Il PRINCIPIO DI NON IDENTITA’ E CONTRADDIZIONE

In questi ultimi decenni abbiamo assistito a un energico fiorire, per poi affermarsi, di scienze quali l’antropologia, la sociologia, la psicologia che sono andate, in un primo momento, a supportare quella filosofica e in un secondo momento, nostro malgrado, quasi a sostituirla, sino a prenderne il posto nel terzo millennio.

Insomma sembra proprio che la Filosofia stia “anoressizzandosi” e nel medesimo tempo cedendo il passo a nuovi e più empirici filoni culturali. E’ un fatto, questo, abbastanza tangibile come lo è quello che oggi la situazione economica mostri di più cenni di esautoramento, spossatezza e invecchiamento; tant’è vero che ampi settori della produttività industriale, turistica e agraria, pilastri dell’economia italiana, sono stati colpiti, chi più chi meno, da una crisi severa e dilagante mentre resta ancora fruttuoso il settore ingegneristico.

In un tale e chiaro contesto, un giovane prossimo al diploma e “costretto” di lì a poco a dover fare una scelta universitaria, quali garanzie può avere di inserirsi nel mondo lavorativo in genere e scolastico nella fattispecie, iscrivendosi alla facoltà di Filosofia? Forse nessuna! E per me neppure una smodata passione può motivarlo verso quel tipo di laurea: sarebbe catastrofico!

La stessa traballante situazione è vissuta dagli insegnanti precari che, dopo estenuanti ricerche e mediocri conquiste, giungono, esanimi e brizzolati, al sospirato posto. Quanta grinta o amore potrà impiegare un docente di filosofia nell’impartire la sua lezione? E quanta empatia tra lui e il discente si stabilirà? Quanto squallore, inoltre, quando si sente dire proprio da certuni docenti: “vado a scuola per riposare”!

Ma c’è un fatto ancora più eclatante e che a me sembra abbia avuto un peso maggiore e determinate nello scadere della Filosofia. Se prima, infatti, la sua ricerca poggiava sulla universalità e sulla indissolubilità di principi morali, epistemologici ed etici, oggi la super veloce bizzarria sociale ritiene quei principi superati ed obsoleti. Così facendo essa non ha saputo far altro che stuprare la nobiltà di quegli assiomi sostituendoli con Verità Artistiche prepotentemente personali ed inevitabilmente individualistiche e poco ortodosse. Come dire, usufruendo dell’hegeliano PRINCIPIO DI NON IDENTITA’ E CONTRADDIZIONE, ad ognuno il triangolo con più o meno 3 lati, ad ognuno la propria morale, la propria etica etc…

Questo principio governa molti ambiti della società contemporanea andando ad interessare pure quello politico e, peggio, quello linguistico; mi riferisco al nostro comune parlare, il più delle volte fatto di antinomie e paranoica motilità concettuale. Siamo capaci, insomma, di argomentare con convinzione su A, ma un nanosecondo più tardi, ne affermiamo l’esatto opposto ed infine all’occorrenza che A è B: siamo bugiardi o labili di memoria?

Direi improduttivamente caotici, spavaldamente frenetici e un tantino ebefrenici!

Giulia Di Nola

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Il santo

M’illumino d’immenso: una delle preghiere più soavi attraverso cui l’infinito dolcemente attracca nel finito che più verserà lacrime d’angoscia. L’ assolutamente altro, prono sull’esserci, lo invita a farsi contemplare, dipingere, scolpire, musicare: non capire, ma vedere; non ragionare ma sentire, udire, percepire in silenzio il silenzio.

In quell’alba l’incandescenza della vita, colta e filtrata dall’artista, si trasforma in metafisica e il linguaggio senso-percettivo del “santo” in attimo estatico, in avvento artistico inteso come bisogno e legame simbiotico tra finitezza ed immensità, tra il desiderio di interpretare e quello di essere interpretato giacché nell’arte è essenziale al tempo l’eternità e a quest’ultima al tempo, sì come all’immensità la finitezza, alla complessità la semplicità.

La porta carraia si spalancherà se l’immensità saprà ancora stupirci, “sospenderci” e se l’uomo avrà ancora il tempo per quell’attimo, solo allora ogni artista, il santo, avrà il suo pennello, le sue note musicali, la sua penna, la sua mano in un olocausto liturgico, in un vangelo di suoni, odori, colori, parole e gli sarà “dolce naufragar in quel mare”!

Giulia Di Nola

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Adoramus te et benedicimus Anubi

Che la società contemporanea sia affetta da un severo sgretolamento dei valori etico-morali è risaputo. Questi ultimi, un tempo preziosi modelli di riferimento, costituivano, infatti, il faro, la guida, la sicurezza e ricchezza psicologiche, le basi, insomma, sulle quali la civiltà poggiava. Con nuovi culti zoolatrici dal sapore antico come quello di Anubi, l’uomo ha colmato il vuoto, il senso d’angoscia o di solitudine scaturiti proprio dalla perdita di quei modelli. Ma le carenze affettive, gli squilibri psichici, le malattie dell’animo continuano ad aumentare a dismisura così come constatato da eccellenti studiosi.

Anubi, in Egitto, era la divinità cinocefala posta a guardia dei cimiteri e dell’oltretomba e perciò detto pure “Il Signore Degli Occidentali”. I Greci, in seguito, chiamarono le città in cui si praticava il culto di Anubi, cinopoli, cioè “Città dei canidi”.

Da quelle concezioni a oggi, ne abbiamo fatti di progressi: abbiamo visto ballare cieli e terra attorno al sole, abbiamo fatto, orgogliosi, quattro passi sulla luna, abbiamo fatto delle nostre conoscenze matematiche delle ancelle a servizio dell’ingegneria; ma da quel periodo storico, egizio ed ellenico, precedente la venuta di Cristo, non ci siamo affatto allontanati.

Sembra che le energie umane siano ancora volte all’adorazione di Anubi. Lo gridano gli spot pubblicitari, lo propinano finanche alcuni politici impegnati in massicce campagne di “volontariato” con alle spalle i più grandi colossi industriali.

Adotta Anubi! Fai del bene al canile del tuo Comune e andrai in paradiso! Un messaggio-imposizione-precetto che va diretto al cuore, a quel “tu devi” che una volta occupava luminoso le coscienze e dirigeva la volontà e l’amore verso l’altro da noi: il vicino, l’amico, il genitore, l’anziano, il figlio, il prossimo come noi stessi. Sembra quindi che Anubi abbia priorità su ogni tempo e luogo e idolatrarlo sia il modo migliore per operare e sentirsi cristiani autentici. Una nuova forma d’arte anche se dal sapore antico? Non credo! Spero sia solo una moda e che, come tale, presto tramonti.

Giulia Di Nola

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Trinità

Un‘oleosa eternità, ocra e rovente di perfezione,
blandisce la valle dei templi.
Assediata da un “Olimpo” di maestrìa,
essa si mostra ai miei occhi attoniti
come un ateneo di poesia,
ove il sibilo caldo del vento siculo,
galleggia per le ambrate vie.
Macinate,
consumate da flessuose processioni di gente affannata,
esse strisciano tutte ai tre santuari.
Il sole batte lungo la possenza del lor giallastro tufo,
si insidia inclemente per i colonnati secolari che,
favorendo Agrigento antica,
a sprazzi rubano al cielo qualche momento.
E, pur se poco resta di Giove e Giunone,
è quel che basta per incantarsi,
mentre Concordia, tra l’uno e l’altro,
risorge tracotante e senza sosta.
Serbando la sua illibata intimità da ogni dissacrazione,
l’integro tabernacolo,
là ove Cristo fece far silenzio,
consente solo a drappi di luce stordente di ammainarsi,
come blasoni,
lungo l’immortal sua pietra.

Giulia Di Nola

La donna (Altra): una corda tesa tra l’Altro e la Superdonna!

Donna non si nasce, lo si diventa!”.

Simone De Beauvoir (1908-1986)

Mediante questo assioma e nella prospettiva di un combattimento senza fine, il femminismo di S. de Beauvoir, verso la metà del XX sec., apparve scandaloso e originale nella magistrale opera “Il secondo sesso”; ritenuto, allora, un avvenimento di straordinaria importanza, oggi, ancora si fa fatica nel valutarne lo spessore e la profondità.

Nello studio comparato condotto dalla Pensatrice sugli esseri viventi, dagli invertebrati alle classi superiori, ella parla della sorte dell’individuo in genere e di quella della donna in specie, non in termini di felicità, ma di libertà. Fedele, quindi, alla filosofia esistenzialista sartriana la Scrittrice mira a riesumare nella donna il desiderio incommensurabile di trascendersi e di affrancarsi da uno stato di mediocrità/inferiorità che la obbligava a essere l’Altro del maschio, il castrato senza passato, senza avere il diritto di definirsi come l’Altra: la donna.

A ridosso del conflitto mondiale le critiche beauvoriane all’alienazione sessuale della donna, all’economia, all’imborghesimento del matrimonio, alle leggi etico-morali in materia di contraccezione e aborto, alla maternità vista come schiavitù, sono divenute realtà ed enunciati sociali per milioni di donne. Nessun misticismo, perciò, nessun modello biologico predeterminato, né scienze, né fissità, solo mutazione antropologica.

Nelle diverse epoche storiche la donna, a causa delle culture vigenti e con il sorgere della proprietà privata, silenziosa e piegata al suo paralitico destino, ha vissuto inconsapevolmente la condizione di disparità e vessazione rispetto al maschio.

In seguito, faticosamente e attraverso duri e rivoluzionari percorsi, è giunta ad affermarsi come persona recuperando la propria identità nella realtà familiare e in quella sociale, ma soprattutto è riuscita ad annullare le offensive differenze tra i sessi e tra i ruoli a essi assegnati dai molteplici stereotipi nonché dalle volutamente travisate interpretazioni bibliche.

La presa di coscienza del sé, determinata dall’avvento del lavoro extra-domestico e dall’industrializzazione, la scomparsa della famiglia patriarcale sessista e l’apparire di quella monogamica, la possibilità di erudirsi, quindi la raggiunta libertà, sono il fondamento dell’emancipazione culturale della donna.

Secoli di assoggettamento hanno rappresentato secoli di stupro psicofisico, di forze negative che, trasformate in forze produttive, interiori ed esteriori, hanno portato la stessa a reagire, ribellarsi e infine a recuperare i suoi diritti e le sue posizioni per non trovarsi più ai piedi di uno sgabello.

Anni di lotta l’hanno scagionata dalle grette forme di oscurantismo che l’avevano resa disabile e intellettivamente inferiore agli occhi del mondo maschile relegandola a determinati ruoli; quegli stessi sforzi l’hanno indotta a esagerare, appropriandosi indebitamente di alcune specifiche caratteristiche e atteggiamenti prettamente maschili, penalizzando la sua stessa femminilità.

Però, se da un lato la donna della de Beauvoir è una persona che mira a fare di sé un soggetto, un individuo posto nella storia e artefice del proprio destino, dall’altro la Filosofa immagina un modello di donna superiore, perfetto: una superdonna che trascenda la donna! Un dio che ricorrendo alla partenogenesi, rimuove il maschio e si debiologicizza: basta un acido o un’ eccitazione meccanica a provocare la segmentazione dell’uovo e lo sviluppo dell’embrione…”. Una Madonna?

Una visione del genere fa della Pensatrice la prima donna femminicida!

Giulia Di Nola