Uno sguardo sul mondo tra “The Room” ed Erasmo

«This is my movie, this is my life» (G. Sestero, T. Bissel, The Disaster Artist, 2013). Era il 27 giugno 2003 quando l’eccentrico regista Tommy Wiseau con flebile voce presenta il suo film The Room a Los Angeles. Quella sera, alla premiere, la sala era gremita: era giunto il momento di assistere a un evento epocale (ma nessuno ne era completamente consapevole). Wiseau aveva lavorato a quello che, a suo dire, sarebbe diventato un classico della cinematografia. In effetti le previsioni non erano del tutto sbagliate. The Room sarebbe infatti diventato un vero e proprio fenomeno cult, ma procediamo con ordine.

Perché interrogare filosoficamente tale evento? 
Per coloro che non conoscono Wiseau, la sua epopea artistica e il suo film The Room, si sta parlando del più grande insuccesso della storia del cinema. Quella sera a Los Angeles accadde qualcosa di straordinario, il pubblico che assisteva alla premiere rimase disorientato e perplesso di fronte a un’opera drammatica dalla trama semplice (un tragico triangolo amoroso) che, sebbene avesse dovuto suscitare profondi sentimenti di tristezza e compassione, finì per generare forti risate e divertimento. Tali scene sono ben visibili anche nel film The Disaster Artist con protagonisti James e Dave  Franco rispettivamente nelle vesti di Tommy Wiseau e dell’amico Greg Sestero.

Fallimento su ogni fronte: il film guadagnò solo 1800 dollari nelle prime due settimane contro i sei milioni spesi per produrlo. Tecnicamente parlando fu una vera e propria commedia degli errori: dialoghi e scene ripetitive, sottotrame non sviluppate, ma a spiccare sono soprattutto le interpretazioni marcatamente enfatiche di Tommy Wiseau che nel film interpreta il ruolo del protagonista, Jonny. Enfasi esagerata che finisce per capovolgere la tragicità del personaggio rendendolo grottesco. Ma proprio tale fenomeno di estremo parossismo mostra la singolarità di tale evento. Il parossismo delle emozioni tragiche sprigionano un sentimento opposto, una fragorosa risata.

Tale evento ci pone di fronte a un fenomeno tanto quotidiano quanto inquietante del nostro mondo. Esistono comportamenti che, se portati alle estreme conseguenze, producono un repentino capovolgimento del loro intrinseco messaggio. Quella sera la risata del pubblico diventa involontariamente un’esperienza di conoscenza, un’apertura a una verità tragica sul mondo. Cosa significa tutto ciò?

Già Erasmo da Rotterdam nel suo Elogio della Follia indicava una tragica verità. La Follia si chiede: «perché poi dovrei desiderare un tempio, quando tutto questo globo è un tempio per me, il più bello che vi sia, o mi sbaglio?» (E. Da Rotterdam, Elogio della follia, 1997). Infatti non «mancano i devoti, se non dove mancano uomini» (ibidem). Tutta l’umanità tributa onori alla follia inconsapevolmente e spesso lo fa proprio negli atteggiamenti creduti più sani. Erasmo ride amaramente delle follie del mondo, perso in estreme abitudini e serietà. Tutto ciò suscita un sentimento opposto, una risata: autentico atteggiamento di ironia e critica da parte dell’autore. Questo gioco di inversioni credo faccia luce su una certa fragilità dell’umanità.

Il parossismo delle abitudini sembra allora essere un fenomeno sociale del nostro mondo di cruciale importanza. Un gioco che pervade tutta la nostra vita: da una forte risata che genera lacrime a un’abitudine alla violenza e alla guerra che suscita senso di indifferenza e passività, cosicché l’una trae forza dall’altro come in un bizzarro e tragico circolo. Abitudini, ansie, frenesie, formalismi, consuetudini istituzionalizzate, forte serietà, proprio come una performance di Tommy Wiseau, generano una risata convulsiva, un sentimento contrario.
Wiseau è allora il paradigma di questo mondo-ossimoro; egli dovette rinunciare al proprio messaggio per farsi personaggio: personaggio e artista che è incarnazione della tragedia del nostro mondo. A noi forse l’invito a ridere, ovvero vivere nel parossismo del mondo-ossimoro, ma osservandolo a debita distanza.

Erasmo e Wiseau, con la loro testimonianza, ci pongono una domanda scomoda: siamo in grado di mantenere quella risata, anche quando questa si rivela apertura alla tragedia del mondo?

 

Giovanni Citrigno

 

[Photo credit Tengyart via Unsplash]

la chiave di sophia 2022

Una libertà critica per capire che possiamo essere ecologici

Ci piace pensare di essere liberi, liberi come un fiume in piena che non incontra ostacoli lungo il suo cammino. Eppure, ogni giorno percepiamo la fragilità di questa nostra libertà che, come una foglia secca, è sempre sul punto di lasciarsi travolgere da forze esterne. Soprattutto oggi, in un mondo scosso da disastri planetari e guerre intestine, da epidemie emergenti e cambiamenti climatici repentini, sperimentiamo costantemente il nostro condizionamento e la nostra limitatezza nei confronti degli eventi che incalzano il mondo attorno a noi. Sorge allora spontanea una domanda: quale libertà? Quale libertà spetta a noi esseri umani contemporanei che vivono sotto il marchio dell’estinzione?

La filosofia politica, che sul tema della libertà è stata tra le discipline ad avere maggiore influenza, ha ascritto agli esseri umani due differenti tipi di libertà, una negativa e una positiva. In quanto persone, siamo liberi di agire e compiere determinate azioni, come per esempio votare, esprimere la nostra opinione, professare la religione che preferiamo, amare chi vogliamo, etc. Questo primo tipo di libertà si definisce positivo perché designa la nostra capacità o possibilità di fare qualcosa in base ai nostri desideri o valori. Anche se, riferendosi solamente alla possibilità di fare qualcosa, questa libertà si confonde spesso con una libertà formale di cui godiamo in maniera astratta. Al contrario, la libertà negativa è libertà come assenza d’impedimento e di ostacoli. Essa, quindi, indica che noi tutti possiamo agire senza che nessuno intervenga a ostacolarci o rimanere passivi senza che nessuno ci costringa a non agire. Certamente, gli esempi più conosciuti di questo tipo di libertà sono l’inviolabilità del proprio corpo, il diritto alla privacy e la garanzia alla proprietà privata.

Tuttavia, le modalità della libertà di cui l’essere umano dispone non si esauriscono in queste due dimensioni relative alla capacità di agire senza interferenze o in accordo con i propri valori. Questo perché l’essere umano, come Nietzsche insegna, possiede anche la capacità fondamentale di poter giudicare e ribaltare i valori in cui crede. In effetti, quest’ultima capacità individua un nuovo tipo di libertà, che non esclude i primi due ma si aggiunge ad essi nel tentativo di migliorare la consapevolezza dell’uomo in un momento di profonda crisi. Secondo il filosofo canadese James Tully, questa terza libertà può essere definita ‘critica’ perché ha il ruolo chiave di sfidare, nella pratica quotidiana, i valori e i pregiudizi che abbiamo ereditato. La libertà in quanto critica, quindi, riguarda le condizioni che permettono a noi soggetti umani di attuare delle trasformazioni al fine di diventare delle persone diverse. Da questo punto di vista, è facile vedere che questa libertà è anche ecologica. Infatti, se pensiamo che l’identità di una persona sia definita dai valori in cui crede, modificando quei valori una persona potrà cambiare radicalmente la propria identità, diventando, per esempio, più sensibile ai problemi del cambiamento climatico o al maltrattamento degli animali.

La nostra vita è piena di momenti ‘critici’ in cui si racchiude la possibilità di diventare altro, di aprirci a certi orizzonti e chiuderci ad altri. Esempi classici possono essere la decisione di diventare genitori, di scegliere un certo percorso di studi o una certa carriera, di abbandonare il proprio paese per vivere in un altro. Ma lo stesso vale per esempi più ecologici come la decisione di non mangiare carne più di una volta a settimana, o di non utilizzare alcun prodotto contenente della plastica (sia nel packaging sia nei suoi ingredienti), o ancora di coltivare un piccolo orticello. I momenti ‘critici’ della nostra vita, allora, sono degli eventi che determinano la forma della nostra vita e, così, tanto più una vita è capace di queste trasformazioni, tanto più libertà critica possederà.

In un mondo sempre più complesso e caotico, in cui la paura e l’orrore sembrano essere padroni, è importante comprendere e distinguere come dobbiamo agire e cosa possiamo fare. Questa comprensione però ci mostra che le nozioni di libertà positiva e negativa non sono più sufficienti a spiegare la nostra libertà e, al tempo stesso, a metterci sul cammino di una rivoluzione. Al contrario, serve ampliare il raggio della nostra vista e riconoscere un nuovo tipo di libertà, più propriamente critica ed ecologica, che ci aiuti a cambiare il nostro modo di stare al mondo e abitare la Terra che ci ospita.

 

Gaia Ferrari

 

[Photo credit Pablo Heimplatz via Unsplash]

la chiave di sophia 2022

L’eleganza del riccio: l’apparenza che precede l’essenza

L’eleganza del riccio non è un semplice romanzo, ma un vero e proprio testo filosofico. Le protagoniste sono due donne di età e ceto sociale opposti: Renée Michel è la portinaia cinquantenne di un elegante palazzo parigino, vedova, brutta e goffa; Paloma è una ragazzina tredicenne, particolarmente intelligente, che vive nel palazzo in questione con la sua ricca e superficiale famiglia. Entrambe incarnano in maniera emblematica la potenza delle apparenze.

Un tempo era l’insostenibile leggerezza dell’essere, oggi è l’insostenibile leggerezza dell’apparire, questo per via della difficoltà sempre più presente di mostrarsi per ciò che realmente si è. La società dell’iper-modernità ci vorrebbe tutti conformi a determinati canoni  assolutamente arbitrari, che vengono però percepiti come oggettivi. Il bisogno di conferma del proprio valore e il rispecchiamento sociale, portano spesso l’essere umano ad autodefinirsi in  base all’immagine che le alterità si fanno di lui, il che comporta una perdita parziale della propria autenticità.

Le due protagoniste vivono infatti la loro vita all’interno di scontati stereotipi e nessuno dei personaggi con i quali vengono in contatto si mostra interessato a guardare oltre quelle apparenze. Dietro la maschera della goffa portinaia, si cela in realtà una donna con una grande passione per la filosofia, che però decide di non mostrarsi per ciò che è, attendendo probabilmente che qualcuno riesca ad andare più in profondità, come possiamo evincere dalle parole della donna stessa, che in una riflessione molto bella sulla fenomenologia di Husserl, paragona la definizione di quest’ultima, al fermarsi ad un giudizio di superficie:

«Fenomenologia: la “scienza di ciò che appare alla coscienza”. […] Un solitario e infinito monologo della coscienza con se stessa, un autismo duro e puro che nessun vero gatto andrà mai a importunare»1.

Ci verrebbe da pensare che, invece, Paloma, provenendo da una famiglia benestante, non abbia alcun problema a sentirsi accettata, ma non è affatto così: anche lei rimane intrappolata nella rete dei clichéLa ragazzina è bramosa di giungere all’essenza delle cose, motivo per il quale non sopporta la superficialità con cui la sua famiglia si approccia all’esistenza e pianifica di suicidarsi il giorno del suo compleanno e di dar fuoco alla casa, per far capire loro  quali davvero siano i problemi della vita.

Paloma sarà la prima ad accorgersi dell’autentico essere di Renée e questo cambierà radicalmente gli eventi, portandola a rinunciare all’idea del suicidio. La descrizione che la tredicenne fa della sua portinaia lascia capire l’affinità elettiva tra le due:

«Madame Michel […] trasuda intelligenza. Eppure […] fa tutto il possibile per entrare nel ruolo della portinaia e sembrare stupida. Ma io l’ho osservata […]. Madame Michel ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei […] ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti»2.

Le apparenze rappresentano dunque il fondamento di ciò che crediamo di sapere degli altri e l’essere, che è l’identità autentica del nostro Io, rimane sempre più schiacciato dal mostrarsi altro per sembrare ciò che non si è, a volte per apparire conformi ai canoni imposti dalla società, altre perché si rimane vittime di pregiudizi duri a morire.

Il libro si chiude con il tragico e fortuito evento della morte della colta portinaia, evento che porterà Paloma a riflettere sul senso autentico e al contempo assurdo dell’esistenza, la giovane rinuncerà a mettere in atto il suo piano, dicendo a se stessa queste parole:

«La vita è così: molta disperazione, ma anche qualche istante di bellezza […]. È come se le note musicali creassero […] una sospensione […] un sempre nel mai. Sì, è proprio così, un sempre nel mai. Non preoccuparti Renée, non mi suiciderò e non darò fuoco proprio a un bel niente. Perché d’ora in poi, per te, andrò alla ricerca dei sempre nel mai. La bellezza, qui, in questo mondo»3.

Uno dei grandi insegnamenti di questo libro è che dovremmo imparare a guardare oltre le apparenze, a scavare nel profondo delle persone con le quali veniamo in contatto, a non credere che sia tutto oro quello che luccica e neanche che l’abito faccia il monaco; se imparassimo a liberarci dalle catene che ci impongono di guardare in un’unica direzione e, come il filosofo Re dell’analogia della caverna di Platone, provassimo ad uscire a guardare la “luce del sole”, probabilmente come lui rimarremmo accecati, ma potremmo comprendere, con nostra sorpresa, quanto abbiano da esprimere molte persone e quante invece indossino semplicemente una maschera.

 

Federica Parisi

 

NOTE
1. M.Barbery, L’eleganza del riccio, edizioni e/o, Roma 2016, cit. pp. 55-56
2. Ivi, p. 137
3. Ivi, p. 318

[immagine tratta da Unsplash]

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