M5S, che non è all’altezza di chi in questo Paese continua a lavorare e a crederci.
Al di là del merito della misura preferirei cento volte una destra che non rispondesse a tutti i problemi solo invocando azioni violente, ma proponesse misure concrete come quelle al vaglio di Cameron in Inghilterra che pensa a un numero chiuso di permessi e a un aumento delle tasse per chi assume persone non provenienti dall’Europa.
L’Italia avrebbe davvero bisogno di una classe dirigente all’altezza di un passato glorioso che può tornare solo se iniziamo a volare alto al posto di ridurci, come stiamo facendo, una volta giunti a fondo, a metterci anche a scavare…
In più fin la logica filosofica ci permette di non incorrere in un errore molto diffuso, cioè estendere un caso particolare con responsabilità personali a una intera categoria, una inferenza questa che scorgiamo in moltissimi dibattiti politici. L’idea dello stereotipo è un fenomeno naturale in cui cerchiamo di riportare al noto qualcosa che ci sfugge per estensione e complessità così per pigrizia al posto di conoscere e comprendere i fenomeni ci limitiamo ad “attaccarci” sopra delle etichette preconfezionate.
In realtà la paura per il diverso ha origini antiche, basterebbe infatti pensare all’antica Grecia e al termine Xenos, un termine controverso che possiamo reperire fin da Omero. Il termine Xenos ha infatti una duplice valenza di “straniero” nel senso di persona esterna allo Stato greco, un viaggiatore straniero insomma, ma anche come una persona con cui siamo in una relazione di amicizia. Lo Xenos può essere un membro esterno alla comunità che è semplicemente straniero, l’altro, alterità e diversità.
Lo Xenos può quindi a seconda del contesto risultare straniero in sesno stretto, ma anche ospite o perfino amico!
È interessante inoltre ricordare un dialogo di Platone in cui compare la figura dello Xenos di Elea col quale attraverso Socrate Platone ingaggia indirettamente una discussione sulla dottrina parmenidea e nel quale lo Xenos tanto temuto ha invece un ruolo importante perché dal confronto dialogico entrambi gli interlocutori pervengono a nuove formulazioni, crescono insieme e si confrontano.
La figura dello Xenos resta controversa, complessa, difficile da decodificare, ma quando parliamo dovremmo sempre ricordarci che esso racchiude problemi, ma anche opportunità.
Matteo Montagner
[Immagini tratte da Google Immagini]