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Brian Pallas: Trasformare il pensiero in fatti. 28 anni e una start-up da 100 mln di dollari

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Nel grande periodo di crisi economica e motivazionale che stiamo attraversando, esistono casi in cui la creatività, l’impegno e la passione diventano motore per il successo

È il caso di Brian Pallas, ventottenne milanese laureato in economia alla Cattolica di Milano che dopo aver svolto diversi lavori sceglie il Boston Consulting Group e ottiene la sponsorizzazione tra i giovani più meritevoli dell’azienda per frequentare l’Mba alla Columbia University di New York.

Nel 2014 fonda Opportunity Network, piattaforma dove imprese di diversi Paesi possono pubblicare in forma anonima richieste di partnership, finanziamenti, acquisizioni o vendita. Oggi conta più di 3000 aziende in 75 paesi diversi.

1) Una vita inusuale per un giovane 27enne, vissuta tra Milano e New York. Brian Pallas si sente diverso dai suoi coetanei? Perché?

Non mi sento particolarmente diverso dai miei coetanei e quello che reputo che possa esserci di diverso è parte del percorso che ho intrapreso, perché il mio modo di costruirlo è sempre stato non tanto in vista di un obiettivo specifico ma in vista dell’ampliamento del numero di opzioni.

Anche in filosofia c’è il concetto dei “gradi di libertà”, quindi all’aumentare del grado di libertà dell’individuo si ha la possibilità di andare ad ottenere risultati più difformi dallo standard. La mia filosofia di base come individuo, prima ancora che come imprenditore (questa era una delle varie opzioni), è stata quella di tenermi aperte sempre più strade possibili, quindi ho sempre scelto una scuola piuttosto che un’altra, un primo lavoro come consulente, proprio per ampliare la gamma di opzioni a mia disposizione.

E anche l’ulteriore scelta con l’Mba è servita per continuare ad ampliare il mio range opzionale, perché ritengo che, piuttosto che andare a specializzarsi e settorializzarsi, restringendo le proprie possibilità in maniera specifica, occorre avere non solo un piano per andare avanti ma anche un piano B, uno C e uno D, anche all’interno della stessa cosa che si sta facendo; ovviamente questo richiede più tempo e più sforzo ma ti permette di utilizzare il valore dell’opzione e un grado di libertà superiore.

2) Pensi che una caratteristica di un giovane ragazzo di adesso sia quella di essere flessibile?

Assolutamente sì.

È una questione di flessibilità personale. Spesso quando si dice flessibile la gente tende a pensare alla questione di accettare un lavoro non pagato o di piegarsi ad esigenze esterne. Per me essere flessibile significa non legarsi ad un’identità, un esoscheletro che ti viene posto attorno dalla società ma tenersi con quel minimo di fluidità necessaria per poter indossare la veste necessaria per arrivare a cogliere l’opportunità migliore, perché ogni scelta deriva da una funzione di due principali caratteristiche:

1-la numerosità delle alternative a disposizione

2-la capacita previsionale dell’outcome di ogni alternativa

Il che significa che se sai che hai cinque alternative e sai che risultati esse portino sai cosa scegliere e quella che farai sarà una scelta razionale, quindi qual è il problema? Semplice, si lavora su due elementi che sono incompleti perché:

2- conoscere il risultato della propria scelta in anticipo è difficile, è dettato dall’intelligenza e dalla capacità previsionale, la quale è una funzione di esperienza, dunque sono cose che un po’ vengono innate un po’ si possono costruire;

1- la numerosità delle scelte è sì funzione della tua immaginazione e della tua capacità di vederle ma anche del track record, di ciò che hai costruito prima.

Da questo punto di vista la flessibilità nel proprio percorso deve servire per ampliare il numero di scelte a disposizione per poter avere un numero maggiore di opzioni tra cui prendere e successivamente, posto che si riesca a giudicare gli outcome possibili di queste scelte, ‘efficientare’ le propria decisione per avvicinarsi ad un paradigma di ottimalità.

3) Lei ha avuto l’IDEA. Secondo lei le idee vincenti in generale, nel panorama contemporaneo, sono da concepirsi come frutto dell’Intelletto, quindi autonome perché al di sopra di tutto e “piovute dal cielo” o sono piuttosto frutto della ragione, perciò “costruite”, quindi a partire da dati elementi si costruisce l’idea vincente?

Il concetto di vincente si considera relativo ad un contesto e un’idea è vincente tanto quanto va a servire l’utilità di qualcuno. Alla fine gli esseri umani reagiscono secondo funzioni di utilità e se qualcosa non va ad aggiungere utilità a qualcuno non è da considerarsi vincente.

Se si guarda l’intero problema da questa prospettiva, la questione non è da focalizzare sull’idea quando sull’utilità che viene generata; quest’ultima, a mio avviso, è qualcosa di inerente alla struttura sociale del tessuto economico di un paese, quindi al sistema di incentivi che sono coerentemente in essere, mentre l’idea è semplicemente vedere come andare a muovere questa funzione di incentivi in un modo che aggiunga valore a tutte le parti in causa. Da questo punto di vista c’è un momento di creatività nell’intuire come questa aggiunta di valore possa essere fatta modificando un sistema complesso, eppure non è niente di creativo di per sé perché non porta alla creazione di niente di nuovo, è semplicemente una nuova interazione con elementi preesistenti.

4) Dall’idea al progetto alla Start Up: un percorso che sembra essere il comune denominatore delle nuove imprese. Eppure tante cadono già alla seconda fase o poco dopo l’avvio. Solo sfortuna o mancanza di quel “quid” che aiuti a superare le difficoltà?

Dal mio punto di vista il mondo è pieno di ottime idee e la mia stessa idea sono sicuro che sarà venuta a mille persone prima di me, anche perché siamo sette miliardi di individui nel mondo e mi sembrerebbe molto anti-statistico il contrario!

Per me, ciò che porta al successo è sempre la parte di pre-execution e questa è data dalla capacità di trasformare il pensiero in fatti.

In un mondo come quello odierno raramente il successo è legato ad un processo trasformativo della materia ma è sempre più legato alla propagazione di un modello in termini concettuali tra individui che tendono ad aderirvi e a farlo crescere con il loro lavoro, il loro capitale e tutto quello che c’è intorno, quindi fondamentalmente, parlando di successo si parla della capacità di propagare un senso dell’utilità generata e di fare in modo che tale utilità venga percepita e abbracciata da tutti i principali stakeholders in maniera sufficientemente forte per superare l’inerzia dal loro stato corrente per arrivare ad uno stato differente, perché è scontato dire che per qualunque cosa si proponga deve esserci un valore di differenzialità tale da portare da uno stato di inerzia ad uno stato di cambiamento.

5) Oggi sentiamo parliamo solamente di incubatori di start-up e acceleratori di impresa. Nati con lo scopo di generare un cambiamento, in Europa attualmente sono elemento di crescita mentre in Italia le cose sembrano essere ben diverse. Nonostante l’Italia abbia il primato per numero di incubatori, ( circa 4 volte di più rispetto a quelli presenti in Germania) il tasso di conversione idea-impresa è molto ridotto nel nostro Paese. ( 9,6% nel 2012) Che cosa contraddistingue gli incubatori americani rispetto a quelli del nostro Paese?

Per me ci sono tre elementi veramente distintivi, rispetto all’estero.

L’elemento che aumenta il funnel (flusso) all’ingresso riguarda la mancanza di alternative per i giovani: se sei giovane e non hai un posto di lavoro solido e remunerativo ti viene da dire “mi metto a fare una start up”, quindi la mancanza di opzioni può implementare le fila della persone sveglie che non hanno trovato un’alternativa sufficiente a giustificare la loro inattività; nello stesso tempo, però, questa mancanza può essere anche un elemento distruttivo, perché più alta è la barriera per andare a fare imprenditoria, più alta è la rinuncia per andare a fare imprenditoria (perché se dici ‘vado a fare l’imprenditore’ e rinunci ad uno stipendio di 500 Euro è un conto, se rinunci ad uno stipendio di 10mila Euro è ben diverso); quindi, se la barriera di costo-opportunità è bassa occorre fare in modo che anche il filtro iniziale sia più basso, cioè anche se un’idea o la capacità di esecuzione non sono fortissime, vale comunque la pena di tentare sempre con decisioni razionali e correttamente prese da parte dell’attore, ricordandosi che se si ha un rapporto costo-opportunità più basso, il rischio di mortalità è più alto.

Il secondo elemento di differenza è il discorso di “apertura”; a ragione o a torto molte persone hanno paura che raccontando la loro idea a qualcuno gliela possano rubare, ma sfugge loro che invece saranno più le persone che le aiuteranno piuttosto che le persone che gliela porteranno via, questo perché se la comunicazione è strutturata in modo efficace, il sistema di incentivi per la persona che guarda da fuori deve essere costruito in modo tale da favorire la collaborazione piuttosto che la competizione e questo fa parte dell’abilità del comunicatore.

Se si riesce a strutturare una cosa di questo genere allora sì che si può accelerare di molto la propria crescita e il proprio sviluppo e fare leva, non solo sulle persone che si conoscono, ma su una rete molto più ampia (che è quello che ha permesso al mio progetto di crescere in modo così rapido) e questa è una cosa molto comune in USA, dove si parte dal presupposto che l’unico modo per fare start up sia proprio urlare la propria idea ai 4 venti e poi stare vedere cosa succede.

Ultimo elemento di differenza è che manca, in Italia, quella cultura, quell’ecosistema di mentorships e di imprenditori di successo che facciano appunto mentorship su giovani che stanno iniziando, aiutandoli a prendere quelle decisioni che sono proprio filosofiche e che stanno alla base dell’azienda e che magari hanno aiutato il loro successo 10, 15 o 20 anni prima.

Quindi la mancanza di questo give back, di una guida di qualcuno che abbia avuto successo e abbia incontrato le stesse difficoltà è veramente un danno per un ecosistema che andrà, quindi, a ripetere gli stessi errori solamente per la mancanza di flusso informativo.

6) Cosa consiglierebbe ad un suo coetaneo con un’idea innovativa tra le mani? A chi rivolgersi?

Quello che suggerirei ad un giovane con un’idea è di provarla sul campo. Alla fine le idee hanno gambe solo se riescono a modificare, in modo positivo, la funzione di utilità di un numero sufficiente di persone da giustificarne l’esistenza e in maniera sufficientemente chiara da portare queste persone a cambiare la loro abitudine, che è sempre molto resistente. Quindi, prima ancora di andare a raccogliere capitali, di scrivere un business plan e di fare qualunque cosa, io suggerisco di provarla in piccolo con le persone accanto a sé, di provare a vedere se funziona nella pratica e di vedere di modificarla sulla base delle esigenze di mercato, perché occorre ricordarsi che nessuna idea nasce giusta, per esempio noi siamo partiti da molto lontano da dove siamo adesso e, senza avere testato testato testato e cambiato molte cose, non saremmo stati in grado di fare niente anche con qualsiasi iniezione di capitale o ammontare di mentorship.

Testate, dunque, sul campo prima di andare a guardare ad acceleratori o quant’altro; una volta che si è testato sul campo e si ha qualcosa che funziona davvero, tendono queste realtà a venire da voi a dirvi “vedo che hai qualcosa che funziona sviluppiamola insieme”.

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7) Opportunity Network, un nuovo strumento al servizio delle aziende che coinvolge più paesi del mondo. Come funziona e perché ha sentito l’esigenza di sviluppare questo network?

Opportunity Network è nato da un’esigenza familiare perché mio padre è un imprenditore e mi sono sempre reso conto che tutto il business arriva sempre da un contatto personale con altri e il che è giusto, però non sempre esso è potenzialmente e sufficientemente trasferibile alla generazioni future, quindi ho pensato che se si fosse creato un network di persone che si potessero fidare le une delle altre, questo avrebbe potuto amplificare la possibilità di mio padre di ricevere non solo dal suo network ma anche dal mio e da molti altri.

Il difficile di questo progetto non era tanto quello di mettere assieme aziende quanto fare in modo che si potessero fidare le une delle altre: per risolvere questo problema di affidabilità, piuttosto che metterci noi a dire se un’azienda fosse buona o cattiva o l’amministratore delegato fosse affidabile o meno, lo abbiamo lasciato dire a chi per centinaia di anni ha fatto dello screen di affidabilità il proprio business model, cioè le banche, perché alla fine sono loro che decidono se dare 50 milioni in affidamento o non darli e quando ci mettono i loro soldi siamo tentati di pensare che sia uno screening piuttosto efficiente.

In questo modo abbiamo iniziato ad utilizzare clienti bancari come proxy di affidabilità e a fare in modo che fossero le banche stesse a portare i loro clienti nella nostra piattaforma. Noi non possiamo dare membership neanche volendo sono i nostri trusted partners a fare proselitismo della nostra piattaforma nella loro rete di utenti e clienti.

8)Dietro ogni progetto c’è una Filosofia, intesa come riflessione accurata su ciò che si va a costruire, sui valori, sui principi etici. Qual è la filosofia di Opportunity Network?

Io quando ho creato quest’azienda avevo delle idee, ma avendo dato vita ad un gruppo di persone non ho voluto essere un padre-padrone che imponeva un’idea o una filosofia su tutti, anzi: quando abbiamo cominciato ad essere un gruppo sufficientemente folto ci siamo seduti tutti insieme intorno ad un tavolo ed abbiamo riflettuto su quali fossero quei valori che davvero sentivamo nostri, così ognuno ha proposto una lista di valori e da queste abbiamo scelto quelli che veramente sentivamo nostri tramite voto anonimo fino ad arrivare a quattro valori che ad oggi guidano ogni nostra scelta che facciamo.

Essi sono:

-TRUST

-PEOPLE FIRST

-SEMPLICITY (facciamo una cosa e facciamola bene)

-SYMBIOSIS: noi invece che entrare come altre start up in un ecosistema e fare disruption, cioè togliere un pezzo da una catena di valori e rimpiazzarlo con qualcosa di economico o più efficiente, entriamo nella catena di valori nutrendo ogni singolo elemento di questa.

Il nostro scopo è proprio quello di non andare a togliere niente a nessuno, ma anzi, di aggiungere, per questo non siamo il nemico naturale di nessuno dei giganti con cui ci andiamo a confrontare ma siamo una parte dell’ecosistema che va a nutrire il tutto.

9) Un’azienda di 30 persone a 28 anni, un’esperienza che sicuramente aiuta a maturare, sviluppando competenze e responsabilità; è qualcosa di anomalo nel nostro Paese, lo è anche negli USA, cioè secondo lei perché in Italia ci si stupisce di giovani che hanno idee come la sua in giovane età?

Dal mio punto di visto il tema del pregiudizio in generale nel senso di ipotesi preconcepita parte dall’ammontare di data point che si ha davanti.  Se io vedo cadere una pallina per cento anni verso il basso a 9.8 m/s in accelerazione, mi aspetto che la pallina continui a cadere sempre in quella direzione! Lo stupore sovviene quando la pallina, invece di cadere, sale, perché ovviamente tanto più qualcosa è anomalo all’interno del sistema, tanto più genera stupore, cioè tanto più è un outlier tanto più stupisce. Pertanto, se in USA ogni mese ci sono 10 nuove start up e ce ne sono già cento milioni, l’undicesima start up non provoca stupore! Se in Italia ce n’è una ogni dieci anni o anche ogni cinque ovviamente questo genera molto più stupore.

Quindi il pregiudizio non è altro che una shortcut che la mente utilizza per andare a derivare una regola generale da qualcosa che ovviamente non è generalizzabile non essendo una legge fisica. Si tratta solo un discorso di unbalance tra probabilità ed effettiva realizzazione, cioè ogni volta che si verifica qualcosa di contrario alla predizione questo porta a stupore e lo stupore è il modo con cui la mente umana riadatta le probabilità.

10) La filosofia in Italia è bistrattata, considerata inutile e cialtrona. Lei cosa pensa di questa materia?

Ci sono, secondo me, due categorie di filosofi.

– Quelli che vedono la filosofia come un metodo, quindi Socrate che adotta il metodo maieutico per ottenere risultati, soluzioni e comportamenti diversi come risposte allo stesso stimolo sulla base di un ragionamento complesso e questa è la filosofia che tendo davvero ad apprezzare perché molti altri filosofi, utilizzando ragionamenti complessi, sono arrivati a risultati davvero contro-intuitivi.

– La filosofia catalogativa, che apprezzo meno, come Aristotele e Hegel che hanno utilizzato la filosofia come una lente per incasellare tutta la realtà in modo, non volto a generare un risultato specifico, ma con l’ottica di fornire una spiegazione razionale a qualunque cosa.

Il primo tipo di filosofia porta ad un impatto vero con la realtà, l’altro porta semplicemente a un sistema che può piacere o meno. Per me vi è una grossa scissione tra le due categorie e da Hegel in poi vedo solo una prosecuzione della seconda tipologia di filosofia, andando a trasformarla in qualcosa che più che filosofia è storia della filosofia.

Io oggi se ripenso al liceo non ho studiato filosofia ma storia della filosofia, quindi il pensiero di altre persone in relazione ad uno specifico problema. La filosofia, come tutto il resto, è un prodotto, un prodotto della mente umana e come tutti deve giustificare un servizio, quindi la propria esistenza tramite la generazione di utilità per gli utenti, perché se non viene prodotta utilità allora si tratta di uno strumento inutile. Quindi la domanda diventa: come la filosofia può aggiungere valore a coloro che la utilizzano?

11) Pensa che la Filosofia, intesa come sviluppo di domande complesse, risposte e soluzioni, possa entrare in azienda come supporto ad ogni area specifica? Perché?

Da noi penso che l’abbia fatto e se ci pensiamo chiunque in un’azienda faccia strategia non è molto lontano dal fare un ragionamento filosofico; semplicemente viene definita strategia perché il ‘filosofo dell’azienda’ non sarebbe un termine che darebbe soddisfazione a chi lo porta essendo un concetto che a volte viene utilizzato in maniera derogatoria. Credo, comunque, che qualunque ruolo in strategia o consulenza strategica sia profondamente legato alla filosofia.

La strategia, quale studio complesso di tutte le alternative future possibili di un’azienda, per il suo modo di evolversi a partire dalla scelte tattiche per arrivare a quelle strategiche, è come la filosofia, quale studio dell’origine e della struttura dell’essere umano.

 

Oggi sentiamo sempre più spesso parlare di creatività e innovazione, sembra addirittura che la società e il contesto in cui viviamo siano caratterizzati dalla creatività, concetto al servizio dei settori più svariati. La situazione appare chiara: la capacità di produrre idee, tecniche e conoscenze nuove è il fattore discriminante innanzitutto per stare al passo con il progresso, in secondo luogo per essere competitivi sul mercato e infine (forse) per aver successo.

Ci siamo resi conto che i creativi dopotutto non sono una rarità, ma creativi sono anche coloro che nella quotidianità del proprio lavoro producono soluzioni alternative combinando la tecnica con la fantasia. Lo stesso Abraham Maslow, psicologo americano, era convinto che la vita altro non fosse che l’intreccio di routine e creatività e così il “talento” non è riservato a pochi, ma pochi solo coloro che riescono a stimolarlo e metterlo a frutto.

Alla creatività però è necessario aggiungere altri ingredienti chiave per poter avere un’idea vincente: l’esperienza di Brian Pallas è esempio concreto per tutti quei giovani con la voglia di mettere in gioco le proprie idee. Flessibilità, utilità, differenziazione, sperimentazione, intraprendenza e passione sono gli elementi che non possono mancare nel momento in cui scegliamo di inseguire le nostre idee e perché no, anche i nostri sogni.

Elena Casagrande

www.opportunitynetwork.com

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