16 aprile 2015 lachiavedisophia

Felicità…#100!

Si legge da un frammento di T. S. Eliot da quattro quartetti:

“I momenti di felicità…

ne abbiamo avuto esperienza, ma ci è sfuggito il significato”.

Che cosa voglia dire essere felici è una questione che vanta secoli di riflessioni filosofiche; vari modelli di eu̯dai̯monía si sono susseguiti per capire quale fosse la vera vita felice. La felicità viene collocata da molti filosofi come il fine ultimo di ogni uomo, ma la querelle su cosa voglia dire essere davvero felici sembra senza fine.

Cos’è che ci rende felici? E cosa ci svela la semantica della parola “felicità”? Essa è un accadere o un attendere? È qualcosa che va perseguito o ci imbattiamo in essa per puro caso? È qualcosa che esiste per sé, o non è altro che il piacere provato dalla cessazione del dolore?

Stando al modello tragico, il capriccio divino sembra essere l’unico responsabile (e garante) della felicità umana e quest’ultima, così come ci mostra Sofocle nella tragedia dell’Edipo re, non è altro che immagine fragile di “un’ombra che subito precipita”. Tale angoscia sull’instabilità cessa quando iniziamo a concepire la felicità non solo come “fortuna”, indipendente dal libero arbitrio, ma come qualcosa che l’uomo deve coltivare da sé. Scopriamo che l’anima, per il filosofo, può divenire dimora della felicità, quale benessere, cura di sé e assenza da turbamenti. Ma felicità è ancora tanto altro: è l’equilibrio del giusto mezzo, o all’opposto, è edonismo espansivo senza limiti. L’infelicità, perciò, non è altro che il prezzo da pagare da parte della stupidità umana, la quale, cieca difronte ai bisogni veri dell’anima, si imbatte in cose inutili o peggio ancora dannose.

Anche filosofiacoibambini s’interroga su questo e cerca di farlo cambiando prospettiva; ci sediamo in cerchio accanto ai bambini e ne parliamo con loro: la domanda che ci interessa non è “che cos’è la felicità?”, ma piuttosto “quali sono le cose che rendono felici?”. Una lunga freccia verticale viene così tracciata su un foglio: più si sale e più la felicità aumenta, più si scende più diminuisce trasformandosi nel suo opposto, la tristezza.

Cose che rendono felici: i piccoli, ad alzata di mano, elencano una svariata quantità di cose che li rendono tali. I bambini non si chiedono se quelle “cose” fanno felici tutte le persone in generale o solo loro individualmente, ma questo poco importa, rendono felici e basta.

La sensazione che si percepisce immediatamente è la semplicità con cui i bambini vivono il presente. Senza pensarci troppo, per loro felicità è qualcosa che, anche avendola provata una sola volta, li ha fatti stare bene. Le parole dette sono varie, ma tutte riflettono il loro punto di vista in una determinata situazione.

Se fuori è iniziata la primavera, felicità sono “i fiori rosa che si vedono sugli alberi”, felicità è “la sorpresa che trovo dentro l’uovo di Pasqua”, oppure “le vacanze di Pasqua” che la primavera porta con sé.

Felicità, per i bambini, è un giusto equilibrio fra il dare e prendere qualcosa di bello: “ricevere un regalo”, “dare un bacio a un amico”, “regalare dei mazzi di fiori o una collana a qualcuno”, oppure “prestare un giocattolo a un bambino”. Felicità sono i luoghi con le persone che li fanno stare bene: “la mia casa”, “la scuola con i miei amici”, “quando vado a casa della nonna” o il “parco giochi quando festeggio il compleanno”. Felicità è il bello estetico che la natura gli offre, “un’ape su un fiore”, “i colori di una farfalla”; oppure, sono le singole cose che arrivano alle loro menti in maniera intuitiva ed immediata: “le campane che suonano”, “un gelato”, “un biliardino”, “una torta con le candeline”, o “un fiume che vedi scorrere”. Felicità sono le emozioni e le relazioni che instaurano con persone ed animali. Ricorre spesso l’immagine dei cuori che simbolicamente rimanda a diversi riferimenti: “amore per la mamma e il papà”, “un cucciolo da tenere in braccio”, due amici che insieme fanno “tutto, tutto, ma proprio tutto!”. Ci sono poi cose che, dette con entusiasmo massimo, sono così rare e stravaganti da conquistarsi le posizioni più alte nella scala della felicità. “Vedere cosa c’è sulla luna”, “andare nello spazio”, “trovare una perla vera dentro la conchiglia in fondo al mare” sarebbero per i bambini felicità… cento!

Come piccoli filosofi -con sofisticati ragionamenti e dettagliate parole- i bambini sono in grado di capire la diversa importanza delle cose che rendono felici. Per esempio, “l’anello al dito di due persone che si sposano” rende più felice di “avere tanti regali per il compleanno”. “Non avere nessuno con cui giocare” è di certo molto più triste del “dover mangiare il minestrone con le verdure” o ancora, che “la noia” è più triste di un “gioco rotto”, ma molto meno triste del “dover andare all’ospedale”.

Le cose tristi, si sa, rendono tristi; ma perché fissarsi su di esse quando una cosa felice può risolvere tranquillamente una che non lo è?

Sono stupita nel vedere la creatività e la dinamicità di pensiero con cui, trovando molte alternative e soluzioni, riescono a reinterpretare cose spiacevoli in chiave piacevole. Ecco che un cucciolo può aiutare a risolvere la tristezza dell’ospedale: “se tu lo tieni in braccio, questo ti fa passare la voglia di essere disperata!”. E come può la primavera risolvere la tristezza del gioco rotto? È facile: “in primavera c’è Pasqua e quindi le uova potranno avere dentro un gioco uguale a quello rotto!”. E un disegno, come può risolvermi il fastidio dato dal quel qualcuno che ti spegne la tv sul più bello? “Beh, faccio una televisione di carta, mi metto dentro e gli altri mi devono guardare!”.

Così pensando e ragionando, ogni apparente problema ha svariate possibilità di soluzione. Finito il laboratorio esco e penso.

Penso che molte persone, soprattutto noi adulti, ritengano che la felicità sia qualcosa di estremamente complesso, che occorra guadagnarsela con molta fatica, che sia un investimento di tempo o la ricompensa a una giusta causa. Molti, ragionando così, seguono la massima del “Se sei felice, non gridare troppo: la tristezza ha il sonno leggero”.

Le cose però non stanno proprio così. Dopo aver parlato e ascoltato le idee e i pensieri dei bambini in classe, mi sento più leggera. Dopotutto capisco che mi piace (molto) di più pensare alla felicità come tanti piccoli cambiamenti che ognuno di noi, con serenità, dovrebbe mettere in atto per vivere bene gli eventi che puntualmente accadono. Per questo le parole di Seneca mi sembrano più che mai vere e pertinenti: “La felicità è un bene vicinissimo, alla portata di tutti: basta fermarsi e raccoglierla.”

Giorgia Aldrighetti -filosofiacoibambini-

www.filosofiacoibambini.net/it/

 

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