La danza: l’arte contro il pregiudizio. Intervista a Leon Cino

Siamo abituati a guardare la televisione in modo passivo, ad osservare delle immagini che si muovono, sempre pronti a giudicare con la convinzione che il telespettatore abbia sempre ragione; non ci soffermiamo mai a capire chi si celi davvero dietro le persone che vediamo lavorare dentro quella scatola di fronte a noi, a conoscere le loro storie, i motivi che le hanno spinte ad addentrasi in un mondo dorato quanto spietato, capace di darti tanto ma anche di toglierti tutto.

Noi de La chiave di Sophia abbiamo avuto il piacere di conoscere più da vicino Leon Cino, ballerino, famoso ai più per avere vinto la terza edizione di Amici ed essere stato uno dei professionisti di ballo della trasmissione per diversi anni. Abbiamo scelto proprio lui perché si è sempre dimostrato una persona ligia al senso di dovere e responsabilità, mettendosi in gioco con umiltà e rimanendo sempre al suo posto con discrezione. Qualità che lo hanno aiutato nella vita come nella professione e che devono essere da stimolo per i giovani di oggi qualunque ambito lavorativo vogliano intraprendere.

1- Leon Cino, classe 1982, ballerino. La tua terra d’origine è l’Albania, paese che spesso si sente nominare per i flussi migratori che investono l’Italia: come hai vissuto, appena arrivato qua, l’essere albanese con i pregiudizi delle persone ipnotizzate dai mass media?

I media hanno un ruolo molto importante come anche le statistiche, credo però che tocchi a noi informarci più a fondo. Dico questo per esperienza personale: finché sei parte di una statistica la gente giudica a seconda della notizia/statistica; dopo averti conosciuto, ti apre le porte della sua casa.

2- La danza è la tua passione: quando e come è nata?

Non sapevo che questa sarebbe stata la mia passione: una sfilza di eventi mi hanno portato ad amare il ballo. La prima di tutte e forse la più ovvia è che la danza può essere tutto: divertimento, amore, spettacolo… e di questo te ne rendi conto da solo. Poi aggiungi la passione trasmessa da chi prima di te l’ha amata ed ecco che la fai tua per sempre.

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3- Purtroppo a volte chi non conosce il mondo della danza da vicino, vive con pregiudizio il binomio danza-uomo. Tu hai mai avuto difficoltà nella vita a causa di questo sciocco pregiudizio? Se sì, come hai reagito?

Sì, qualche evento qua e là, ma non di grande rilevanza; ho imparato che con chi ha una piccola fiamma di pregiudizio basta soffiarci sopra ed essa si spegne. Anche perché in fondo tutti da adolescenti portiamo l’amica a ballare alle feste delle medie o delle superiori o in discoteca…quindi perché avere pregiudizi?

4- In Italia hai partecipato ad un talent show, Amici: perché un ballerino di talento sceglie una trasmissione televisiva piuttosto che un teatro per esibirsi?

Sempre per una serie di eventi e un misto di: voglio provare un’avventura nuova, voglio allargare le mie vedute e così via!

5- La danza in televisione viene, secondo te, capita fino in fondo dal telespettatore che la guarda oppure è semplice e puro spettacolo?

Credo che la televisione, come il teatro e come il cinema, sia una sorta d’intrattenimento: fa passare il tempo al pubblico. Il telespettatore poi guarda all’intrattenimento in modo personale interpretandolo a modo suo, dunque capendolo o meno. Certo, però, che la televisione non posso metterla a confronto con un’esibizione dal vivo.

6- Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?

Tra le molte cose, posso parlare del bagaglio professionale che mi porto dietro da Amici: avere conosciuto e avere lavorato con persone che fanno il mio stesso mestiere, ognuna con particolarità diverse! Questo ti arricchisce moltissimo.

7- Il talento: c’è chi dice che sia innato e pochi ce l’abbiano, chi, invece, ritiene che sia qualcosa che tutti possiedono, basta scoprirlo e allenarlo. Tu cosa pensi e perché?

Ho letto un articolo che parla dei geni: tutti noi abbiamo qualcosa che ci portiamo dietro fin dalla nascita e gli effetti ambientali e culturali ci plasmano; la ricerca sui geni non è stata ancora completata, per questo al momento si pensa che l’effetto ambientale sia quello predominante. Io sono d’accordo: nasco ballerino? Forse sì o forse no, ma se sin da piccolo il contesto in cui vivo mi offre la possibilità di fare alcune cose basilari per il ballo (per esempio la spaccata) allora sono “portato” a ballare, perché gli elementi ambientali che mi circondano mi conducono spontaneamente verso quella disciplina, se invece sono io a decidere di fare il ballerino allora devo imparare a fare quelle cose e la spontaneità lascia il posto al dovere.

8- In Italia quanto conta l’essere raccomandati e quanto invece il merito?

Ci sarebbe molto da dire. In un investimento senza criterio su una persona la raccomandazione vale molto più del merito, in un investimento con criterio senza dubbio vince il merito.

9- La danza è dare forma allo spazio vuoto che ci circonda, riempiendolo di emozioni e sensazioni del proprio vissuto. Tu quando balli porti te stesso che rappresenta il personaggio da interpretare o diventi un tutt’uno con il personaggio stesso?

Entrambe! È proprio per questo motivo che la nostra professione porta dietro molte difficoltà! Per trasmettere quello che è il personaggio lo devi interpretare diventando quel personaggio; se hai dei dubbi e ti mostri esitante il pubblico se ne accorge subito.

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10- La danza è pensiero e permette di riflettere su molti temi delicati con la sola forza del corpo. La filosofia è anch’essa pensiero e permette di riflettere sulla vita con la sola forza della mente. Danza e filosofia sembrano entrambe discipline così astratte da non essere minimamente prese in considerazione dalle persone concrete e pragmatiche. Perché, a tuo avviso, la gente è riluttante nei confronti di tutto ciò che permette di riflettere, come la danza e la filosofia?

A causa dei tempi che corrono. Le persone ora hanno bisogno di concretezza e devono toccare con mano; io lo capisco molto bene e non posso dar loro torto, credo, però, che si possa ancora cercare di riflettere un po’ di più e, perché no, frequentare i teatri un po’ più spesso…non sarebbe per niente male.

11- Sei sempre stato molto discreto, umile e professionale. Credi che queste tre cose ti abbiano aiutato nel tuo percorso artistico? Perché?

Il percorso artistico cresce con il lavoro e il lavoro porta ad essere professionale. Essere discreto e umile fa parte dell’uomo e sono ciò che mi rendono umano ed ho imparato che chi ti apprezza come persona ti apprezza anche come professionista.

12- Come spiegheresti la magia del teatro e del contatto diretto con il pubblico?

Incredibile: senti IL profumo a teatro, profumo di sudore e di fatica.

13- Per un ballerino conta di più la propria soddisfazione o quella del pubblico? Perché?

È un cerchio perfetto: il pubblico è la verifica di quanto bene uno faccia sul palco. Se è soddisfatto il pubblico, sei soddisfatto anche tu.

14- Pensi che dietro ad ogni corpo danzante, ad ogni vostro gesto che plasma l’aria e ad ogni passo che racconta storie ci sia un pensiero, una riflessione profonda che vada al di là della tecnica e della semplice esecuzione?

Credo sia un misto perché alcune storie ti toccano più nel profondo di altre e ti invitano ad una  maggiore riflessione; questo, però, non è detto che ti porti a fare meglio o peggio.

15- Cosa pensi della Filosofia al giorno d’oggi? Può essere utile per vivere (o forse sopravvivere)?

Se la filosofia è il campo che porta l’uomo a riflettere, allora oggi è assolutamente necessaria perché  l’uomo molto spesso è portato a essere banalmente una pecora che segue la pecora davanti a sé. E noi invece siamo uomini con il dono del pensiero.

Il movimento del corpo può raccontare l’Uomo, la sua interiorità si esplicita attraverso disegni nell’aria.

Con la danza l’Uomo scopre se stesso e il mondo, interpretando situazioni diverse, personaggi opposti tra loro, propri simili o completamente dissimili.

Tutto diventa un viaggio che si sviluppa passo dopo passo e che si rivela comprensibile solo alla fine, col senno di poi, perché viene interiorizzato in modo soggettivo da ogni spettatore.

Chissà quanti mondi diversi e possibili vengono creati durante l’esibizione di un ballerino!

“La danza è scoperta, scoperta, scoperta.” Martha Graham

Tutto questo è ciò che Leon ci ha trasmesso durante le sue esibizioni e che ci ha insegnato con le parole di questa intervista, tra cui traspaiono il senso di sacrificio e lo spirito avventuriero che devono caratterizzare un vero professionista di qualunque mestiere.

Valeria Genova

[Immagini di proprietà di Leon Cino]

Un Dostoevskij ancora attuale: la percezione del tempo

Il soggetto in questione vive un’esperienza tragica, il tempo è visto come un mostro che sta davanti alla porta della fine.
Tutto svanisce: parole come speranza, progetto, in generale la parola futuro non hanno più senso. Cosa può sperare un individuo che si trova nel braccio della morte sapendo che tra un mese, una settimana, due giorni morirà?

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“NOI VIVI” – Attraverso la Galleria Borbonica…attraverso la vita!

Solo i morti hanno visto la fine della guerra. Platone

Un parcheggio multipiano. Moderno, nuovo, in una delle zone più belle di Napoli.

Risali in superficie ed entri nella Storia, quella vissuta, quella fatta e sudata da uomini, donne e bambini; la storia della paura, delle corse affannate in cerca di riparo, dell’angoscia di esserci tutti.

Entri nella Galleria Borbonica e, senza nemmeno chiudere gli occhi, ti ritrovi immerso negli anni della seconda guerra mondiale, periodo in cui Napoli fu la città più bombardata, con 200 raid aerei dal 1940 al 1944, di cui 181 soltanto nel 1943.

Napoli sepolta nella guerra non aveva avuto un suo poeta né un suo reporter, perché per tutti era stato troppo difficile e sorprendente il sopravvivere all’arida tragedia di quegli anni per poterla subito fissare e prolungare in una memoria, in un diario.  Nello Ajello

Se ti concentri vedi le persone che entrano, corrono, con la paura sui loro volti; i bambini ritrovano i giochi lasciati il giorno prima, le mamme si assicurano di aver preso nei 15 minuti a disposizione tutto l’occorrente per stare…quanto? E chi poteva saperlo là sotto. Il tempo diventava una variabile superflua, ciò che contava era vedere che i tuoi cari erano lì accanto a te metri sotto terra.

Percorri la galleria e ti imbatti in resti di brandine, giocattoli, boccette di profumi…già i profumi! E non per farsi belli, ma per poter respirare!

Ciò che cattura più l’attenzione sono però le scritte sui muri: nomi, date e poi la più semplice ma più commovente: “NOI VIVI”. Provo ad immaginare cosa potessero significare quelle due parole per chi le ha scritte…sopravvissuti certo, ma intendeva tutta la famiglia, come a dire “ce l’abbiamo fatta”?, oppure indicava “ehi noi esistiamo! noi siamo sotto terra, ma siamo vivi! Vogliamo vivere e non moriremo per colpa vostra!”, come una specie di sfida a chi lassù, tanto meccanicamente, sganciava bombe sui civili.

Ecco, quella scritta a me ha trasmesso un’appassionata volontà di vita, uno stringere i denti una volta ancora, senza accettare di uscire da quel rifugio come topi che escono dalla tana incerti di non rivedere il nemico.

NOI VIVI.

Una complessità ben celata è nascosta dietro a queste parole, perché vi sono tante, troppe implicazioni emotive, culturali, storiche.

Oggi chi di noi pronuncerebbe questa frase? Potremmo essere scambiati per matti o per scopritori di acqua calda, eppure non possiamo nemmeno immaginare quanto per niente scontata potesse essere dentro quel rifugio.

Proviamo solo ad immaginare il suono della sirena che indica il coprifuoco e in 15 minuti prendere le cose indispensabili per stare “x” tempo sottoterra, magari non solo per te ma anche per i tuoi figli o i tuoi nonni; e alla fine, uscire dal rifugio con quali sensazioni, quali pensieri?

La persona che ha scritto Noi vivi cosa avrà trovato quel giorno, una volta ‘riemersa’? La stessa città? E la sua casa era ancora in piedi?

Tutte queste domande te le poni mentre visiti la Galleria Borbonica, perché hai voglia di capire, di riflettere sul fatto che in quell’epoca, la maggior parte del tempo era trascorsa sottoterra.

Libertà negata, quella di essere Persone libere di camminare per la strada, di andare a lavorare, di andare a scuola! La libertà di agire senza costrizioni e di autodeterminarsi era abolita, perché costretta dentro 4 mura, circondata da centinaia di persone e dominata dalla paura, quella stessa paura che ti faceva però riscoprire il valore della solidarietà e della condivisione, che ti faceva sorridere quando incontravi le persone della volta prima, felice che anche loro fossero ancora vive.

Ecco allora forse una qualche libertà era concessa anche sottoterra: quella della volontà di vivere, di crederci, di sperarci tutti insieme e di attendere la fine di un incubo, urlando “noi siamo vivi qua e saremo vivi lassù”.

Quando la guerra finì, possiamo pensare che quei rifugi vennero abbandonati e le persone che vi trovavano riparo tornarono a casa…invece la fine della guerra portò con sé gli strascichi di una tragedia senza fine, lasciando sfollate migliaia di persone.

La negazione di una casa propria, la dignità di uomini e donne calpestata dalle macerie rimaste al suolo, questo c’era nella confusione del fragore della “liberazione”. Liberazione da cosa? Dal sottosuolo? Dal nemico? Ora non importava più il prima, si pensava solo al futuro, a cosa sarebbe successo da quel momento in poi, la preoccupazione era di sopravvivere anche al senso di impotenza e di perdita materiale e morale.

In quel tunnel, anche se la guerra era finita, continuarono a vivere almeno 500 persone.

La prigionia non era, dunque, finita.

Se vi capiterà di percorrere la galleria, assimilate ogni sensazione, pensate che centinaia di persone vi passarono giornate intere, non solo un’ora come noi visitatori; fatevi avvolgere dall’estrema umidità, ascoltate ogni rimbombo dei vostri passi, guardate con empatia i nomi incisi nella pietra e pensate che tutto questo era ‘banale’ quotidianità.

Potete avere notizie della Galleria seguendo la pagina FB: Galleria Borbonica o visitando il loro sito: Galleria Borbonica

Valeria Genova

[Immagine tratta da Google Immagini]

Chi ben comincia…Gennaio in Filosofia!

Le feste sono quasi finite, la nostalgia delle vacanze comincia a farsi sentire, le luci si spengono ma solo quelle natalizie, perché quelle della cultura devono rimanere accese tutto l’anno e, visto che siamo ancora in tempo per i buoni propositi dell’anno nuovo, promettiamo a noi stessi di acculturarci frequentando convegni, conferenze, letture o quant’altro!

La chiave di Sophia vi aiuterà anche questa volta presentandovi una selezione di eventi che si svolgeranno nel mese di Gennaio in giro per l’Italia!

– Mercoledì 13 gennaio 2016, ore 17.30

Il racconto, la sua sostanza e il movimento

Relatori: Carla Di Quinzio e Alessandro Parrinello

La differenza tra ascoltare e sentire passa attraverso un diverso modo di utilizzare il proprio fisico: nel primo incontro passeggeremo tra ascoltare e sentire, nel secondo approfondiremo la relazione tra il racconto familiare, la sua fisicità e la sua morale.

Presso Edificio 16, Aula Motoria – Via Thomas Mann 8, Milano

– Martedì 19 gennaio 2016, ore 15.00

G. Deleuze, Che cos’è l’atto di creazione

Relatori: Rocco Ronchi, Lucia Parente

Presso Dipartimento di Scienze Umane – Università dell’Aquila

– Domenica 24 Gennaio 2016, ore 11.30

Il principio di individuazione di Duns Scoto

Relatori: Andrea Tabarroni, Damiano Cantone

Presso Teatro Nuovo Giovanni da Udine

La cultura non si fa solo durante le vacanze o quando si ha un po’ di tempo libero, la cultura si costruisce giorno dopo giorno con costanza e pazienza, cercando, curiosando e conoscendo.

Valeria Genova

31 Dicembre: speranza, nostalgia o indifferenza?

Spesso durante l’anno si usa sempre l’acceleratore e difficilmente si pensa di rallentare men che meno di fermarsi. Anche solo un attimo, un istante per pensare a sé o agli altri con calma, anzi pensandoci davvero e non frettolosamente.

Poi d’improvviso arriva la fine dell’anno e, volenti o nolenti, ci si ritrova anche solo inconsciamente a fare un bilancio di ciò che è stato, pensando a ciò che sarà o potrà essere nel nuovo. Come se il passaggio dal 31 all’1 comportasse cambiamenti davvero significativi! Eppure noi siamo convinti di questo: ciò che è stato fino al 31 non sarà più dall’1 in poi. Tutto si trasformerà magicamente, in meglio o peggio non è dato sapere, quello che basta è essere convinti che un cambiamento ci sarà automaticamente.

È qualcosa che, se ci si fermasse un solo secondo a pensare, è fuori da ogni logica eppure appartiene all’essere umano da sempre. Forse è propria della sfera della speranza che ci guida e ci spinge ogni giorno dell’anno ma che noi sappiamo riconoscere solo il 31 Dicembre.

La speranza che qualcosa succeda, come se tutto quello che abbiamo fatto durante l’anno non fosse già quel ‘qualcosa’ che noi stessi abbiamo fatto succedere con sacrificio o facilità, con piacere o meno. Una speranza ingabbiata dalle reti che la società ci impone durante l’anno e che noi accettiamo inconsapevolmente o meno  perché assorti dai mille pensieri che abbiamo e che ci costruiamo.

Ecco che allora dobbiamo capire cosa davvero ci faccia stare bene, se l’annebbiamento mentale che ci portiamo dietro tutto l’anno con solo la sincerità con cui il 31 Dicembre si rivolge a noi, oppure il rallentare i nostri ritmi, privilegiando le pause, per pensare e riflettere su ciò che ci rende felici davvero, arrivando al 31 Dicembre solo per stappare una bottiglia, senza aspettarsi troppo o troppo poco dall’anno nuovo, ma consapevoli già di tutto quello che è stato, capaci di dire all’amico 31 ‘Sì, lo so già!’.

Sforzarsi di preferire la seconda opzione non è cosa naturale è facile da ottenere, ne sono consapevole, però il riuscirci dimostrerebbe il nostro voler vivere non nella speranza che ‘qualcosa’, non si sa cosa, accada ma nel presente per viverlo appieno, giorno dopo giorno e non solo il 31 Dicembre che altro non è se un giorno qualunque.

Il mio augurio per voi lettori è quello di trovare il vostro ritmo naturale che non sia dettato dagli altri ma che sia davvero solo vostro, affinché possiate arrivare al 31 Dicembre 2016 consapevoli di tutto quello che è stato e capaci di prevedere con cognizione di causa quello che sarà il giorno dopo.

Valeria Genova

Dicembre in Filosofia!

Natale si avvicina e la frenesia dei regali, dei preparativi e dello stare in famiglia aumenta sempre più, spesso facendoci dimenticare che anche tra le “frivolezze” si può alimentare la mente con la cultura attraverso diversi incontri che noi vi proponiamo!

Martedì 9 Dicembre, ore 20.00 – AUDITORIUM LICEO SCIENTIFICO “L. MASCHERONI” – BERGAMO 

“Sartre legge Flaubert: stupore, stupidità e letteratura”

all’interno di «Homo sum, humani nihil a me alienum puto», l‘Uomo protagonista degli incontri filosofici promossi da Noesis, libera Associazione per la diffusione e lo studio delle discipline filosofiche.

Relatori:

Federico Leoni, Ricercatore presso l’Università degli Studi
di Milano; Docente IRPA, Milano

Mercoledì 10 Dicembre, ore 15,30 – Aula Magna del Liceo Classico ‘Galileo’ (via Martelli 9) – FIRENZE

«L’opera letteraria come mappa del mondo dello scibile», da Dante ad oggi

all’interno di Dante e la scienza, ciclo di incontri rivolti a liceali e al pubblico per presentare e commentare passi significativi di autori considerati assieme a Dante con interventi musicali.

Relatori:

Prof. Gaspare Polizzi

Venerdì 19 Dicembre, ore 17.00 – Sala del Giudizio, Museo della città – RIMINI

“Vincere la morte o vincere la paura della morte?”

all’interno di  BIBLIOTERAPIA. Come curarsi (o ammalarsi) coi libri 2015

Ingresso a pagamento

Relatori:

Prof. Francesco Remotti

 

Sperando che oltre al panettone mangerete anche tanta cultura, vi auguriamo un buon inizio di Dicembre!

La chiave di Sophia

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Novembre in Filosofia

Novembre è arrivato.

Il mese di mezzo, sospeso tra l’autunno e l’inverno, tra i ricordi sempre più rarefatti dell’estate e l’arrivo del Natale.

Spesso bistrattato per non essere un mese interessante, noi vi faremo ricredere illustrandovi come anche Novembre offra numerose opportunità di riflessione!

Iniziamo con un evento che ci sta particolarmente a cuore per il semplice motivo che siamo noi ad organizzarlo!

Torniamo anche quest’anno con il nostro format di Aperitivo Letterario, per offrire uno spunto di riflessione accompagnato anche da un buon bicchiere di vino!

“DAL MEDICO ALLE APP: Il processo di disumanizzazione della medicina”

Il legame tra medico e paziente sembra essere oggi minacciata dall’implementazione della modernità digitale e dello sviluppo del web 2.0, tanto che è divenuto di primaria importanza interrogarsi attorno alle nuove sfide che tali mezzi aprono alla rapporto medico-paziente. La conferenza che proponiamo mira a far chiarezza e a delineare lo sviluppo storico e le traiettorie etiche, presenti e future, che la relazione di cura si trova e si troverà ad affrontare.

INTERVENGONO

Prof. Fabrizio Turoldo : docente di Etica Sociale e Bioetica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Dott. Francesco Codato: dottorando in Filosofia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia

Moderatore: Giacomo Dall’Ava, caporedattore de La chiave di Sophia

Tutto questo avrà luogo il 14 Novembre presso Garage Eventi di Conegliano a partire dalle 17.30!

VIETATO MANCARE!

Per tutte le news cliccate qui!

Di seguito vi proponiamo altri momenti di riflessione in città differenti per il mese di Novembre:

-Martedì 3 novembre, presso Palazzo Ducale, Genova

All’interno de ‘LE MERAVIGLIE FILOSOFICHE. Racconti, storie, letture di filosofia’, evento in cui randi studiosi e autori di oggi raccontano e interpretano alcuni grandi classici della filosofia,

Salvatore Natoli apre gli incontri di Novembre con l’ “Ethica” di Baruch Spinoza

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-Martedì 17 novembre

Massimo Cacciari è affidata la rilettura de ‘Le meditazioni filosofiche sulla dignità dell’uomo‘ di Pico della Mirandola.

-Domenica 22 novembre, presso il ristorante ‘Officina 12’  Alzaia del Naviglio Grande, 12 Milano

All’interno de ‘Filosofia sui Navigli, Filosofia per diletto e per passione’, una kermesse in cui un gruppo di filosofi, cultori, letterati o semplici appassionati si ritrovano per discutere di attualità, storia del pensiero, scienza e problemi esistenziali,

Il Prof. Luca Vanzago, docente di Filosofia Teoretica all’Università di Pavia parlerà de La Coscienza: dibattito in atto tra Filosofia e Neuroscienze

Come vedete anche Novembre può offrire la magia della riflessione, della cultura e della condivisione di idee, quindi non vi resta che scegliere una delle date da noi consigliate!

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

 

Giovani e azzardo

Amato come il rischio, odiato comea prigione.

Il gioco d’azzardo è da sempre qualcosa che affascina l’uomo, facendo credere di essere alle redini del comando, avvolgendolo nel caldo manto del “tin-tin” ripetuto delle macchinette che fingono di regalare soldi.

È un vizio, ma non di quelli da una notte e via, così sarebbe semplice avere il coltello dalla parte del manico; il gioco d’azzardo è un cannibale che ti divora piano piano, pezzo per pezzo, partendo dalle cose materiali che possiedi, fino a sbranarti l’anima.

Eppure, ben sapendo tutto questo, il gioco d’azzardo si diffonde a macchia d’olio e purtroppo anche tra i più piccoli; non parlo solo di figli di accaniti genitori (magari! Almeno ci sarebbero una spiegazione logica e un capro espiatorio), ma anche di bambini provenienti da famiglie normali, ma forse talmente normali da sfociare nell’ingenuità più profonda, tanto da portare loro stessi i figli a giocare dopo la scuola.

Il gioco è una condizione umana dettata dal bisogno di fuga dalla realtà e perciò visto come qualcosa di innocuo, divertente e rilassante. Non si scorge quasi mai il pericolo che esso possa diventare una droga di cui si avrà continuamente bisogno.

È noto ormai che il numero di giovani, soprattutto dai 12 ai 18 anni, gioca spesso d’azzardo, sia online che offline, adducendo scuse quali ‘per divertimento’, ‘per vincere soldi’ o, peggio ancora, ‘lo fanno anche mamma/papà/nonno’, dunque l’emulazione che è caratteristica tipica degli adolescenti.

Il gioco d’azzardo è, oggi, una realtà in forte espansione e la crisi economica, insieme alla mancanza di prospettive, hanno aumentato il ricorso a questa attività, che è diventata patologica per i più giovani, anche a causa della facilità di accesso ai siti internet dedicati o per la diffusione di video poker o simili in luoghi frequentati soprattutto da adolescenti.

Una domanda, però, sorge spontanea: perché si arriva alla patologia tra i giovani? L’ossessione per il gioco d’azzardo è sicuramente da intendersi come amplificatore di un disagio e, come dice il Dott. Paolo Bagnare, psicologo, in un’intervista:

“la vincita facile ha in sé un aspetto magico che fa presa in giovani individui che non si sono del tutto lasciati alle sole il pensiero magico infantile. Questa difficoltà innesca però il meccanismo che ci dice alla dipendenza. L’adolescenza è un periodo  border  caratterizzato  da una forte fragilità, durante il quale spesso si cerca un appoggio esterno per supplire alla mancanza di definizione e di forza interiore. Il giovane è anche incline a sfidare il mondo degli adulti pur non avendo ancora piena consapevolezza delle sue azioni. La Rete è sicuramente un modo per entrare in contatto con un’attività tipicamente da adulti e il denaro non è la molla principale. Gli adolescenti apprezzano l’eccitazione del gioco e la capacità di entrare in un mondo altro dove perdersi e dimenticare tutti i problemi della quotidianità.”

Il gioco, dunque, come motivatore, come aggancio da trovare in mezzo alla bufera adolescenziale che caratterizza ogni essere umano di quell’età, e come dimostrazione dal fragilità e debolezza emotiva.

Iniziare a giocare per caso, spinti dai propri genitori che come ‘premio’ di buon comportamento portano i figli in sala giochi, dimostra sempre di più l’assenza di valori e la vacuità morale che pervade la nostra società odierna, perché è palese la mancanza di dialogo genitore-figli, l’inadeguatezza dei primi nel non cogliere la gravità delle conseguenze del loro gesto alla loro apparenza innocuo e il totale oblio che mescola in un tutt’uno non impegno-divertimento-soldi-patologia (non omogeneo perché tutti e tre gli elenementi sono ben distinguibili, se ‘ascoltati).

Il morboso inseguimento del ‘soldo facile’ è una piaga ben estesa tra i giovani di oggi che, pur di comprarsi qualunque cosa, sono disposti a pagarla sempre e sempre di più, combattendo battaglie impari con delle macchinette programmate solo esclusivamente per vincere.

La nostra società ha il dovere di monitorare questa patologia sempre più diffusa, collaborando con la famiglia che per prima deve assicurare al giovane un’educazione votata al valore e al rispetto dei soldi, alla soddisfazione di sudarseli, alla capacità di guadagnarseli, sia con la scuola attraverso i racconti reali di chi la ludopatia l’ha vissuta sulla propria pelle, perché il manifesto appeso alla bacheca non serve, servono le testimonianze di chi ha vissuto l’inferno, divorato ogni giorno dalle fiamme, per poi riemergere e comprendere che la schiavitù del gioco è una dipendenza subdola ma anche superabile.

Valeria Genova 

[immagine tratta da Google immagini]

Lo sport come rilettura della realtà

Per ogni individuo lo sport è una possibile fonte di miglioramento interiore.

Pierre de Coubertin

Dopo le importanti vittorie riportate dai nostri sportivi italiani, a partire dalla tennista Flavia Pennetta per arrivare alle atlete di ginnastica ritmica passando per il Basket Italia, non si può non immaginare un collegamento tra la ricerca teorica astratta tipica della filosofia e la manifestazione puramente fisica del corpo attraverso lo sport.

La Filosofia dai più è considerata come un ‘esercizio’: per Dewey è l’esercizio del “metodo dell’intelligenza”, per Herbart è l’“elaborazione dei concetti” con il compito di mettere ordine e connessione tra i concetti e le idee fondamentali delle scienze.

La filosofia risulta, dunque, un esercizio alla vita che può  raggiungere lo scopo di conoscere la realtà abbracciando e connettendosi con tutti gli aspetti della conoscenza umana, dalla politica alle scienze, all’arte, alla religione e perché no alle discipline più pratiche come lo sport.

Non è una coincidenza se sia lo sport che la filosofia hanno visto la loro nascita dalla stessa cultura, quella della Grecia in cui lo sviluppo dell’uomo doveva considerare sullo stesso piano il corpo e la mente.

Anche lo sport, come la filosofia è un linguaggio ed un’espressione universali, rispetto a quelle attività elettive, identificabili con l’arte, la religione e la scienza, perché risulta immediato ed efficace, basandosi sui semplici concetti di spazio e tempo.

E la filosofia non si interroga anche su questo due concetti?

Pensiamo a Cartesio secondo cui gli elementi costitutivi della natura dei corpi sono l’estensione (quantità di materia e spazio che essa occupa) e il movimento, oppure Kant che considera spazio e tempo come “forme a priori” della conoscenza sensibile e molti altri ancora.

Per questo è da considerare il fatto che lo sport porta alla conoscenza e all’interpretazione della realtà umana perchéè in grado di mette a confronto l’istinto e la razionalità, lo spirito e la materia.

Lo sport è l’insieme di tutte le attività elettive dell’essere umano ed è quindi collegato alla filosofia da un invisibile filo che altro non è se non l’uomo stesso inteso come ‘misura di tutte le cose’.

Lo sport diventa così uno strumento nelle mani dell’uomo per liberarsi dalla condizione di schiavitù in cui si ‘auto’-limita, cercando di esplorare se stesso; infatti non appena l’uomo fa sport dimentica i suoi problemi che affiggono la sua vita e quella degli altri,  tutto questo perché lo sport ha delle regole per regolamentare i rapporti e queste sono valide universalmente.

Sport ed etica rappresentano un connubio imprescindibile, senza il quale il primo non potrebbe essere riconosciuto ed efficace in tutto il mondo.

Lo sport insegna a non odiare l’avversario ma a rispettarlo ‘nella buona e nella cattiva sorte’, accettando la sconfitta e apprezzando la vittoria meritata.

Ecco che allora si può intravedere il collegamento imprescindibile tra la ricerca attratta della filosofia e l’attività concreta dello sport: quest’ultimo è da considerarsi come la metafora della vita però basata su precise regole cui non si può sfuggire.

 Valeria Genova

[immagine tratta da Google Immagini]

Welcome back September!

Con l’arrivo di Settembre le giornate diventano sempre più corte, si è costretti a salutare il mare, le vacanze sono un lontano miraggio e le energie ritrovate si concentrano sull’inizio di una nuova stagione, un nuovo anno!

Siamo tutti nostalgici delle calde giornate distesi al sole ma anche pieni di buoni propositi per il futuro che ci attende in questo nuovo anno; la scuola è alle porte con tutti gli impegni che essa comporta, tra cui, il primo riguarda sicuramente la ricerca dei libri di testo; libri per studiare ed imparare, libri per esercitarsi, libri ‘obbligati’.

Per indorare la pillola amara dello studio, la redazione de La chiave di Sophia vi propone alcuni titoli di libri da leggere ‘per voglia’ di:

un viaggio senza ritorno

Isola grande Isola piccola di Francesca Marciano

Nove racconti di amori, incidenti travolgenti, nuove vite e abiti lasciati ‘soli’.

aspettare

Le fragili attese di Mattia Signorini

Una pensione e gli ultimi clienti che hanno messo in pausa la loro vita.

riflettere in modo genuino

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Tutto cambia di Carlo Maria Cirino e Giorgia Aldrighetti

Gli amici di Filosofia coi bambini giungono al loro quarto saggio dopo Cos’è un cucchiaio?, Cos’è il destino? e L’Isola. Fare filosofia con le menti pure dei bambini porta all’esplorazione di se stessi e del mondo circostante.

vivere vivendo

Anna di Niccolò Ammaniti

Una tredicenne, la Sicilia in rovina e la ricerca del fratellino. Un viaggio alla scoperta del senso.

avere solo l’indispensabile

Solo bagaglio a mano di Gabriele Romagnoli

Da un’esperienza particolare dello stesso scrittore giornalista, la consapevolezza che spesso ‘perdere’ significa ‘avere’.

Valeria Genova

[Immagine testo di Filosofia coi bambini e Immagine copertina tratta da Google Immagini]