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La fotografia “umanista” di Doisneau: una labile e potente joie de vivre

Robert Doisneau, Across the century: si intitola così la mostra organizzata dall’Ente regionale per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia, visitabile a Trieste, al Magazzino delle Idee, fino al 23 giugno 2019. 

Un progetto «al tempo stesso semplice e ambizioso», come ha spiegato una delle figlie dell’artista, Francine Deroudille, che con la sorella Annette ha ritrovato in un baule la selezione di immagini presenti nell’esposizione. Una retrospettiva che riassume in 88 stampe in bianco e nero l’intero arco dell’attività artistica del grande fotografo francese, dl 1929 al 1987. Una flânerie nel XX secolo attraverso le tematiche care a Robert Doisneau (Gentilly, 14 aprile 1912 – Montrouge 1 aprile 1994): la vita di strada, i sobborghi, i bambini, Parigi, la ricostruzione della Francia dopo la seconda guerra mondiale. Si legge così su una parete della mostra: «La mia banlieu era piuttosto quella delle case a due piani, grigie e stupide, con angoli nascosti, parti staccate e rattoppate, e la gente che viveva tra le strade e il bistrot». 

Le fotografie d’epoca sono state selezionate dall’Atelier Robert Doisneau con l’intento di raccontare attraverso scatti celebri, come Le baiser de l’Hôtel de Ville (1950), il Baiser Blottot (1950) o L’information scolaire (1956), accostati ad altri meno noti, il fototropismo dell’autore che più ha celebrato la bellezza della quotidianità, come lui stesso dichiara: «Non cerco il sensazionalismo in modo particolare. Preferisco la testimonianza della vita quotidiana, la poesia nella quotidianità»

Essenziale ed empatico, Doisneau rifiuta sia l’engagement, sia l’esotismo, sia ogni sofisticazione formale; la sua fotografia risulta narrativa e “umanista”, lirica e umoristica: sensibile alle meraviglie del quotidiano, allo straordinario che si rivela nel profondo dell’ordinario, come diceva Victor Hugo, il fotografo non cerca il grande evento specifico ma capta, quasi montalianamente, quei momenti minuscoli, baluardo di grazia, quegli attimi di vita colti attraverso la maglia rotta della rete, depositari di bellezza: «[…] andavo ad aspettare non un evento speciale ma non sapevo bene cosa, con una testardaggine irragionevole,  a volte ricompensata da quel che mi pareva uno sprazzo di bellezza sorto dal grigiore». 

Cifra caratteristica dell’artista è poi l’umorismo, quel tocco di irriverenza che ha il piglio della leggerezza calviniana: Doisneau infatti non subisce mai l’azione ma si diverte a osservarla e ha un forte senso della derisione e della disobbedienza: «Mi piace quando c’è il ridicolo, o quando la scena è troppo ruvida o commovente, o quel che vi pare, ci si rifugia nell’umorismo […] C’è in me una cosa che nessuno dice e che non confesso mai: una certa giocosità. Mi piace giocare: lo faccio di continuo, con le forme, la luce, la gente, le situazioni»

Scatti rubati al caso, secondo il suo motto «suggerire è creare, descrivere è distruggere» o centesimi di secondo rubati all’eternità, come lui stesso diceva, perché «il fotografo di studio fa una coltivazione in serra, il fotografo di strada è invece un bracconiere», le fotografie di Doisneau celebrano liricamente la pienezza della vita, quella labile e potente joie de vivre, quella felicità propria dell’essere in armonia con la rilkiana melodia delle cose: «mi rifiuto di mostrare il lato nero della vita, non amo la bruttezza, mi fa male […] Ma la piccola malinconia, la commozione […] Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere».

 

Rossella Farnese

 

[In copertina, una delle opere più note di Doisneau. Photo credits: Atelier Robert Doisneau]

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