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Filosofia da tastiera

Questo è il primo articolo che scrivo utilizzando il mio nuovo PC. Come prevedibile, questo vuol dire che ci metterò il doppio del tempo: il computer è più piccolo del suo predecessore, la tastiera idem, i tasti sono leggermente sfalsati e alcuni hanno del tutto cambiato di posizione. Il corpo ha ormai memorizzato i movimenti, scrivo senza guardare dove metto le dita sulla tastiera, e gli automatismi mi portano a cercare l’invio dove ora c’è la A accentata, o la freccia in alto dove ora incontro il tasto del maiuscolo. La tastiera non ha pietà di me, e mi osserva beffarda arrancare per apprendere nuovi automatismi, per adattarmi alla sua disposizione. Per imparare.

È stato Alan Turing, il geniale matematico che decrittò Enigma durante la Seconda Guerra Mondiale e che è a ragione considerato uno dei più brillanti matematici del secolo scorso, a coniare il termine learning machine, ovvero “macchina che impara”. Da bravo padre dell’informatica, Turing aveva teorizzato quella tipologia di algoritmi euristici denominati “algoritmi genetici” che sono alla base della moderna intelligenza artificiale, una serie di quesiti a risposte multiple (brutalmente riassumibili nella formula “se x allora y”) che permette ai software di memorizzare pattern logici, riconoscerne di analoghi e imparare a risolvere problemi sulla base dell’esperienza appresa.

Senza andare a cercare meraviglie moderne come i computer quantistici, anche il mio PC è nel suo piccolo una learning machine, che si struttura diversamente a seconda delle abitudini e delle preferenze dell’utente. Eppure, alle prese con il nuovo acquisto, sono io che mi sento una learning machine, io che percepisco di stare adattandomi alla macchina, capirne il funzionamento, insegnare nuovamente alle mie dita dove sono i tasti giusti, imparare le specifiche del nuovo sistema operativo, sempre più intuitivo ma comunque percepito come più complesso rispetto a una vecchia versione che era ormai diventata un’estensione del mio pensare e del mio lavorare.

Ecco, forse sta qui il cuore del problema: più che uno strumento che uso, il computer monopolizza la mia attività fin quasi a diventare una parte di me. Quando provo a scrivere a penna ormai mi sembra di essere un Neanderthal che impugna una clava, e ne condivido la grazia e la leggiadria. Mi è poi diventato impossibile andare da qualunque parte senza quell’onnipresente surrogato del PC che è il cellulare, altra potentissima learning machine che mi condiziona molto più di quanto non faccia io con essa. La possibilità di usare il navigatore per arrivare a destinazioni sconosciute senza studiarsi una cartina, di cercare rapidamente su internet qualsiasi informazione mi serva, di leggere il giornale, consultare l’agenda, scambiare comunicazioni con famiglia, amici e lavoro, consultare orari di negozi e cinema, giocare, controllare il meteo, fare di conto e quant’altro tutto su uno stesso strumento ha radicalmente trasformato le mie abitudini e il mio modo di vedere il mondo e muovermici dentro.

Più ci penso, e più realizzo che la learning machine nel mio rapporto con le tecnologie digitali sono proprio io. Sono io che volta volta devo imparare a modificare la mia vita e le mie abitudini in funzione di un nuovo computer, un nuovo telefono, una nuova app, una nuova risorsa tecnologica di cui non sapevo di avere bisogno ma che diventa indispensabile. Sono io che vengo “riprogrammato” per essere compatibile con i nuovi sistemi.

Purtroppo, però, come intelligenza artificiale non risulterei un buon acquisto: ci metto decisamente troppo a sviluppare nuovi automatismi, sono talmente refrattario alle novità che ancora uso un’agenda cartacea, e da bravo essere umano ho una garanzia limitata data da un hardware in progressivo deterioramento. Dovrò accontentarmi di essere una fallace e imperfetta intelligenza organica in mezzo a sempre più perfette macchine che, loro sì, imparano velocemente.

 

 

 

[Photo credit Christin Hume via Unsplash]

Giacomo Mininni

inquieto, contemplativo, curioso

Vivo da sempre a Firenze, non solo una città, ma un modo di essere. Sono filosofo morale, ma successivamente mi sono specializzato in filosofia delle religioni, e ho lavorato anni nell’ambito del dialogo interreligioso e dei progetti di collaborazione tra fedi e confessioni diverse. Sono felice padre di una bellissima bambina, che pur avendo poco […]

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