Scrive Huxley ne L’arte di vedere (Adelphi, 1989):
La mobilità è la condizione normale e naturale della mente che seleziona e percepisce.
Chissà cos’avrebbe pensato Huxley della P4C. Chissà se anche lui si sarebbe annoiato terribilmente assistendo a una lezione di storia della filosofia mascherata da laboratorio più o meno divertente, durante il quale i bambini vengono invitati a problematizzare temi grandiosi quali la verità, la giustizia, l’amicizia, il valore della vita e così via. Temi che i piccoli, specialmente quelli di quattro, cinque e sei anni non si pongono ed è giusto che sia così, almeno in quei termini.
Dell’amicizia i bambini ne hanno una conoscenza empirica: “Lui è un mio amico, stiamo sempre insieme e giochiamo insieme al pomeriggio”. Della tristezza, lo stesso: “Oggi sono triste perché non ho fatto colazione; l’altro giorno ero triste perché ero rimasto a casa da solo e mi annoiavo”. È difficile capire il motivo per cui si dovrebbero portare i bambini a ragionare su questioni che in certi termini non gli appartengono, quando il lavoro da fare sarebbe ben altro e ben più efficace. Ed è altrettanto difficile capire come mai si dovrebbe andare incontro al rischio di banalizzare la filosofia, ma soprattutto di annoiare il bambino, prima ancora che egli abbia imparato a condurre il proprio pensiero acquisendo un habitus mentale filosofico.
Se, dunque, la Philosophy For Children conserva un senso nei paesi anglofoni, dove la tradizione filosofica si è andata via via costruendo su problemi, temi e grandi questioni, essa lo perde completamente in Italia, dove un approccio di quella natura risulta sterile e privo di fondamento.
L’Italia è intrisa di filosofia, di pensiero umanistico. La maggioranza degli insegnanti della Scuola dell’Infanzia e della Primaria dialoga coi propri bambini e pur non conducendo una sessione di P4C fa pressapoco lo stesso lavoro e generalmente con buonissimi risultati. Se per gli insegnanti non è una novità leggere un racconto nel quale i personaggi discutono di argomenti importanti e formativi, è invece una novità assoluta condurre un laboratorio di filosofiacoibambini. In questo caso la filosofia non è che il miglior pretesto per abituare il pensiero a ragionare, per ampliare le possibilità immaginative, per allenare la mente a farsi strada tra le cose (prima) e tra le idee (dopo). La filosofia, sì, e non la storia della filosofia. Il pensiero, non la contingenza della storia, di qualunque storia, compresa la nostra.
“Filosofiacoibambini versus P4C” vuole essere una critica al metodo, agli strumenti e in parte alle finalità della P4C che se, da un lato, in Italia, ha avuto il merito di diffondere la parola filosofia anche tra i non addetti ai lavori, dall’altro ha la colpa di essersi appoggiata troppo all’esperienza americana, trovando in essa una gallina dalle uova d’oro da esportare ed esporre. In questo sensoFilosofiacoibambini, dal 2008 – anno nel quale la ricerca ha avuto ufficialmente inizio – a oggi, marca la differenza in maniera radicale sul piano educativo.
La filosofia che siamo stati abituati a conoscere al Liceo si fa da parte, mentre fa il suo ingresso il pensiero del bambino. Pensiero che non deve essere ulteriormente saturato di nozioni (a queste ci pensa già la scuola), situazioni e narrazioni (a queste già ci pensano i libri, i cartoni, i film d’animazione, i videogiochi, ecc.), ma a cui devono essere avvicinate vere e proprie esperienze filosofiche. Esperienze che precedono qualsiasi caratterizzazione particolare e che portano il gruppo classe a lavorare su oggetti, su primitivi che sono davvero le sole cose attraverso le quali potrà passare un tipo di apprendimento efficace, operativo, utile all’evoluzione del pensare critico del bambino e del suo futuro agire libero e razionale. Si rimanda dunque la storia della filosofia e l’approccio ai grandi temi a età più consone e si invita a considerare i risultati che la filosofiacoibambini, quale metodo originale, sta ottenendo tra i quattro e i nove anni d’età. Un’età critica per lo sviluppo di certe capacità esplorative del pensiero che, se allenate nella giusta maniera, possono diventare patrimonio inesauribile della persona che le possiede.
Fare filosofiacoibambini significa allenare il pensiero a indagare la realtà, senza fornirgli alcun appiglio. È un andare all’origine, uno spingersi alla fonte del pensiero, là dove i concetti si costruiscono e non vengono forniti già pronti e confezionati da un educatore che non aspetta altro che serrare le fila di ciò che si è detto, magari per trarne una morale o una conclusione di qualche tipo. Non occorre conoscere l’acqua, né sapere che fa bene ed è piacevole nuotare (a questo ci si arriva da soli), serve una mano a buttarsi in acqua. Ma la mano dev’essere dolce e fidata.
Carlo Maria Cirino – Filosofiacoibambini
[Photo credits Francesca Saltarelli]
Purtroppo molti insegnanti di filosofia hanno perso il vero ” senso e significato” della filosofia, cadendo nell’indottrinamento di nozioni e teorie e di soli insaturi concetti. Da giovane insegnante di filosofia, condivido ogni parola di questo articolo e mi viene alla mente il grande lavoro dei pensatori antichi come Socrate e il metodo maieutico rivisitato in età moderna nel pensiero di Kierkegaard come confronto e stimolo creativo e senso vitale negli indirizzi psicopedagogici.