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Criminale per natura, anarchico per passione

Un criminale violento e brutale o un eroe romantico ed un idealista?

Come consuetudine la società detta dei canoni al di fuori dei quali stanno l’immigrato, il pazzo, il criminale e il pervertito. Ecco, Severino di Giovanni rappresentava l’amalgama di questi quattro ingredienti.
Era un immigrato. Originario di Chieti, nel 1923 giunse con la moglie Teresina e il primo figlio a Buenos Aires, una città da sempre punto di approdo per numerose persone. Nonostante l’Argentina fosse una babele di volti, l’immigrato era visto in ogni caso come un elemento di destabilizzazione.
Era un pazzo. Secondo le teorie lombrosiane, molto diffuse in Sud America, gli anarchici come Severino altro non erano che persone insane mentalmente da sbattere in manicomio.
Era un criminale. Il giovane chietino (o teatino) era un espropriatore e considerava l’uso della violenza uno dei possibili canali per legittimare le proprie idee. Ovviamente gli attacchi dinamitardi, gli assalti alle banche e gli omicidi a brucia pelo erano indirizzati contro precise personalità e precisi obiettivi.
Era un pervertito ed un adultero. Lasciò la moglie, alla quale non fece e non farà mancare nulla, dopo essersi invaghito di una minorenne, Josefina America Scarfò, sorella del suo compagno di idee Paulino.
Inoltre era ateo in una società ultracattolica come quella sud americana.
In breve, Severino di Giovanni rappresentava la figura paradigmatica dell’antiargentino, dell’antioccidentale capace di catalizzare tutti gli istinti di una collettività bramosa di vederlo al patibolo. Un desiderio che venne esaudito il primo febbraio del 1931.

Come al solito un plotone d’esecuzione ha cancellato ogni dubbio – ogni perplessità – ogni

tentativo di ricerca della verità.

Il giochino è semplice e viene ripetuto ogni volta: c’è un mucchio di merda talmente grosso

che non si riesce nemmeno a sotterrare – bisogna distogliere in qualche modo l’attenzione

dalla puzza nauseante – allora si prende un anarchico, uno di quelli che non stanno tanto

tranquilli, uno di quelli che alle parole fanno seguire i fatti, e lo si trasforma nel colpevole di

tutto ciò che di male succede. Se poi quell’anarchico è anche un immigrato italiano, tanto

meglio.

(N. Francalanci, L’anarchico che cade nelle mie mani deve aver litigato con la vita se continua

a essere anarchico, Robin Edizioni, Roma 2007, p. 90)

Severino, però, era molto altro.

Era un tipografo. Nell’agosto del 1925 fondò il periodico “Culmine” per diffondere le idee anarchiche tra la classe operaia e per fare luce sugli omicidi commessi dalle forze d’ordine locali e dai fascisti residenti in Argentina.
Era un lavoratore instancabile. Oltre a curare la stesura del suo periodico, manteneva contatti assidui con altre realtà anarchiche come quella vicino al giornale newyorkese “L’Adunata dei Refrattari”.
Era un idealista. Anche se votato all’azione, l’immigrato teatino conosceva approfonditamente il pensiero anarchico: sia gli ideali più sublimi, sia i limiti più penalizzanti.
Era un poeta. Le sua musa era America, una giovane donna molto più matura rispetto alle sue coetanee alla quale dedicò versi intrisi di passione:

…Perdernos entre el verdor, lejos, lejos… caminar del brazo en esta aurora hacia

un horizonte intangible e inalcanzable, siempre unidos, siempre fuertemente

ligados como dos hiedras sorbiéndonos la propia existencia una de la otra,

y cantar la rapsodia heroica de la vida difícil.

(Lettera di Severino di Giovanni per America, 10 settembre 1928)

Chi era quindi Severino Di Giovanni? A voi il giudizio dicotomico, a me la complessità.

Marco  Donadon

 

Fonti:

  • Bayer O., Severino Di Giovanni, Un idealista de la violencia, Txalaparta Argitaletxea, Tafalla 2000.
  • Cattarulla C., “Anarchici italiani in Argentina: Severino di Giovanni, l’uomo in camicia di seta”, in DEP. Deportate, esuli, profughe, n.11, Ca’Foscari Venezia 2009.

 

Immagine:

  • http://www.hacerselacritica.com/tacticas-y-eticas-los-ojos-de-america-por-paola-menendez/

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