“I migliori maestri sono quelli che ti indicano dove guardare, ma non ti dicono cosa vedere”
«Chi sa, fa. Chi non sa, insegna».
Questo famoso detto lascia l’amaro in bocca non solo a chi l’insegnamento lo pratica da anni, ma anche a chi si accinge a diventare, col tempo, un buon maestro. Questo detto lascia l’amaro in bocca anche per l’incoerenza presente al suo interno: «chi non sa fare, insegna», come se, insegnare non fosse anch’esso un “fare”, un operare concreto, un agire e, nel migliore dei casi, un creare qualcosa di nuovo.
Dove si insegna? Ovunque. A scuola, in palestra, in un campo sportivo, in aula, per terra… A chi si insegna? A tutti. A se stessi, ai bambini, agli alunni e perfino ai maestri stessi. Chi insegna? O meglio, cosa deve essere colui che insegna?
In ambito scolastico si discute molto su quale sia il profilo del bravo maestro e si investe gran parte del tempo a stilare una lista di buone regole. La pratica dell’insegnamento tuttavia non è una somma di tecniche da riprodurre meccanicamente. Ogni bambino è diverso, ha la propria peculiarità e il proprio tratto distintivo rispetto agli altri, quindi la produzione del suo libero pensiero non è qualcosa di standardizzato.
La figura dell’insegnante è spesso data per scontata. Si può scegliere la classe, la scuola, il tempo pieno o parziale ma il maestro, fin dalla più tenera età, ce lo ritroviamo davanti. Non sarebbe forse più importante sapere più cose possibili sulla persona che starà con i nostri figli per più di cinque ore al giorno, per nove mesi l’anno protratti nel tempo?
C’è da dire che ci sono maestri e maestri. Nonostante l’essenziale versatilità posseduta, un maestro eccellente per una certa fascia d’età non può esserlo, alla stessa identica maniera, per un’altra. Questo perché, ribadiamo, le competenze da far apprendere non sono tutto.
Problemi, addizioni, lettere maiuscole, minuscole e corsivi non sono gli unici frutti che raccogliamo dall’albero dell’istruzione, otteniamo molto di più. La qualità e quantità del raccolto dipenderà, in buona misura, dalla fortuna di aver avuto un buon maestro. Durante i fertili anni scolastici avviene infatti la naturale crescita del bambino. Modi di fare, modi di vivere le emozioni, cambiamenti fisici, sperimentazione delle possibilità, necessità di praticare il dubbio e la coltivazione di interessi personali sono solo alcune delle esperienze che il maestro dovrà valorizzare.
Partendo da questo presupposto, come dovrà muoversi l’insegnante?
Innanzi tutto il saper fare del maestro è l’effetto del suo saper essere. Una sorta di socratico “conosci te stesso”. Il saper fare dell’insegnante è il frutto di anni di esperienza ed affinamento della pratica, affinché possa divenire sempre più efficace. È un saper destreggiarsi nella classe in maniera perfetta. È un camminare per i banchi quando c’è da camminare e uno stare fermo quando c’è da star fermi.
Il saper fare del maestro è studiare il fare dei bambini e guadagnare credibilità ai loro occhi. È possibile osservare molto solo guardandoli! Perché un bambino non parla se a farlo non è prima un suo amico? Perché alcuni tentennano sempre nel dire qualcosa, mentre altri agitano perennemente il braccio alzato pur non sapendo la risposta? Perché molti, quasi vivendo in un’ampolla di vetro, non riescono a gestire i loro sentimenti?
Il saper fare del maestro è accorgersi di tutti questi aspetti. È attendere anche mezzora prima di fare una domanda a un preciso bambino, o di contro, è non lasciare tempi di attesa.
Il saper fare del maestro è coordinare la classe così come farebbe un maestro d’orchestra; far capire con lo sguardo, usare i gesti per richiamare l’attenzione e dare la parola. Il tutto senza mettere in imbarazzo chi sbaglia.
Il sapere fare del maestro è passare ininterrottamente dal semplice al complesso. La classe è la somma dei suoi alunni, ma i singoli bambini (diversi gli uni dagli altri) sono gli elementi che compongono l’unicità di quel gruppo classe.
Il saper fare del maestro è sincronizzarsi sui ritmi dell’ambiente scolastico. La sua voce non dovrà essere piatta e ripetitiva, ma risonante e ritmica. Le parole, immagini e pensieri dei bambini sono simboli che non vanno interrotti urlando o sbattendo la mano contro la cattedra, ma dovranno essere accompagnati finché il loro ragionamento non avrà preso forma.
Il saper fare del maestro….
Giorgia Aldrighetti
(FcB Team Ricerca, Università di Trento)