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Desiderare: abitare il cuore per incontrare l’altro

Nella società odierna, ossessionati dai profitti e dai trend economici, abbiamo creduto sempre più che ciò che abbia il potere di muovere ogni nostro processo, dandogli una garanzia di riuscita, dipenda esclusivamente da fattori esterni, necessari ma spesso non sufficienti, perché ciò che davvero conta esiste fuori solo nella misura in cui è presente già dentro di noi.

Tra questi, un ruolo importante spetta al desiderio, motore propulsivo della nostra vita ma, allo stesso tempo, luogo esistenziale poco abitato. Desiderare, nel senso comune, è prefigurarsi un arrivo, è avere degli obiettivi da raggiungere, è realizzare un sogno, essendo molto spesso inteso più come un evento che debba avverarsi da sé piuttosto che come un cammino da dover percorrere in prima persona.
La culla del desiderio è, infatti, il cuore, poiché esso non nasce da un calcolo o da un ragionamento logico, ma è frutto di un’intuitio cordis che prende vita prima nel cuore e solo dopo, forse, nel mondo. Nessun desiderio è sinonimo di casualità né di coincidenza, bensì proviene dalla nostra esperienza personale e si attiva nel momento stesso in cui viene intuito.

Pascal avrebbe detto che «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce»1, intendendo che ogni realtà – cuore o ragione – segue un proprio ordine, un modo tutto singolare di conoscere le cose. Ed è proprio vero.
Il desiderio è però spesso totalmente identificato nel suo oggetto: “Cosa desideri in questo momento?” ci viene chiesto, ma di rado sentiamo dire: “Stai desiderando davvero qualcosa?. Riprendendo Heidegger e la sua celebre domanda metafisica, potremmo dire che la questione dovrebbe passare dal piano dell’ente al piano dell’essere2, dando maggiore risalto a un processo interiore che ha, in potenza, la funzione di accompagnare l’intero percorso della nostra vita.

Effettivamente, ciò che ci cambia nel profondo non è solo il desiderio ma soprattutto il desiderare, fatto di attese e di speranze – tutt’altro che effimere – che si concretizzano attraverso le nostre decisioni ed i nostri passi quotidiani. Nel processo del desiderare, infatti, spesso maturiamo e orientiamo il nostro sguardo a tutto quello che è davvero essenziale nella nostra vita e, non a caso, a volte siamo noi stessi che, desiderando, mettiamo a fuoco il desiderio sotto una luce diversa e lo vediamo per ciò che realmente è. Di conseguenza, diventerà allora controproducente focalizzarsi, come accade nella nostra ordinarietà, molto di più su un non ancora, dall’essenza incerta, che sposta pericolosamente le nostre attenzioni esclusivamente su un orizzonte temporale futuro che non siamo in grado di controllare del tutto.

Spesso ascoltiamo storie affascinanti sui desideri, su chi ha compiuto grandi imprese pur di realizzarli; altre volte, invece, il desiderio diventa supremazia, affermazione del proprio ego ed esclusione dell’altro. Proprio a tal proposito sorge una questione: è giusto utilizzare ogni mezzo per realizzare un proprio desiderio? A primo impatto, molti risponderanno in modo negativo, ma se tale desiderio personale fosse orientato all’altro, come nel caso di voler rendere felice una persona a noi cara, sarebbe ancora illecito ricorrere ad ogni metodo pur di raggiungerlo? Qui forse la risposta non sarebbe così scontata. È necessario affermare però che nessuno può imporre i propri desideri, nonostante i nobili intenti e per quanto si possa intuire il bene dell’altro, perché quel bene deve essere sempre frutto di una scelta personale. Emmanuel Lévinas direbbe, in termini più precisi, che il carattere dell’altro è l’«infinito»3, ed è quindi erroneo rinchiuderlo nelle nostre categorie mentali. L’altro è, piuttosto, il luogo in cui abbiamo la possibilità di abbandonare il nostro egoismo – consapevole o inconsapevole – per entrare nella reciprocità, vera dimora del noi, incontro tra libertà.
Bisognerà quindi considerare che, anche qualora il proprio desiderio fosse la felicità altrui, non si potrà, a priori, dare un’idea di felicità – rischiando di proiettare la nostra prospettiva su quella dell’altro –, ma si dovrà capire e chiedere a chi si ha davanti quale sia il suo bene. Solo allora, ed in tali circostanze, si potrà pensare di sostituire, alla logica dell’imposizione, la volontà di regalare il proprio desiderio, sperimentando la possibilità esistente e poco usuale di desiderare nel desiderio di chi amiamo.

Il cuore diventa, così, la nostra officina dei desideri: spesso vi siamo già dentro, tante altre volte vi entriamo per riparare i desideri degli altri. Perché, a volte, è nell’atto stesso del desiderare che vi è già un desiderio realizzato.

 

Agnese M.C. Giannino

 

Agnese Giannino è una dottoressa in Scienze Filosofiche.  Dopo la laurea triennale in Filosofia presso l’Università degli Studi di Catania, consegue cum laude, nel medesimo Ateneo, il titolo magistrale in Scienze Filosofiche, presentando una tesi in ambito bioetico. Appassionata di etica ed innamorata dell’insegnamento, ha lavorato nella formazione e, ad oggi, continua ad approfondire i propri studi.

 

NOTE:
1. B. Pascal, Pensieri, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996, pensiero 277, p. 218.
2. Cfr. M. Heidegger, Che cos’è metafisica?, Adelphi, Milano, 2001.
4. E. Lévinas, Totalità e infinto, Jaca Book, Milano, 1980, p. 47.

[Photo credits unsplash]

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