7 agosto 2015 Alvise Wollner

Gli scrittori hanno ucciso il cinema

Il cinema come l’abbiamo inteso durante tutto il corso del Novecento (e nei primi anni Duemila) è ufficialmente morto. O meglio, si è trasformato in qualcosa di nuovo e totalmente diverso, dal momento che la vera arte non muore mai, piuttosto si rigenera e diventa altro. Se il cinema che abbiamo conosciuto e apprezzato negli anni è ormai diventato un pallido simulacro di ciò che è stato in passato, la colpa (o il merito, a seconda dei punti di vista) va attribuita agli scrittori. Direte voi: ma gli scrittori ci sono sempre stati, anche e soprattutto durante l’età d’oro del cinema. Avete ragione, ma il grande cambiamento è iniziato quando gli scrittori hanno pensato di poter diventare i registi delle loro stesse opere e questa concezione è stata possibile solo grazie allo sviluppo delle serie televisive. Non ci vuole molto a capire che trasporre un libro (o una serie di libri) in un film di un’ora e mezza, limita e restringe enormemente il potere della carta stampata. Quello cioè di lasciare pieno potere all’immaginazione del lettore che dalle parole crea suggestioni che gli fanno vivere in prima persona il mondo descritto nel libro. Il film invece, non lascia niente all’immaginazione. Il film è la trasposizione visiva delle suggestioni che hanno colpito un regista. Ecco perché molte trasposizioni di classici della letteratura ci lasciano delusi quando li andiamo a guardare al cinema. Se il film però ha un tempo ben definito da rispettare, le serie tv possono per assurdo assumere una durata illimitata e raccontare nei dettagli tutte le vicende pensate e concepite dagli scrittori. Fateci caso: tutte le più importanti serie televisive degli ultimi anni nascono dalle idee di alcuni autori letterari che sono riusciti a mettere in secondo piano i registi in nome delle loro storie. Il più famoso è George R.R. Martin con il suo Game of thrones, ma anche Nick Pizzolatto e Beau Willimon autori di True detective e House of cards non sono affatto da meno.

Questi nomi, insieme a molti altri, rappresentano una nuova evoluzione dello scrittore in senso classico. Non sono più autori che si accontentano di scrivere storie cartacee, ma esigono che queste siano riprodotte secondo le loro idee sul piccolo schermo. Lo scrittore diventa così showrunner, una figura che non è solo uno sceneggiatore o un produttore. Questi nuovi personaggi assumono e licenziano, sviluppano la trama, riscrivono copioni, si occupano di budget e tengono i contatti con l’emittente televisiva, costruendo prodotti che assomigliano sempre più a lunghi libri visivi ma che hanno perso del tutto il contatto con il vero cinema. La serialità ha ucciso le pellicole del grande schermo, il dominio sempre più incontrastato di colossi come Netflix o Hbo sposterà tra un paio d’anni il focus dal grande schermo a piccole piattaforme multimediali come le smart tv, i tablet o i computer portatili. Andare al cinema diventerà lentamente obsoleto. Non è per forza un male, senza i cambiamenti non ci sarebbe il progresso, ma è incredibile notare come gli scrittori siano riusciti a destabilizzare nel profondo un’arte come il cinema, riuscendo a far prevalere il loro egocentrismo e l’amore per le loro storie sulla tecnica che le doveva trasporre in uno schermo. La carta stampata ha compromesso irrimediabilmente la pellicola, dimostrando che la parola e la capacità di sapere ideare e raccontare una storia, sono oggi ben più importanti del saper raccontare la vita attraverso una macchina da presa. Quello che conta non è più l’arte, ma l’entertainment, il riuscire a coinvolgere per più stagioni possibili uno spettatore, magari facendolo passare dalla tv al libro, raddoppiando i guadagni. E’ la storia che si evolve e fa il suo corso. Una fase di transizione strettamente legata al nostro presente, che in futuro avrà di sicuro nuovi e imprevedibili sviluppi proprio perché, come detto prima, l’arte non muore mai. Diventa semplicemente qualcos’altro.

Alvise Wollner

[immagine tratta da Google Immagini]

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