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I paradossi della fiducia: scommessa, dono e affidabilità

Perché fidarsi, scommettere su qualcuno o qualcosa? Perché smettere di cercare di controllarsi e controllare, abbandonandosi al benvolere altrui? In base a cosa credere o sperare che una persona onori la fiducia in lei riposta?
Sono queste le domande con le quali la professoressa Michela Marzano introduce la sua lectio magistralis tenutasi a Brescia il 20 giugno scorso, in occasione del Festival dei Filosofi lungo l’Oglio.
Il suono della sua voce sospende il brusìo della sala gremìta di ascoltatori.

Prima di entrare nel vivo della trattazione, la filosofa cerca di rispondere alle domande partendo da alcune considerazioni.
Diversamente dal passato, oggi la fiducia è sempre e solo una “scommessa”, la stessa di cui parla Pascal riferendosi tuttavia alla fede; la fiducia è, come direbbe Simmel, un “salto nel buio”, tanto che l’imprevedibilità che la caratterizza non ci permette di pretendere o sperare di conoscere ciò che sta al di là del nulla in cui ci buttiamo. È per questa ragione che, continua la professoressa, la natura essenziale della fiducia è quella del dono: un dono incondizionato che, come anche nell’amore, non prevede una ricompensa proveniente dall’altro.
Il rapporto fiduciario che si instaura tra due individui inoltre, è’ indipendente, o non necessariamente dipendente, dall’affidabilità altrui: tra fiducia e affidabilità intercorre un rapporto di tipo asimmetrico: posso fidarmi ciecamente di un amico, indipendentemente dal fatto che, in più occasioni, mi abbia dimostrato di essere poco affidabile.

Sebbene l’evidenza dimostri che è sempre più difficile fidarsi di chi ci circonda e malgrado l’individuo abbia cominciato a nutrire un forte senso di mancanza di fiducia e sicurezza anche nei confronti di se stesso, è innegabile che la fiducia costituisca il cemento della società, del vivere insieme.
La nostra, come la definisce Deleuze, è una società paranoica: non solo non ci si fida, ma si ha tendenza a mettere sempre tutto in discussione in una sorta di complottismo perenne, come se, indipendentemente da quanto venga detto e fatto, la realtà e la verità risiedesse altrove.
Come “soluzione” per uscire da quest’impasse, la filosofa propone il dubbio così come lo concepisce Cartesio: un dubbio fertile, costruttivo, che sia cioè un punto di partenza per accedere alla verità; un dubbio inteso come spirito critico sempre attivo, fondamentale per non cadere nella credulità; un dubbio che non sia “compiaciuto”, fine a se stesso, come quello distruttivo utilizzato dagli scettici.
Un altro ostacolo sociale odierno è quello caratterizzato dalla concezione individualistica, basata sulla massimizzazione dell’interesse personale, l’apogeo insomma del “Me, Myself and I” di Salinger.
Come potrebbe essere possibile, oggi, realizzare questo “salto nel vuoto”, abbandonandoci all’altro, dal momento che i presupposti che fondano il nostro vivere insieme sembrano solo risaltare la riuscita individuale? Di certo il contratto non è la soluzione: tanto più si stabiliscono dei rapport contrattuali, tanto più la fiducia viene meno. Si assiste infatti ad una sorta di “deresponsabilizzazione” da parte dell’individuo che, affidandosi al contratto, sceglie di rinunciare alla fiducia.

Nel momento in cui ci si fida, si compie un salto nel vuoto, si fa una scommessa sia sull’alterità degli altri che sulla propria.
In inglese ci sono due termini corrispondenti a quello di “fiducia”: “reliance”, o “reliability”, e “trust”. Col primo si allude alla sensazione di poter contare su qualcuno, ritenuto appunto “affidabile” (un avvocato, un idraulico, un medico); il secondo, invece, indica quell “salto” privo di garanzia di cui ci parla la filosofa fin dall’inizio.
Una sorta di “fiducia nella fiducia”, sostiene M. Marzano, che sta alla base dell’amore, così come dell’amicizia e della fede. Avendo la stessa struttura – asimmetrica – del dono, la fiducia ci mette completamente a nudo, a diretto contatto con tutto quello che siamo e che ci caratterizza: le nostre certezze ma anche, e soprattutto, le nostre debolezze e il bisogno di ricevere attenzione dall’altro. Esprime la necessità che abbiamo di aggrapparci a qualche certezza, in cui sentirci protetti, ma paradossalmente il regno in cui ci addentriamo è proprio quello dell’incertezza, del rischio e del tradimento.
A quali condizioni ci si dovrebbe dunque fidare, se incombe sempre la possibilità del tradimento? Condizione necessaria ed indispensabile per potersi fidare è avere una base di fiducia in se stessi che permetta di sopravvivere al tradimento effettivo e alla possibilità del tradimento. Se mi fido di me stesso, pertanto, riesco a non andare in pezzi e a non perdermi, anche qualora l’altro dovesse ferirmi o deludermi. Dietro alla fiducia (così come all’amore) c’è sempre un problema di “riconoscimento”, tema cardine del pensiero filosofico di Axel Honneth.

E’ il riconoscimento di quello che siamo che ci porta ad avere fiducia

dice la filosofa, avviandosi alla conclusione.
Per ricreare una “società della fiducia” bisognerebbe allontanarsi dall’ideologia liberale dei winners e dei loosers, trionfante negli ultimi decenni, allo scopo di riscrivere le regole del vivere insieme, o in altri termini, quella grammatica degli affetti e delle relazioni, necessaria a garantire una corretta etica del riconoscimento tra gli individui.

Sara Roggi

Eleonora Guella

[Immagini tratte da Google Images]

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