Rafail Georgiev e la curiosità nell’ate

Rafail Georgiev è un giovane scultore bulgaro. Ha iniziato molto presto a essere un «piccolo homo faber», come si è definito lui stesso. A solo 4-5 anni suo padre, artista, gli dava dei pezzi di argilla e Rafail passava ore e ore a modellarla, alcuni di questi lavori suo padre ancora li conserva nel suo studio… Quest’anno questo piccolo genio dell’Arte ha esposto alla Biennale de Sologne in Francia, oltre a partecipare a vari festival e mostre internazionali in Italia, Germania, Bolgaria, Israele.

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La passione per la manualità artistica l’ha portato, da ragazzo, a frequentare prima l’Accademia di Sofia, dove ha studiato per cinque anni, e poi all’Accademia delle Arti di Roma per altri tre anni. Durante la sua specializzazione a Roma Rafail ha iniziato a lavorare con la pietra, materiale che ora preferisce insieme al legno, al ferro e al bronzo. Materiali che molto lo accomunano con l’Arte Povera italiana, con la quale condivide anche l’uso degli archetipi, argomento che approfondirò più avanti.

Nato da una famiglia di artisti, Rafail Georgiev è una persona curiosa ed è proprio questa curiosità alla base della sua Arte: il suo desiderio è quello di scoprire ed esprimere i fenomeni attraverso essa. Quando lavora si lascia ispirare dalla vita stessa cercando di capire la contemporaneità attraverso gli archetipi dell’umanità, ad esempio l’origine degli esseri umani, i fenomeni religiosi, il mistero della creazione. Le sue sono opere molto interessanti, concettuali, a grandezza monumentale e composte da forme architettoniche che l’artista ha iniziato a sviluppare in questi ultimi anni. Rafail stesso afferma che «l’architettura archetipica è una delle cose a cui mi ispiro per questi lavori concettuali».

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Il giovane artista non segue la moda dell’arte contemporanea ma spiega che le sue opere sono modellate, scavate dalla pietra e in un certo senso hanno la tradizione all’interno di sé; prima della realizzazione, però, hanno una spinta verso il concettuale perché Rafail parte sempre da un’idea o da un mito che lo porta al compimento dell’oggetto attraverso un processo scultoreo. Secondo lui, e io concordo, non esistono delle regole su come fare arte e la curiosità dell’artista e importante quanto il talento.

I suoi sono lavori decisamente da vedere, non da raccontare.

«Sinceramente credo di essere ancora all’inizio del mio percorso artistico e sono molto curioso per il futuro dell’Arte e certamente per il futuro nel mio piccolo».

Ilaria Berto

[Immagini concesse da Rafail Georgiev, informazioni e citazioni ottenute dall’artista stesso]

Verona, l’Arte e il Natale…

Dicembre, il Natale, le vacanze… Un ottimo regalo di Natale che potete farvi, un po’ diverso dal solito, è andare a visitare una bella mostra. Ecco quindi che vi scrivo delle ottime proposte.

Nella romantica Verona due sono le mostre assolutamente da non perdere.

In un percorso articolato, approfondito, affascinante e suggestivo all’interno di Palazzo Forti si possono ammirare la opere di Tamara de Lempicka, l’indiscussa regina del Decò, espressione d’indipendenza, eleganza e modernità. La sua arte si intreccia con interventi musicali della sua epoca. Sarà possibile ammirare le opere di Tamara fino al 31 gennaio 2016.

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Fino al 16 marzo 2016 Palazzo della Gran Guardia ospiterà in anteprima europea la mostra Seurat – Van Gogh – Mondrian. Il Post Impressionismo in Europa. In esposizione i capolavori dei tre artisti provenienti Köller – Muller Museum di Otterlo. Un’occasione unica per ammirare il patrimonio di questo Museo e i grandi artisti in esso contenuti.

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Il giovedì gli studenti universitari di ogni età possono visitare la mostra di Tamara de Lempicka a 8 euro anziché 13, mentre il lunedì è valida la stessa promozione per la mostra Il Post Impressionismo in Europa. Conservando il biglietto di una delle due esposizione si può accedere all’altra con biglietto ridotto.

Ed ecco una bella idea per un regalo di Natale: per la mostra di Tamara c’è la possibilità di acquistare un biglietto regalo, valido per un ingresso da utilizzare per tutto il periodo della mostra.

Ilaria Berto

[Immagini tratte di Google Immagini]

Novembre ricco d’Arte

Un grande periodo per la cultura a Treviso, che ultimamente punta molto su questa. Tre sono le mostre assolutamente da visitare se si è della zona (o se si ha la possibilità di visitare la città).

Riapre, dopo quasi 12 anni e dopo interventi architettonici e museografici che ne hanno completamente cambiato il volto, il Museo civico Luigi Bailo. Nell’ex convento degli Scalzi si potranno ammirare ben trecento opere di artisti trevigiani del ‘900. Filo conduttore del percorso è la collezione civica di Arturo Martini (134 le sue opere), particolare attenzione è data anche ad Alberto Martini e a Gino Rossi, insieme a molti altri artisti.

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Il Museo Bailo fa parte del sistema museale cittadino voluto dall’Amministrazione Comunale, insieme al complesso di Santa Caterina, che ospita una mostra dedicata all’incisore olandese Maurits Cornelis Escher. Costruzioni impossibili, esplorazioni infinite, giochi di specchi, motivi e geometrie sono al centro del suo lavoro artistico. Centocinquanta sono le opere che si potranno ammirare nella mostra, organizzata da Arthemisia Group e visitabile fino al 3 aprile.

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Ca’ dei Carraresi invece ospita, fino al 10 aprile, la mostra El Greco in Italia – Metamorfosi di un genio. Per la prima volta al mondo un’esposizione dedicata agli anni cruciali della trasformazione del Greco, maestro indiscusso del ‘500, attraverso le tappe che hanno scandito il suo complesso iter artistico e spirituale. È un viaggio nel tempo e nello spazio, attraverso la progressiva trasformazione dell’artista e il percorso che lo porterà alla creazione di un linguaggio che non ha paragoni e alla realizzazione di capolavori assoluti.

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Ilaria Berto

[Immagini tratte da Google Immagini]

About M: l’Arte originale di Massimiliano Zinnanti

I love to be disturbing.

Terror alone scares and make people’s eyes run away, draw in molded beauty make them fall in love…

the best way is to freeze them with the orbitoclast of unsureness, in the distorted iris of the doubt.

This is the poison soaked in a kiss of sacred fear.

 

Quando ho chiesto a Massimiliano Zinnanti di parlarmi di sé, con lo scopo di scrivere questo articolo, ha esordito con delle parole che mi dispiacerebbe non citare: «Non nasconderò i difetti che non vanno nascosti perché parte di me quanto il segno, i miei manierismi prolissi o insaporiti di inutile horror […], ma nell’ammettere questo ancora non vi è vera umiltà ma un complimento celato perché nell’autodistruzione ironica c’è la peggior arma: la prevenzione della potenzialità di essere feriti da fuori poiché lo si è già fatto nel proprio ego. Nudi al punto da poter solo mostrare le ossa. Criticarsi è la capacità di ridere di sé, forse, di spiegare le labbra in un sorriso rivolto ai propri denti, sorriso che nel quadro odierno ferisce più della penna che feriva più della spada. Amo l’amarezza del riso, la lama tagliente delle ossa più scoperte dell’anatomia umana. Tutto muore distrutto in un comico rantolo, niente è più pericoloso di quella morbida curva specie in un’epoca così esposta, così debole, così falsa. Perché oggi è tutto talmente fragile e arrogante, un teatrino di finti ubriachi, specie nell’arte, che basta inclinare leggermente lo sguardo per sviscerare il risibile dall’uomo che si mostra più serio. Trovo che palesare la difficoltà sia parte della bellezza, se è uno stratagemma fatto con intelligenza, mentre quando il risultato devia orribilmente dal baccello originale, per mancanza di capacità, volontà, talento o intelligenza, allora non è giustificabile ma semplicemente malriuscito. Le cose facili sono brutte, se sono fatte per mascherare incompetenza. È quindi un atto di preservazione anche l’automutilazione se fatta con uno scopo, e il mio scopo ora è darvi un assaggio di me nel modo che meglio mi riesce, cioè un linguaggio distruttivo, poco chiaro ma ricco, contraddittorio ma passionale. Almeno credo. E mi trovo quindi qui, in un periodo decisamente travagliato della mia vita, ma che contiene in sé un potente contrasto di dolore e umorismo, ed amo questi contrasti, a parlare male di me e del mondo perché possiate pensare bene».

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Massimiliano è una persona singolare e un artista originale, di quelli che non incontri tutti i giorni. Il suo percorso artistico è cominciato recentemente, presso l’Accademia delle Belle Arti di Venezia, dove è riuscito a trasportare nell’embrione del foglio bianco ciò che per anni era rimasto prigioniero nei suoi sogni. «Accidentalmente quanto accidentale» è stata la sua scelta dell’Arte a scapito della Scienza, concludendo che la prima poteva contenere la seconda, trovando il suo “fuoco” grazie alla lotta contro i canoni artistici che gli sono stati presentati dal mercato dell’arte, che da interiore si è incarnata nelle sue creazioni.

«Il passaggio, fondamento e vera lezione che si deve trarre da soli e in assoluto non necessariamente da un’istituzione (ma possibilmente sfruttandola), è che i limiti imposti dagli altri e da se stessi quando si parla di fantasia, creatività e del veleno delle nostre muse, sono falsi e cedevoli. È vera la povertà, la miseria della società che ci strappa infinite possibilità, costringe alla sopravvivenza e all’accettazione di ideali vuoti e stili di vita impersonali […].Se non hai il fuoco, se lo spegni per vantaggi che non ti appartengono, sei un debole, un viziato, schiavo dei limiti imposti, dei cordoni ombelicali a cui la società ti incatena alla nascita, preda delle mode, di etichette di idee non tue, di nomi più grandi di te, di una vita che non ti corrisponde. Ed è per questo che i più scompaiono o nella loro accondiscendenza verso la strada facile ce la fanno, e scompaiono ugualmente, senza aver cambiato nulla»

afferma il giovane artista che di forza e voglia di fare e andare contro corrente ne ha da vendere. Massimiliano vive in una continua ricerca, da ciò che legge a ciò che vede, tutto diventa ispirazione che lo orientano verso un vero e proprio studio che è parte anche del suo creare. Sebbene lui odi le citazioni e il plagio e infatti le ispirazioni tratte da altri devono sempre essere messe in discussione.

Il lavoro di Massimiliano Zinnanti verte sulla nudità della donna e l’orrore miscelati all’unisono, raggiungendo la vetta dell’inquietudine, ecco che quindi in molti, quando vedono le sue opere, le avvicinano al gotico o ad artisti come H. R. Giger o Francis Bacon, attribuzione che si stacca enormemente dalla realtà. «La mia strada è e deve essere solamente mia». E così spiega le sue donne: «voglio ammantare donne che sono bambole della loro stessa algida contraddizione, iridi di smalto di una dea che sarà sempre meno di qualsiasi donna. Sono le mie sirene di perla, belle come idoli e sventrate, rotte nelle giunture rosee per mostrare la loro finzione e l’odio del mondo, l’ipocrisia del mio essere quasi femminista nella lode che proclamo per loro ma comunque uomo nella presunzione di riuscirci».

Ora Massimiliano si sta cimentando nell’esplorazione medica dell’anatomia umana, nell’anatomia microscopica «dei piccoli veri dèi biologicamente eterni», nel raggiungimento di una matrice unica dall’umano che possa poi diventare arte.

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Massimiliano Zinnanti ha inventato una tecnica pittorica in grado di fondere arte materica e digitale, ha vinto riconoscimenti nazionali in diversi campi quali lo storyboard di video, è stato selezionato per mostre di pittura ai Magazzini del Sale a Venezia, quest’anno ha avuto un’occasione a livello mondiale con la prima edizione del FISAD di Torino dal titolo The Sense of the Body, evento incentrato sull’anatomia umana, e correlato anche con l’EXPO. Fra le altre cose la sua tesi di laurea riguardante i Final Boss videoludici contrapposti alle religioni e al deicidio è stata riconosciuta nel 2014 come miglior tesi a livello nazionale sui videogiochi, uno dei temi più cari all’artista, dall’Archivio Videoludico di Bologna.

Concludo il mio articolo con una citazione, sicuramente molto esplicativa del carattere dell’artista:

E per adesso so ancora cosa voglio. Libertà.

La parola d’ordine per creare, evadere da un paese che ha sempre e solo fatto da ostacolo, abbattere il più possibile un sistema di mercato sporco e cieco, e sempre con la libertà intendo procedere nel modo più indipendente possibile, camminando assieme ai miei migliori amici di cui conosco il valore, fondare con loro un gruppo ma contando solo sui miei denti disillusi per andare avanti nella mia battaglia, forse presentare la fine di tutto come un altro ipocrita manifesto, mostrarmi al mondo, a malincuore, molto più di quanto ho fatto e arrivare a finanziare da me quando ne avrò la possibilità i progetti a cui tengo di più ma che so non essere vendibili.

Per ora. E un giorno poter dimostrare più di qualcosa.

 

Per ammirare e conoscere meglio le sue opere, questo è il suo sito.

Ilaria Berto

[Immagini concesse Massimiliano Zinnanti, informazioni e citazioni ottenute dall’artista stesso]

Ottobre in mostra

Ottobre, arriva il freddo e il tempo delle cioccolate calde. Non più passeggiate all’aria aperta, se non nelle giornate migliori, ma si inizia a rimanere chiusi in casa. Quale alternativa migliore se non andare a visitare qualche museo o vedere qualche mostra?

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Nella splendida e suggestiva Villa Manin, a Passariano di Codroipo, il 17 ottobre verrà inaugurata la mostra dell’artista surrealista Joan Miró intitolata Joan Miró a Villa Manin. Soli di notte. Un’imperdibile occasione per scoprire nuovi affascinanti aspetti dell’ultima fase creativa e del mondo interiore di uno dei grandi protagonisti dell’arte del Novecento, l’atmosfera dei suoi studi maiorchini, la ricerca della solitudine e la radicale trasformazione della sua arte. Oltre duecentocinquanta opere, tra grandi dipinti, sculture, disegni, schizzi e progetti d’artista arricchiti da documenti originali e tanti oggetti personali dell’artista e da un eccezionale focus di circa cinquanta scatti fotografici su Miró dei maggiori fotografi del tempo.

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Alla Casa dei Tre Oci, location veneziana purtroppo poco conosciuta, sarà possibile visitare fino all’8 dicembre la mostra SGUARDO DI DONNA. Da Diane Arbus a Letizia Battaglia. La passione e il coraggio: un’esposizione, curata da Francesca Alfano Miglietti, tutta al femminile dove venticinque donne propongono la loro visione del mondo, dell’altro e della relazione. Il mezzo fotografico diviene una sorta di coscienza storica, facendosi testimone anche di quello che spesso viene nascosto. Da qui nasce la scelta di autrici che usano la fotografia come mezzo per esprimersi, di varie parte del mondo, ognuna pronta a cogliere il linguaggio dell’ umanità, dell’unicità, della differenza nelle infinite varietà dei soggetti ritratti, nell’intento di sottrarsi alla paura della diversità.

Ilaria Berto

[Immagini tratte da Google Immagini]

Jessica Ferro: osservare la natura

«Ho sempre saputo con assoluta determinazione che l’arte sarebbe stata la mia strada. Disegno fin da quand’ero piccola, con la stessa urgenza di oggi, come se quello fosse l’unico modo per esprimermi e non potessi farne a meno. I miei primi ricordi d’infanzia riguardano fogli e colori».

Così Jessica Ferro, giovane artista, spiega la sua passione. Questo suo grande interesse che da sempre ha caratterizzato la sua personalità l’ha portata a non avere dubbi sul suo percorso di studi: una volta diplomata con il massimo dei voti presso il Liceo Artistico C. Roccati di Rovigo, si è laureata all’Accademia di Belle Arti di Bologna indirizzo Pittura con 110 e lode presentando una tesi dal titolo “Il segno differito” e ora è iscritta al Biennio Specialistico in Pittura – Arti Visive.

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La passione per l’Arte, che si può dire essere nata con Jessica, è cresciuta parallelamente anche con le esposizioni, che l’artista ha iniziato molto presto, e alle continue partecipazioni a concorsi artistici di livello nazionale e internazionale, in cui ha riscontrato spesso il consenso delle giurie ricevendo premi, menzioni d’onore e riconoscimenti.

Affascinata dal mondo dell’entomologia e della malacologia, Jessica Ferro ritiene fondamentale l’osservazione della realtà e della natura in tutte le sue forme, ponendo particolare attenzione ai dettagli che solitamente vengono ignorati; il tutto per raccogliere suggestioni che l’artista poi riflette nelle sue opere. La ricerca artistica della giovane, che da qualche anno ha dato forma ad un vero e proprio universo di immagini, spesso si basa anche sulla consultazione di determinati testi di letteratura, filosofia o di poesia; questi momenti di puro studio razionale dell’opera, però, si alternano ad altri del tutto incontrollabili in cui «la foga dell’atto creativo prende il sopravvento». «Ho iniziato così a considerare la pittura un luogo intimo in cui devono necessariamente emergere delle visioni e delle apparizioni», così spiega Jessica. Ama molto la sperimentazione entrando in contatto con le più svariate tecniche e i più diversi materiali, credendo che «l’uso di un segno intenso, espressivo, che talvolta diviene traccia incisa, possa esser considerato un aspetto caratteristico» delle sue opere, infatti i suoi lavori sono davvero inconfondibili: Jessica Ferro ha trovato il suo stile e la sua strada artistica che la caratterizzano. Nelle sue opere «sono quasi sempre presenti figure e de-figurazioni che richiamano alla mente frammenti organici, brandelli animali o residui fossili, mutazioni di forme, così da evocare differenziazioni dell’essere». L’osservazione e l’ingrandimento dei dettagli, indagandoli e ripetendoli più volte, spinge la giovane a cercare di cogliere l’essenza e le modalità con cui la Natura segna la materia; questo è vita, una meraviglia inaspettata anche laddove solitamente non si pone lo sguardo.

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Con le sue opere Jessica non vuole imporre nulla, le piace invece pensare che l’osservatore debba condurre una parte attiva nella percezione dell’opera, ricavandone delle sensazioni ed emozioni personali, dovute a esperienze di vita e a letture del lavoro che non necessariamente corrispondono a ciò che l’artista voleva esprimere. L’Arte, infatti, rimane sempre molto soggettiva, una materia intima che ognuno vive come si sente.

Ilaria Berto

[Immagini concesse da Jessica Ferro, informazioni ottenute tramite intervista all’artista stessa]

Una Treviso creativa

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Mentre l’estate sta per terminare e le giornate si accorgiano, piano piano ritorniamo alla nostra routine quotidiana.

Settembre un mese ricco di eventi non solo culturali ma anche artistici. Le città sembrano sbocciare in una ricca varietà di eventi: festival, rassegne, letture, convengi, esposizioni. Anche Treviso sembra sposare questo clima all’insegna della cultura.

Nella suggestiva Ca’ dei Carraresi, affascinante palazzo medievale nel centro della città di Treviso, anche quest’anno si terrà la rassegna di Arte Contemporanea che ospiterà ottanta artisti provenienti da varie nazioni. La Quinta rassegna di Arte Contemporanea vede continuare un percorso intrapreso nel 2011 per portare l’Arte Contemporanea emergente internazionale a Treviso: il progetto vuole essere una scossa per la città e un’opportunità esclusiva di entrare in contatto con artisti poco conosciuti.unnamed

L’inaugurazione si terrà sabato 5 settembre alle 17:00, la mostra sarà visitabile gratuitamente fino all’11 settembre con visite guidate tutti i giorni alle 18:30.

Alice cominciava a sentirsi assai stanca di sedere sul poggetto accanto a sua sorella, senza far niente: aveva una o due volte data un’occhiata al libro che la sorella stava leggendo, ma non v’erano né dialoghi né figure, – e a che serve un libro, pensò Alice, – senza dialoghi né figure?

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Per i più giovani appassionati di arte non posso non menzionare un’interessante iniziativa all’interno dell’ HOME Music Festival, che si terrà a Treviso in zona dogana da giovedì 3 a domenica 6 settembre. Quaranta writers da tutta Italia, con la collaborazione del TCBF, renderanno omaggio ai centocinquant’anni del famoso libro di Lewis Carrol Alice in Wonderland, rappresentando in modo estemporaneo su appositi walls la piccola protagonista e i suoi compagni di avventure. Questo e molto altro si potrà ammirare durante tutta la durata del Festival. Un’opportunità particolare per godersi più arti in un’unica serata.

Ilaria Berto

[Immagini articolo tratte da Google Immagini – Immagine di Copertina di Monica Conserotti]

BEATRICE TACCOGNA E LA SUA ARTE

 

Quando l’Arte passa di generazione in generazione, questo è il caso di Beatrice Taccogna: nonno e padre artisti hanno trasmesso la loro passione alla giovane. Diplomata in Scenografia d’Arte presso l’Istituto d’Arte, ora studia all’Accademia di Belle Arti di Firenze dove partecipa anche a mostre organizzate da essa oltre ad altre esposizioni.

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Beatrice ama, sia come pittrice che come persona, Frida Kahlo, traendo ispirazione da questa artista, «dall’insieme delle sue opere che raccontano una storia tormentata quanto piena di emozioni», è grazie a questo che è arrivata a trovare lo stile che ora utilizza e infatti i suoi, guardando attentamente, possono ricordare i quadri di Frida ma con un modo di dipingere molto personale.

Dipingendo ciò che le parole non possono spiegare, Beatrice Taccogna si ispira molto anche al suo stato d’animo, trasponendo su tela le sue emozioni, raccontando di sé stessa, di lati che non sempre conosce prima di trasformarli in immagini e colori, ricordandosi sempre che l’Arte è qualcosa che nessuno mai potrà toglierle. Le sue opere parlano quindi dell’artista stessa che si ritaglia un momento tutto suo nell’atto di dipingere, molto spesso dipinge ritratti inconsci nei quali si rivede soltanto alla fine. Beatrice ammette che forse è un po’ egoista in questo ma chiunque può identificarsi e apprezzare i suoi particolari lavori, costituiti da emozioni contrastanti. Non crede che un artista debba forzatamente imporsi un messaggio sociale legato alla propria arte ma, e concordo in pieno, a volte si può creare Arte per il semplice piacere di farla.

La giovane artista non si sente legata a un particolare stile nel quale identificarsi, anche questo si nota molto ammirando i lavori; per creare le sue opere usa spesso olio, acquerello e stencil, ultimamente si è avvicinata anche alla forma artistica del collage.

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Del nostro Paese pensa, come tutti, «che abbia un patrimonio artistico senza uguali al mondo ma nonostante questo i giovani artisti hanno grandi difficoltà a trovare spazi e occasioni per emergere» in questo campo, un grande problema che si presenta per tutti noi che cerchiamo di farci conoscere per la nostra passione. «I costi per “fare Arte” e presentarsi al pubblico sono molto elevati quindi o si ha la fortuna di avere proprie possibilità economiche o si rischia di restare sempre limitati in ambiti locali», infatti sono davvero poche le persone disposte ad aiutare i giovani in modo gratuito, purtroppo la maggior parte vede l’Arte semplicemente come fattore economico, ragione per la quale lavorano con artisti già conosciuti che possono pagare lasciando i giovani nell’ombra.

Come molti anche Beatrice, per il futuro, spera di poter viaggiare «e ,anche se può sembrare un’utopia visti i tempi» afferma l’artista, vivere della sua arte e creare spazi che diano possibilità a giovani artisti come lei di potersi esprimere e farsi conoscere, luoghi di cui si sente sicuramente gran bisogno.

 

[Immagini concesse da Beatrice Taccogna, informazioni ottenute tramite intervista all’artista stesso]

Federica Pagnan: la metamorfosi del segno

Federica Pagnan, 24 anni, ha dimostrato fin dall’infanzia la passione per l’arte: «L’arte è nata con me. Quando ero bambina portavo sempre fogli e matite e disegnavo ovunque», spiega la giovane artista. Con l’adolescenza arriva anche la fatidica domanda da parenti, insegnanti e amici «Cosa vuoi fare nella vita?» che mette in crisi quasi chiunque ma non Federica che aveva le idee ben chiare, voleva semplicemente continuare a coltivare la sua passione per l’arte. E così ha fatto, iniziando con i suoi studi al Liceo Artistico di Treviso per continuare all’Accademia di Belle Arti di Venezia, nel frattempo partecipando a mostre collettive e non e a concorsi, fra i quali, è un dovere menzionare, la Biennale di Bassano del Grappa, in cui è stata selezionata, unica del triennio dell’Accademia.

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Nelle opere di Federica Pagnan, che spaziano su molti soggetti, si possono notare principalmente due cose: il movimento e la confusione dati dagli schizzi di colore e dai giochi di piani. L’artista “usa” l’arte come suo sfogo personale, motivo per il quale utilizza questa tecnica. Appassionata delle metamorfosi, oggetto della sua tesi di Laurea, afferma che ogni essere vivente si muta in qualcosa, si trasforma per via dei cambiamenti del clima o della società umana. Tutto si trasforma per adattarsi alla situazione. Lei le spiega così: «Le mie opere sono in continua metamorfosi: non sono mai uguali, cambiano sempre, sia nel segno che nel soggetto. Ad esempio le mie incisioni sono molto diverse dalle opere pittoriche, sono due mondi completamente diversi. È una cosa spontanea, ma non è detto che rimarranno distaccate sempre, magari un giorno si collegheranno, ma non adesso». Per quanto riguarda il suo stile, invece, la giovane artista pensa che si sviluppi nel tempo: durante la nostra chiacchierata mi ha proposto come esempio Picasso, come si è evoluto nel tempo il suo di stile; Federica è ancora nella fase della “metamorfosi”, appunto, sta cercando di far prendere una forma precisa allo stile ma è ancora giovane, sebbene piena di passione, fondamentale per il suo obiettivo, e ha ancora molto da imparareIMG-20150215-WA0003Quando Federica Pagnan dipinge o incide si sente in un mondo isolato in cui ci sono solo lei e l’opera, con il pennello o la punta per incidere trasmette tutte le emozioni che ha dentro, tutta la sua energia la trasporta nel suo lavoro; l’artista paragona questa pratica a una seduta dallo psicologo a cui racconti i problemi, lei invece li trasmette alla tela o alla lastra. Una frase che mi ha molto colpito di Federica è stata «ogni artista racconta il suo modo di vedere il mondo» e infatti è questa la vera essenza dell’arte

Per quanto riguarda il futuro la giovane artista ha in mente solo di continuare ciò che già sta facendo: dipingere, incidere ed esporre i suoi lavori, sebbene il suo sogno nel cassetto sia quello di aprire un laboratorio per dare ai giovani la possibilità di esprimersi.

Se siete interessati, potete seguire Federica nella sua pagina Facebook.

Ilaria Berto

[Immagini concesse da Federica Pagnan, informazioni ottenute tramite intervista all’artista stessa]

Quando il cibo diventa arte

Come tutti sanno è in corso, a Milano, l’EXPO Nutrire il pianeta. Energia per la vita e in concomitanza sono stati organizzati molti altri eventi in giro per l’Italia il cui tema è appunto il cibo, anche questa è una forma d’arte e di cultura dei popoli.

La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso presenta una mostra che racconta, attraverso preziosi originali fotografici, cento anni (1860 -1960) di tradizioni, abitudini, gesti pubblici e privati, luoghi e occasioni degli italiani a tavola. La macchina fotografica è la prima e vera macchina del tempo, capace di fissare l’attimo fuggente sia della grande storia come di quella famigliare e privata, tutto con la fotografia è registrato e trasmesso attraverso il tempo e quindi conservato negli archivi delle maggiori istituzioni come nei cassetti di ogni famiglia. Le fotografie sono quindi una testimonianza indiscutibile dell’identità alimentare italiana, che è identità culturale, fatta di memorie storiche, di ricordi famigliari, di riconoscimenti sociali.

Nelle fotografie degli italiani a tavola ritroviamo i segni riconoscibili della sua storia alimentare, le differenze e le condivisioni di modi e comportamenti, di ricette e di gusti, di gesti conviviali, che hanno segnato il cammino dell’alimentazione italiana, sia regionale che nazionale, dalla metà del secolo XIX a tutto il XX e quindi a questa prima parte del XXI. Un’ottima occasione per conoscere e imparare anche …. .

Italiani a tavola, inaugurata a fine maggio, sarà visitabile fino al 31 ottobre e ha come sede la suggestiva Villa Pisani a Stra.

Ilaria Berto

[immagini tratte da Google immagini]