Home » Rivista digitale » Filosofia pratica » Mondo » Da Nietzsche alla musica: quando la società non sa ascoltare

Da Nietzsche alla musica: quando la società non sa ascoltare

Qualche sera fa sono stato ad ascoltare un concerto del Duo Symphonia per ricordare Bach. Quello che mi ha più colpito è l’accostamento di due strumenti solisti, una formazione di Organo e Pianoforte che suonano insieme, un mix apparentemente antitetico che però rivela all’ascolto sorprendenti e piacevoli sonorità. La musica trae la propria forza dalle differenze timbriche in una convivenza di “mondi opposti”. Il tutto era poi condito dall’utilizzo di ICT per riprodurre alcune sonorità dell’Organo e spartiti digitali.

Possibile che anche il mondo della musica riesca a dimostrare più innovazione e creatività della società e del mondo della politica? La differenza è percepita sempre come qualcosa di negativo e quasi mai come dialettica positiva ed è così che le persone se ne stanno rinchiuse in piccoli mondi, con le loro etichette, stando sempre a guardare le poche cose che ci dividono rispetto a quelle che ci uniscono.

Tutto questo mi ha riportato alla mente il rapporto sussistente tra musica e innovazione, perché come aveva ben osservato Nietzsche, qualche volta il mondo della musica anticipa quello della storia dell’uomo e della filosofia, una comprensione così profonda da condurlo al rapporto amore-odio con il celebre compositore Richard Wagner.

Tutto questo apre una opportunità di fare una bella riflessione su follia e innovazione: essere pazzi, essere visionari significa anche essere innovativi. Mettere accanto un Organo e un Pianoforte come fanno i Duo Symphonia sarebbe stata ritenuta una vera eresia per la concezione classica degli strumenti, ma allora come mai tale accoppiata risulta vincente? Che cosa non riuscivano a vedere i predecessori di Roberto Scarpa e Giuseppe Iampieri?

Come segnalato da M. Clark1, la definizione dell’uomo come animale razionale è troppo ottimistica: per lo più per ignoranza o per impazienza le persone tendono a trarre conclusioni affrettate e a fraintendere l’evidenza.

Tutti siamo portati a costruire le nostre credenze sulla base di motivazioni e per questo le credenze tendono a generarsi in modo non obiettivo, in modo quasi disonesto, perché spesso dietro alle nostre credenze si cela anche la nostra poca autostima2. In questo senso penso che Nietzsche sia stato indubbiamente un precursore nel denunciare questo genere di fenomeno descritto da Clark e da altri autori successivi.

Prendendo in considerazione gli aspetti più propriamente legati alla salute mentale di Nietzsche nella fase terminale della sua vita, è da rilevare che una diagnosi sul quadro clinico di un paziente dipende anche dallo sguardo degli osservatori, dalle categorie concettuali, dagli strumenti diagnostici e, in ultima analisi, dalla “filosofia” che essi adottano3.

Spesso quelle che vengono definite come patologie sono in realtà “disturbi mentali” dovuti all’incapacità di osservare la realtà da un approccio convenzionale, omologato e supinamente guidato dalle convenzioni sociali.

Purtroppo la psichiatria dei suoi tempi era piuttosto rozza e i medici non riscontrarono in Nietzsche con certezza caratteri psicopatici, né è provato che abbia contratto la lue, ma la diagnosi fu che egli soffrisse di una nevrosi, essenzialmente alimentata da conflitti psicologici; la sua malattia mentale è stata probabilmente una paralisi progressiva4.

La “notte” dell’ottenebramento psichico di Nietzsche calò su di lui tra il 28 dicembre 1888 e il 3 gennaio 1889, senza che nessun testimone potesse poi chiarire cosa avvenne in realtà nel suo appartamento di Torino dove alloggiava5.

Probabilmente Nietzsche nell’ultimo tormentato periodo della sua vita, prima di rassegnarsi al silenzio, si sentì abbandonato, sentì di essere rimasto solo, senza nessuno su cui poter contare veramente:

«noi siamo dalla nascita gli amici giurati e gelosi della solitudine, della nostra più profonda, più notturna e più meridiana solitudine – una tale specie di uomini siamo noi, spiriti liberi!»6.

Forse in un momento che egli stesso giudicava certamente critico comprese che per affrontare quanto ci attende fosse necessario sempre fare i conti con ciò che si è stati e con ciò che non si sarà più, e in questo può essere compresa anche la riflessione sull’Eterno ritorno dell’uguale7.

In un suo aforisma dice:

«Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te»7.

Forse Nietzsche nell’ultimo periodo di lucidità volse semplicemente lo sguardo caustico che lo caratterizzava non al di fuori, ma verso l’interno, decidendo di scrutare e saggiare il suo stesso animo. Forse riteneva che, sollevate tutte le maschere sotto le quali si celava il vero volto della società, fosse giunto il momento di verificare quanto di quel vecchio mondo che aveva tentato di superare continuasse a vivere nei meandri più reconditi della sua anima. Di addentrarsi cioè in quei «prosceni e quinte che nessun piede riuscirebbe a percorrere sino alla fine»9.

Egli quindi intraprese un cammino di decostruzione della sua stessa identità. Ritenendo la riflessione su ciò che lo circondava ormai esaurita a questo punto iniziò quella verso se stesso e questo è fattibile solo nel raccoglimento dato dalla solitudine.

Zarathustra, il viandante sotto la cui maschera si cela lo stesso Nietzsche, dice:

«Io sono un viandante che sale su pei monti, […] io non amo le pianure e, a quanto sembra, non mi riesce di fermarmi a lungo. […] adesso mi trovo davanti alla mia ultima vetta, a ciò che più a lungo mi fu risparmiato. Ahimè, ahimè sono obbligato a salire su per il più duro dei sentieri! Ahimè, ho dato inizio alla più solitaria delle mie peregrinazioni! […]. Tu però, Zarathustra, hai voluto vedere il fondo e il sottofondo di tutte le cose: e già questo ti obbliga a salire al di sopra di te stesso – sempre più in alto, finché anche le tue stelle si trovino al di sotto di te! Sì! Guardar giù verso me stesso e persino verso le mie stelle: solo questo può voler dire la mia vetta per me, questo mi è ancora rimasto come la mia ultima vetta! […]. Conosco la mia sorte, disse infine con mestizia. Orsù! Io sono pronto. Or ora è cominciata l’ultima mia solitudine»10.

Nietzsche ben comprese l’importanza di mettersi sempre alla prova e che la stasi equivaleva a una morte prematura, un dissiparsi delle potenzialità creative. Infatti il filosofo, prima professore di straordinario talento a Basilea dove raggiunse una cattedra stimabile in età molto giovane, una volta resosi conto di aver espresso tutto quello che aveva da dire in quell’ambito, decise di dedicarsi completamente alla cura ed elaborazione delle sue Opere attraverso le quali esprimere le proprie idee.

Dove Maurizio Ferraris scorge megalomania e pazzia io scorgo il continuo tentativo di superarsi, di affinare le tecniche in grado di esprimere la complessità di un linguaggio completamente da ricostruire dopo che egli stesso aveva contribuito a decostruirlo, cosa invece colta con grande acume come un nodo tematico fondamentale da K. Galimberti11.

Non è quindi così fuori luogo pensare che Nietzsche comprese che se il potere è controllo allora solo chi è incontrollabile, chi è pazzo, è oltre il potere. Fu forse per questo che si incamminò su quella via dalla quale non fece più ritorno:

«talvolta la follia stessa è la maschera per un sapere infelice e troppo certo»12.

Come rilevato da R. Escobar il destino di Nietzsche è stato quello di naufragare nella follia a conclusione del suo tentativo di intraprendere un disperato e lucido esperimento esistenziale ed intellettuale13.

La ricerca, la biografia, la creazione di nuovi sensi e la riscrittura di linguaggi che continuano a rigenerarsi in milioni di sfumature diverse, Nietzsche le note di Bach di quella sera e in generale il nostro bisogno di attribuire continuamente nuovi sensi alle cose non è forse la più intima natura del nostro modo di esistere?

Forse la società e il mondo dell’economia dovrebbero mettersi in discussione recuperando in accezione positiva l’elemento della follia come quella capacità di mettere insieme cose apparentemente incongruenti che non si limitino a essere la somma di singole parti, ma nell’interazione e nel mescolamento del tutto si genera qualcosa di nuovo. Non è forse questa la chiave più intima della creatività?

Nella musica i Duo Symphonia ci stanno provando, la società e l’economia staranno a guardare o sapranno trarre una importante lezione?

 

Matteo Montagner

 

NOTE

1. M. CLARK, I paradossi dalla A alla Z, trad. it. di A. Pedeferri, Milano, Cortina, 2004.
2. Ivi, pp. 15 – 18.
3. Cfr. H. WULFF, S. A. PEDERSEN, R. ROSENBERG, Filosofia della medicina, trad. it. di A. Parodi, Milano, Cortina, 1995.
4. Diagnosi del Dott. K. Hildebrandt del 29/08/1900 (Nietzsche era morto il 25/08/1900) in F. NIETZSCHE, Epistolario (1865-1900), a cura di B. Allason, Torino, Einaudi, 1969, p. 345.
5. Cfr. H. ALTHAUS, Nietzsche, op. cit., p. 545.
6. F. NIETZSCHE, Al di là del bene e del male, op. cit., p. 51.
7. Cfr. F.NIETZSCHE, Il nichilismo europeo, trad. it. di S. Giametta, Milano, Adelphi, 2006.
8. F. NIETZSCHE, Al di là del bene e del male, op. cit., p. 79.
9. Ivi, p. 50.
10. F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, op. cit., pp. 177 – 179.
11. Cfr. K. GALIMBERTI, Nietzsche una Guida, Milano, Feltrinelli, 2000.
12. F. NIETZSCHE, Al di là del bene e del male, op. cit. p. 194.
13. Cfr. R. ESCOBAR, Nietzsche e la filosofia politica del XIX secolo, op. cit, p. 217.

 

[Immagine tratta da Google Immagini]

banner-pubblicitario-La chiave di Sophia N6

Gli ultimi articoli

RIVISTA DIGITALE

Vuoi aiutarci a diffondere cultura e una Filosofia alla portata di tutti e tutte?

Sostienici, il tuo aiuto è importante e prezioso per noi!