12 novembre 2015 Giacomo Dall'Ava

Colpa di Rossi? Chiediamolo alla filosofia

Appassionati o meno di motociclismo, da un po’ di tempo siamo stati costretti dai media (o da chi a sua volta ha costretto i media) a diventare esperti di qualcosa che fino a qualche settimana fa non ci interessava minimamente. Bandiere a mezz’asta in giro per l’Italia per un evento così lontano dalle nostre vite, dalle nostre precedenti passioni. Eppure sono state sentite persino signore dal parrucchiere che commentavano la vicenda di Rossi, di un certo Rossi che ha spinto o non ha spinto un tale Marquez.

L’epilogo lo conosciamo tutti: penalizzazione per il pilota italiano, che si è visto scivolare dalle mani un titolo mondiale all’ultima gara della stagione.

Una volta spogliati del patriottismo in stile bar sport, l’interesse per la faccenda tornerà al livello che gli compete e riprenderemo a commentare le partite di calcio.

Ma per una volta potremmo invece soffermarci su questo fatto qualunque, un episodio noto ai più, che fa ancora tribolare gli animi di molte persone: Valentino Rossi è colpevole della caduta dell’avversario? La sua azione è stata intenzionale? Ha meritato la penalizzazione e la pressoché matematica certezza di non vincere il mondiale?

Lontani dal volerci porre a giudici di un fatto sportivo, possiamo però valutare filosoficamente l’operato del pilota italiano. Reato colposo o doloso?

Per poter valutare come intenzionale un’azione bisogna che il soggetto decida di agire per  raggiungere uno scopo. C’è bisogno del desiderio di arrivare a un obiettivo, indipendentemente dalle azioni che saranno compiute (tutte comunque intenzionali). Non si  tratta di  alcun giustificazionismo tra mezzi e fine (non ce ne voglia Machiavelli), dato che ogni azione che concorre allo scopo prefissato sarà giudicata intenzionale, come fosse un tassello del grande mosaico che raffigura il nostro obiettivo: ne saremo quindi pienamente responsabili.

L’intenzione di fare qualcosa coordina tutte le azioni necessarie per raggiungere  l’oggetto  del  nostro  desiderio e ne facilita il verificarsi, come spiega  Searle. L’intenzione è il collante che tiene assieme ogni nostro movimento, anche quelli più immediati e apparentemente privi di pianificazione. È il denominatore comune a cui sono ricondotti pensieri, pulsioni, agiti e azioni. Il nostro cervello è in grado  di elaborare ciò che desideriamo e intendiamo perseguire, riuscendo a farci produrre una serie di  comportamenti che a noi sembreranno istintivi, fuori dal  controllo della nostra volontà, ma che sono in realtà frutto della nostra più profonda intenzionalità.

Qual era dunque l’intenzione di Rossi? Certo è difficile fosse quella di far cadere  avversari e speranze di trionfo. Credenze, desideri, aspettative, intenzioni e volontà: tutto era volto ad altro, ogni singola azione era messa in armonia con lo scopo finale. Punti in classifica, un podio e un titolo a qualche giro di pista da lì.

Che dire quindi di quella colpevole gamba, che si sporge oltre il dovuto e fa precipitare al suolo Marquez? Fa tutto parte del potenziale motivazionale, ovvero di quelle azioni incondizionate, che però ci garantiscono di essere impegnati nell’adempimento dell’intenzione prefissata.

Di certo Rossi dirà che non aveva intenzione di far cadere l’avversario, e noi gli crediamo in virtù di un regolamento che consoce meglio di noi. Tuttavia, per fare intenzionalmente un’azione, non è necessario che il soggetto abbia intenzione di fare quella azione precisa, ma è sufficiente che abbia intenzione di fare qualcosa che gli  permetta di ottenere lo scopo finale (Bratman). Ogni  azione di questo tipo  sarà intenzionale, di qualunque cosa si tratti, anche  di una spintina, se dovesse servire.

Tra corse e ricorsi, i tifosi (perlopiù improvvisati) sono gli unici delusi: sponsor e sportivi hanno fatto il loro dovere e ricevuto i relativi incassi dalla sconfinata pubblicità derivata. A soffrirne – senza intenzione alcuna –  rimangono soltanto migliaia di persone, che pensano ancora alla filosofia come a un’illazione che non ci fornisce risposte soddisfacenti.

Fortunatamente ci pensa  il diritto, così caro agli italiani, a condannare definitivamente Rossi per un delitto preterintenzionale, un’azione le cui conseguenze sono state più gravi di quanto previsto, dato che nessuno si sarebbe forse aspettato di perdere tutto all’ultima corsa, ma nemmeno che milioni di persone si sarebbero poi disperate intenzionalmente per una gara di motoGP.

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