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Bene, facciamoci del male

Solitamente la mente collega e intreccia concetti che sono poi semplici banalità.

Mettere ordine tra i pensieri ricorrenti è uno sforzo continuo e spesso inconsapevole.

I risultati per quanto ci appaiano meravigliosi inizialmente, sono poi delle altre banalità.

Insomma un pacco di apparente inutilità, da scartare o da tenere?

Il punto di partenza è che questo meccanismo non può essere fermato, ed anzi avrà la sua ragione biologica d’esistenza, bisogna poi capire che è un gioco mentale proprio, soggettivo, d’interesse solo per noi che ci ragioniamo su e che di fatto siamo l’unico universo che ci sia dato conoscere. E che ancora tra i vari moti perpetui che invadono il nostro cervello, a quanto pare non può stare fermo, c’è una grossa differenza tra concetti che abbiamo sentito, che sappiamo, da quelli che abbiamo realmente capito.

Tutto questa introduzione per raccontarvi che ogni tanto capita di capire qualcosa, e proprio quel qualcosa mi va di raccontarmi, perché? Per cristallizzarlo in qualcosa di reale, reale perché a contatto con il mondo collettivo:

Stamattina (19/06/2015) tiravo le somme (come capita spesso) sul mio fare artistico: scrivere, pensare ad opere che non realizzerò, pensare a cose da scartare e a cose da migliorare. Le conclusioni: ho avuto grandi periodi di non miglioramento. Perché? Perché non mi sono fatto del male. No non mi taglio.

È il principio naturale del rafforzarsi, della calcificazione delle tibie dei combattenti di Muay thai di Nietzche che mi dice che ciò che non lo uccide lo rende più forte (poi è morto). Come dicevo prima, un conto è sapere le cose un conto è capirle. Fino a sta mattina avevo sempre visto il detto di N. come una scusa morale da falliti o da gente che ha sofferto (certo lo siamo tutti), per darsi un briciolo di coraggio, per tirarsi giù dal letto la mattina e continuare il proprio ciclo vitale utilizzando sogni come stampelle. Prima di pranzo però ho girato la frittata, ed era splendida e l’ho mangiata.

Parlava con le parole di Nanni Moretti: Vabbè, continuiamo così, facciamoci del male. Il senso non è il suo, non è polemico, ma le parole sono giuste. Bene! Facciamoci del male! Calcifichiamo la scrittura… macché prima pers. Plur. Io parlo per me. Come posso fare per farmi del male e migliorare? Ovviamente sapevo già la risposta prima di farvi la domanda, come fanno le maestre delle medie che aspettano gli alunni all’arrivo della loro conoscenza, come se la conoscenza percorresse solo una strada. Comunque la risposta è la seguente, sono permaloso e soffro gli attacchi all’orgoglio, però quando vengo attaccato poi scrivo molto, e meglio. Quindi continuo così, mi faccio del male. L’obiettivo è andare oltre, oltre il proprio quieto vivere, non è la felicità, altrimenti non ci si farebbe del male, è un super stare, un sovrastare la mediocrità, è dedizione e sono cazzi personali soprattutto.

Lo dice anche Carmen che Myazaki se lo chiede, se essere felici sia importante. E in tre rispondiamo: “anche no”. Lo dice ancora Nietzche che se non avesse un’altra missione si preoccuperebbe di andare a letto sereno. E siamo in quattro a cercare qualcos’altro. la stagione di caccia è aperta.

Un prodotto di questa ricerca:

stucco ferite, apro finestre, conosco gente

conosco solo ragazze, per quanto valga la pena conoscere il mondo

conosco solo ragazze, per quanto sorrida spesso

e starei bene da solo, non riesco a stare solo

non mi piacciono\ i passatempi infruttuosi

e quelli propedeutici al lavoro

non mi piace lavorare finchè non lavoro

 

il tempo ci sfugge. basta indugiare

per spenderlo bene. bisogna resistere per dirselo

 

dovrei trattenermi a digiuno

sul tuo campo ingerminato

vedo quei puntini, il tuo morbillo

i lamponi che inghiotto

io che i dolci li snobbo e ti ripeto

non li voglio, ma scivola un rivolo

blu dal lato sinistro del labbro inferiore

quasi non voglio più vivere

con tutta questa vita che preme,

ostento decoro.

 

e non mi sento neanche un po’ in colpa

e fa un po’ bene pensare

che me ne sbatto il piffero

di sbucciarti quando mi viene voglia di frutta

autotrofo abborro la mente con il glucosio dei pensieri pensati

 

stucco ferite, apro finestre, conosco gente

conosco solo ragazze, per quanto valga la pena conoscere il mondo

conosco solo ragazze, per quanto sorrida spesso

e starei bene da solo, non riesco a stare solo

non mi piaccioni i passatempi infruttuosi

e quelli propedeutici al lavoro

non mi piace lavorare finchè non lavoro

 

allegria è reputare facile l’esistenza

in fondo

allegria è un’ottima aspirazione

è accorgersi che non sarebbe brutto

in finale

uscirsene in non isterica allegrezza

cennare all’abbate: che non è male andarsene

non è male come il liquore della scorsa estate

se lo ricorda il liquore che le ho rubato?

se lo ricorda come l’ha apprezzato?

 

Gianluca Cappellazzo

[Immagine tratta da Google Immagini]

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