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La guerra nell’arte, dall’elogio alla denuncia

Sin dall’antichità la guerra, le battaglie, le gesta eroiche dei soldati e la conquista di nuovi territori hanno avuto uno spazio di grandissimo rilievo nella produzione artistica delle civiltà di tutto il mondo, in modo particolare in Occidente. Basti pensare ai celebri bassorilievi della Colonna Traiana a Roma, o al Mosaico di Alessandro del Museo Archeologico di Napoli, per comprendere quanta importanza venisse attribuita all’aspetto militare e bellico nelle società greca e romana, che fondavano gran parte della loro identità e della loro potenza politica proprio sui successi militari e sulle abilità strategiche dei grandi generali, che, guidando enormi eserciti, tenevano in piedi le sorti di un intero stato, difendendo i confini e lanciandosi, spesso e volentieri, alla conquista di nuovi territori. 

Le raffigurazioni delle grandi vittorie divenivano perciò autocelebrazione, propaganda e simbolo visivo della potenza di una civiltà, immagini in cui il condottiero si eleva ad eroe, figura eminente in mezzo a decine di soldati che erano comparse, uomini gloriosi ma senza nome, base solida di un esercito che spesso rappresentava il fondamento stesso dell’esistenza di uno stato. L’arte si faceva dunque strumento di elogio della guerra, delle vittorie sui nemici, e così è stato per molti secoli: non si raffigurava mai una sconfitta, non ci si soffermava sugli aspetti più drammatici di una battaglia; su affreschi, teleri, bassorilievi e grandi monumenti a fare da protagonista era sempre la grandezza del vincitore, che spesso e volentieri era il committente stesso di queste grandiose opere d’arte. 

È solo nell’età contemporanea che questo aspetto comincia progressivamente a cambiare, in particolare a partire dai primi del Novecento, quando i tragici esiti della Prima Guerra Mondiale lasciarono un profondo segno sull’intera popolazione europea. Da una parte, infatti, esiste una produzione pittorica eseguita sul fronte, a contatto ravvicinato con gli eventi, totalmente diversa dalle opere antiche per la totale mancanza di toni encomiastici e per il forte carattere cronachistico, che non tralascia le sconfitte, le perdite umane e alcuni dettagli di grande realismo. Questo aspetto quasi giornalistico già esisteva nella pittura dell’Ottocento, specie nell’Italia delle Guerre d’Indipendenza, ma lo slancio patriottico che pervadeva gli animi degli stessi artisti, Giovanni Fattori tra gli altri, è ben evidente nelle loro opere, che risultano pertanto ancora distanti dalla fredda oggettività dei dipinti creati nelle trincee.

D’altro canto, successivamente a questa fase, alcuni artisti di grande fama cominciarono a realizzare opere di grande impegno etico con un forte messaggio di denuncia nei confronti delle scelleratezze della guerra. Se è vero che l’aveva già fatto Goya un secolo prima, nella sua serie di incisioni I disastri della guerra, ora questa denuncia viene ad assumere un significato ben più delineato, e le immagini che veicolano questo messaggio hanno un impatto di ben altre proporzioni sullo spettatore, sia per la crudezza delle scene sia per la dimensione monumentale di queste opere. Il primo di questi grandi capolavori fu Gassed di John Singer Sargent, realizzato nel 1919 per commemorare i caduti in guerra, drammatica immagine che vede una fila di soldati bendati, feriti da un attacco con bombe a gas, camminare tra decine di cadaveri di commilitoni per raggiungere l’infermeria. Un’immagine di questo tipo non passò certo inosservata, e non lo passa tuttora: non può esserci indifferenza di fronte a uno spettacolo non degno della civiltà umana, e la denuncia nei confronti di un simile orrore, seppur non esplicita, risulta evidente. 

Ecco dunque che l’artista contemporaneo, dotato di un’inedita sensibilità e di una maggiore autonomia espressiva, frutto di progressive conquiste nella politica e nei diritti umani, offre un punto di vista rivoluzionario per quanto riguarda il concetto di guerra: ciò che prima veniva giustificato ora viene condannato, e l’encomio all’eroismo lascia il posto a un’amara consapevolezza che si traduce in velata denuncia.

Circa dieci anni più tardi un altro capolavoro avrebbe amplificato ulteriormente questi toni di strenua opposizione: con il monumentale Trittico della guerra Otto Dix rielabora la propria esperienza personale al fronte in chiave allegorica, creando immagini di morte dai toni sospesi, muti, perchè a parlare non fossero altro che le meste immagini di rovina, terribili e spiazzanti nel silenzio solenne dell’opera. Pochi anni dopo, questo silenzio si sarebbe rotto nell’ultimo grande capolavoro di denuncia della guerra, quello definitivo, che riassume un intero secolo di tensioni, sopraffazioni e distruzione: la Guernica di Picasso. Un’opera che non ha bisogno di presentazioni, e che tutt’oggi grida un messaggio forte a tutte le generazioni. 

 

 

Luca Sperandio

 

 

[immagine tratta da Pixabay]

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