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C’era una volta un re

Nelle settimane che precedono il Natale i preparativi coinvolgono inevitabilmente un po’ tutti.
Cambiano le strade e le piazze, illuminate da una sovrabbondanza di luci; cambiano le vetrine dei negozi, pronte ad accogliere i cacciatori di regali; cambiano le stazioni dei treni e gli aeroporti, in cui compaiono abeti carichi di colore.

Magia direbbe qualcuno, e come per magia non tutti sono contenti.
Sembra davvero incredibile, ma anche il Natale è diventato un pretesto per rispolverare dei punti imprescindibili che reggono buona parte del dibattito pubblico.

Aiutare chi non ha nulla?
Cercare di vivere serenamente dimenticando i malumori di un anno intero?

Niente di tutto questo; la diatriba si dipana attorno al Crocifisso e al presepe.
Ebbene sì, due simboli del tutto innocenti stanno portando scompiglio tra social e televisione; a onor del vero è ridondante, non un’esclusiva ‘Inverno 2015’.
Quando al minestrone mediatico si aggiungono elementi religiosi, politici e sociali, il risultato è assicurato: prese di posizione, strafalcioni storici, discorsi senza capo né coda… insomma, chi più ne ha più ne metta.

Davanti ad una situazione del genere ho spesso provato a spiegare in termini essenziali cosa volesse dire il termine ‘laico’, ma nonostante gli sforzi, ogni appello al ragionamento cade inevitabilmente nel vuoto.
Affermare che l’Italia non ha una religione di Stato dal 1948, riconoscendo tutte le usanze e i culti purché non violino la legge, dovrebbe portare a pensare che, di conseguenza, esporre un qualsiasi simbolo in luoghi statali segna di fatto una preminenza, una superiorità, legata alla religione da esso rappresentata.

Eppure tutto questo passa in secondo piano, ma perché?

Perché “l’Italia ha radici cristiane” (cit.), “Roma è nata cristiana” (cit.), “noi, quando andiamo nei Paesi arabi, non possiamo pregare o ci uccidono” (cit.), e tante altre risposte in cui le frasi fatte abbondano più delle ciliegie a Maggio.
Un misto tra rivendicazioni storiche e giustificazioni che portano i simboli cristiani ad essere usati non come tali, ma come ripicca nei confronti altrui.

Ho voluto provare anche io a portare avanti delle obiezioni simili, su un argomento legato a doppio filo con il Crocifisso.
La norma a cui mi sono ispirato e che regge la presenza dello stesso, risale al regio decreto n° 965 del 1924, articolo 118, leggermente modificato nel corso degli anni ma nella sostanza immutato.

“Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del Crocifisso e il ritratto del Re.”

Entrando in un’aula di un istituto scolastico statale, troviamo il simbolo cattolico ma non il ritratto del Re.
Siamo una Repubblica, direte voi.
Certo, siamo una Repubblica tanto quanto uno Stato laico.
Ma, come detto in precedenza, abbiamo radici cristiane.
Abbiamo radici cristiane tanto quanto monarchiche…

Facciamo qualche esempio.

Quando raccontiamo la Storia di Roma, elenchiamo ben sette re e ottantacinque augusti imperatori.
Studiando le intricate vicende dell’Alto Medioevo troviamo altri re, imperatori franchi e germanici, duchi, principi e sovrani bizantini.
Nell’epoca delle Signorie annoveriamo famiglie nobiliari, casate da nomi altisonanti, dinastie da cui ebbero origine gli Stati Italiani quasi totalmente retti da monarchie o da oligarchie.
Parliamo di feudi meridionali, le nostre fiabe narrano di castelli e cavalieri.
Tutto molto lontano dalla democrazia che oggi conosciamo.

Duemiladuecento anni totali di sovrani contro milleseicento di cristianesimo ( dall’editto di Tessalonica del 380 d.C in cui il Cristianesimo divenne religione ufficiale dell’Impero Romano ), se i numeri non mentono la nostra cultura è stata molto più suddita di un monarca che fedele alla Santa Romana Chiesa

Ecco spiegato il mio “stupore” all’assenza del ritratto del Re nelle aule scolastiche, nonostante la vastissima scelta da cui attingere, per ricordarne alcuni: Augusto, Totila, Carlo Magno, Napoleone, Vittorio Emanuele II.

No, non sono uno sprovveduto, so benissimo che avere un regio ritratto in aula stonerebbe con la natura politica del nostro Paese.
E poi, in Italia, non mancano certamente luoghi in cui possiamo immergerci nel glorioso passato; abbiamo fortezze, musei, gallerie d’arte… di sicuro non ci preoccupiamo di esporre queste profonde radici anche nei luoghi statali.
Allo stesso modo, secondo la mia visione, la fede religiosa può esprimersi tra le migliaia di chiese, luoghi di culto, cappelle, immagini votive ed edicole che costellano le nostre bellissime città.

Per fare una giusta critica a coloro che, come me, hanno qualche riserva sulla contraddizione laico-religiosa in atto, devo dire che non c’è bisogno di provare empatia giocando la carta del disagio, l’ho vista usare troppo spesso e la trovo fondamentalmente errata e forviante.

Perché al di là di tutte le considerazioni logiche, razionali e storiche che possono sembrare poco divertenti e decisamente pesanti, dovremmo forse dimenticare la nostra (im)maturità, spesso sconsiderata e deleteria, e provare a vivere il Natale – così come il resto dell’anno – un po’ come fanno i bambini, lontani dalle fissazioni degli adulti, dalle lotte contro i mulini a vento, dalle croci usate come spade nelle furiose ed inutili battaglie senza quartiere.

 

Alessandro Basso

Sono nato a Treviso nel 1988, nel 2007 ho conseguito il diploma triennale in grafica multimediale e pubblicitaria all Centro di Formazione Professionale Turazza di Treviso; dopo aver lavorato alcuni anni, ma soprattutto dopo un viaggio in Australia, sono tornato sui libri e nel 2013 ho conseguito il diploma di maturità al Liceo Linguistico G. Galilei di Treviso. Attualmente sono laureando in Storia e Antropologia all’Università Ca’Foscari di Venezia.
Mi piace molto leggere, senza tuttavia avere un genere preferito; i miei interessi spaziano dalla cultura umanistica alla sociologia, e in certi ambiti anche alla geologia.

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