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Changeling: un film per riflettere sulle manipolazioni della verità

Qualche sera fa decido di guardare un film, interpretato da Angelina Jolie e girato da Clint Eastwood. Due ore di pura angoscia, scandite dalle sconcertanti vicende vissute dalla giovane donna protagonista e dagli altri personaggi della pellicola. La dose del mio malessere è rincarata dal fatto che la trama si ispira a degli avvenimenti realmente accaduti: Changeling è un film che ci permette di indagare non uno ma più passati.

Il primo è quello che riguarda la particolare vicenda vissuta da Christine Collins nel 1928 a Los Angeles; alla donna viene infatti rapito il figlio Walter. Dopo mesi di indagini, la polizia dice di aver ritrovato il ragazzo, e decisa a mettere a tacere tutta la questione in favore dell’abbellimento della propria condotta, sminuisce e ridicolizza le attese e le speranze della povera madre, alla quale in realtà viene appioppato un altro ragazzo, non il suo Walter! Con l’aiuto di medici e specialisti altrettanto corrotti, il capitano di polizia, abile oratore, vuole convincere la donna riguardo l’identità del ragazzo capitato alla sua porta. Se non è stata in grado di riconoscerlo subito, la colpa è del semplice shock emozionale che ha preso il sopravvento in lei a causa della gioia della notizia, ma con il tempo e la pazienza, lei stessa potrà confermare che il ragazzo è suo figlio, non contano le differenze d’aspetto, non conta la statura, non conta il suo parere di madre.

La donna non si perde d’animo e confidando ciecamente nel sistema, continua a dirsi vittima di un grosso errore, rivolgendosi anche alla stampa. La polizia non manca al contrattacco e, accusandola di pazzia, la fa rinchiudere con disinvoltura nell’ospedale psichiatrico della città: ammettere lo “sbaglio” delle autorità ne macchierebbe e comprometterebbe forse irrimediabilmente l’immagine.

È questo il secondo passato che il film ci fa ricordare: il passato dei manicomi. Un termine che la dice lunga non solo sulla funzione di questo istituto, ma anche sulla considerazione della persona che esso proponeva. Le scene delle violenze subite dalle donne rinchiuse al Los Angeles County Hospital, per quanto limitate che siano, non mancano di suscitare fastidio ed indignazione.

Eppure avvenimenti come questo sono successi per davvero, e ciò che ci dovrebbe far riflettere è che, sebbene con dinamiche e modalità diverse, succedono tutt’ora. Lì, per garantire l’immagine e l’operato delle autorità si rinchiudevano le personalità scomode, oggi si compra il silenzio e si oscura la verità a suon di favoritismi e mazzette, oppure basti pensare alle notizie che arrivano proprio in questi giorni dalla Turchia: migliaia di persone sono vittime di una politica di epurazione che, al di là dello schieramento politico, tutti fatichiamo a definire come portatrice di bontà.

Non svelo il seguito del film, perché non necessario ai fini di questo scritto (sebbene anche riguardo a quello ci sarebbe molto da scrivere) e perché voglio invitarvi alla sua visione, per quanto tormentata essa possa essere, in particolare per gli animi più sensibili.

Per me il film è stato un’occasione (come troppe altre di questi tempi) per riflettere su come gli uomini sono arrivati e arrivano ancora oggi a trattarsi l’un l’altro. Che sia per raggiungere un certo livello di potere, un certo benessere economico, una certa fama… Cosa siamo disposti a fare? A quanta verità siamo disposti a rinunciare? Quanta violenza, verbale, mentale, fisica, ci sentiamo legittimati ad usare? Quanta giustizia viene messa a tacere ogni giorno? Quanto veniamo presi in giro e quanto oscuriamo a nostra volta noi stessi?

Federica Bonisiol

[Immagine da Google Immagini, tratta dal film Changeling]

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