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Difendere il pensiero umanistico: per una grammatica dell’immaginazione

Viviamo in tempi in cui trionfa il pensiero scientifico, cioè il dominio razionale, conscio, ordinato, del pensiero dell’azione. Meglio ancora se il pensiero razionale porta a risultati concreti, bisogna che il sapere sia utile. Basta con il sapere per il sapere, concretezza e immediatezza sono le parole d’ordine; perfino i filosofi per sopravvivere sono diventati consulenti di vita pratica, e quindi anche la Filosofia si piega a offrire consigli per affrontare la quotidianità. Nelle scuole vengono raccomandati corsi che “preparino alla vita” e anche se Einstein diceva “L’immaginazione è molto più importante della conoscenza” nella selezione delle discipline si continua a preferire la conoscenza utile, spendibile nel mondo del lavoro, concreta, naturalmente relegando in secondo piano Letteratura e Arte. Importanti case editrici chiudono collane dedicate alla Poesia,non perché non ci sono più poeti, ma perché nessuno le compra.

Letteratura, Poesia, Arte si stanno estinguendo e con esse una facoltà fondamentale per gli esseri umani: l’immaginazione. Gli insegnanti non dovrebbero limitarsi a insegnare nozioni prefabbricate, oppure i tanto conclamati “metodi” di ricerca, il loro è un compito molto più importante, creativo, cioè devono educare, ovvero “portar fuori” l’allievo, indirizzarlo verso la libertà di pensare e creare, aiutarlo a capire che il futuro è una potenzialità anche per lui a prescindere da ceto sociale e difficoltà della vita, un futuro che ciascuno può immaginare e costruire. Non è detto che i frutti dell’immaginazione debbano essere solo Arte e Poesia: anche le iniziative produttive più nuove sono nate da essa, cioè il saper pensare il futuro che si forgia sulla base della capacità di generare idee originali. Ma coltivare l’immaginazione significa avere del tempo libero davanti, provare desideri per un tempo lungo, desideri importanti, per realizzare i quali è necessario sforzo, riflessione e voglia di mettersi in gioco. Una società in cui ogni desiderio è creato artificialmente, e subito realizzato attraverso l’acquisto, non valorizza l’immaginazione. Una società in cui invece di leggere, ascoltare musica, andare al cinema prevale l’abitudine a dedicare la maggior parte del tempo a giocare sul tablet, a controllare i social e a fare giochetti elettronici non favorisce l’immaginazione.

Solo ciò che si immagina comincia a essere vero, anticipa la realtà, la rende possibile. Si può pensare al futuro solo se abbiamo speranza, fiducia in qualcuno, solo se ci è stata fatta una promessa. I giovani per pensare in modo creativo al futuro hanno bisogno di una promessa da parte degli adulti, i quali promettendo, promettono se stessi, il proprio appoggio, la propria solidarietà, rinnovando così il tradizionale patto tra generazioni che oggi sembra vivere senza un prima, e quindi senza un poi, in un eterno presente. Certo abbiamo conquistato una libertà assoluta da ogni senso di appartenenza, intesa come far parte di una comunità, una famiglia, uno Stato, ma questa tanto ambita libertà ci rende molto fragili, incapaci di immaginare un futuro, soprattutto dal momento che non sappiamo più vivere con calma e felicità il nostro lato contemplativo e riflessivo, l’unica condizione che ci permette di conoscere e ampliare la nostra interiorità, matrice di ogni capacità di immaginazione. Solo approfondendo la nostra vita interiore possiamo orientarci nella vita, scoprire il nostro personale cammino e credere nel futuro, cioè immaginare cosa saremo. E’ nell’immaginazione che ogni cambiamento acquista diritto e possibilità di esistenza. Oggi sembra che a questo vuoto di immaginazione umana, a questa crisi di futuro, si possa rispondere solo in modo utopico e standardizzato riproponendo la canzone Imagine, che viene suonata nelle occasioni in cui si vorrebbe far rivivere la speranza, ma non basta. Per far sperare ci vuole molto di più, ci vuole un addestramento umano, una grammatica dell’immaginazione umana che stiamo perdendo.

Matteo Montagner

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