Intervista a Pietro Berselli: situazioni, parole, sincerità e musica

Ascolto, Pietro Berselli, un nome e un cognome, ascolto e riascolto, Mediterraneo è strumentale e vorrei che dicesse, Mediterraneo mi tiene piacevolmente sulla corda, Debole e Brindisi e sono tra le donne, quelle fondamentali per un pomeriggio, e adesso stanno sotto al tappeto, e adesso mi ritorna alla narice l’odore della polvere. VA DETTO che lo ascolto con pregiudizio e assoluto rispetto, perché con l’arte siamo tutti un po’ sensibili, vogliamo essere colpiti nella nostra solitudine e trascinati fuori a bere qualcosa. Ecco ce l’ha fatta, è un’ottima compagnia e non perché aprirà LEVANTE il 12 Settembre al Rise Festival di Padova. È un’ottima compagnia perché mi racconta i fatti suoi così come stanno. Ci vuole fatica a dire le cose così come stanno, per le sovrastrutture che ci accompagnano e per il rischio che non ci sia granché da dire.

Domando di più, direttamente a lui, per curiosità, per avere conferme o smentite su quanto pensato…

 

Che differenza c’è tra parlare e cantare?

C’è un’enorme differenza. Prima di tutto si lascia da parte la melodia forzata, in secondo luogo si tende ad ascoltare meno la metrica. Fondamentalmente ritengo che ci sia più libertà, ovviamente ci sono pro e contro. Parlando bisogna stare molto attenti a quello che si dice, è molto facile cadere nella banalità o nell’inutilità di certi giri di parole. Dipende sempre da quello che vuoi dire e come lo vuoi dire. Certe volte un pensiero non può rimanere incatenato alla melodia.

 Racconti di cose che vengono da situazioni dell’esistenza, ma le situazioni, sono già situazioni mentre le vivi, o solo dopo, quando le scrivi?

Io parlo soltanto di situazioni vissute da me in prima persona. La maggior parte delle volte una canzone nasce esattamente nel momento in cui la situazione sta avvenendo o è appena avvenuta. Scrivere di qualcosa che è successo da tanto tempo è difficile, io ho bisogno di emozioni forti e presenti per poter scrivere. Il tempo altera sempre le cose in modo irreparabile.

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Quanto è importante la sincerità nel tuo creare, l’arte può mentire per riuscire a trasmettere?

Creare per me è per prima cosa un atto terapeutico. Scrivo per razionalizzare situazioni che mi turbano, infastidiscono o alterano. La sincerità è fondamentale per il semplice fatto che l’atto diverrebbe inutile, falso, e dovrei riscrivere daccapo il tutto per poter esorcizzare quello che mi turba. Non so come scrivano altri musicisti, probabilmente c’è che riesce a scrivere di situazioni inventate, non è così per me.

 

Nel 2015 Pietro Berselli si unisce all’etichetta padovana dei SOTTERRANEI, un’entità che si sta facendo largo prepotentemente nella scena musicale, formata musicisti e non musicisti, impegnati non solo nella creazione artistica ma anche nella promozione, nell’organizzazione di concerti e festival.

 

 Gianluca Cappellazzo

Sito web: qui

intervista a Gli uffici di Oberdan

gli uffici

L’intervista agli Uffici di Oberdan, continua il percorso iniziato con l’intervista a Sisma ed apre ufficialmente la mia nuova rubrica: Traffici d’idee, una rubrica che è un pretesto per parlare delle persone che incontro e per incontrane di nuove. Fino a qui si è parlato con dei musicisti, in futuro ce ne saranno degli altri ma ci sarà spazio per altre storie di individui o di gruppi di esseri umani impegnati nel ricercare qualcosa di personale. A me la scelta di cosa valga la pena di essere raccontato.

Perché parlare con gli altri, parlare degli altri di altro è parlare con se stessi di sé. A me diverte e quindi…

Intervista a GLI UFFICI DI OBERDAN

Incontro Davide Cadoni (chitarra e voce) e Pasquale Rao (Basso). Con Davide Amadio (batteria) compongono Gli uffici di Oberdan. Inizia a fare buio.

Spiegatemi il vostro nome, posso capire perché Oberdan, ma gli uffici?

Oberdan, e la sua storia, incarnano l’animo rivoluzionario e sovversivo che in fondo spinge tutti noi a cercare di eludere lo stato “non naturale” delle cose, quel fuoco che arde contro tutto ciò che ci tiene all’oscuro della verità. Si parla di rivoluzioni sociali che possono aver luogo solo dopo quelle personali. Come lui, ognuno di noi dedica la vita ad una personale e continua rivoluzione. Ogni giorno scopriamo nuove sfumature e decidiamo se esse fanno parte indelebilmente del nostro essere o se invece lasciano margine al miglioramento, permettendoci così di plasmare in meglio la sostanza densa in cui immergiamo le nostre giornate. Oberdan offre la sua vita con lo scopo di riunificare l’Italia, annettendo territori posti per altrui volontà oltre il confine. Come lui vogliamo esplorare quegli orizzonti sconosciuti che sentiamo potrebbero arricchirci, che sentiamo ci debbano appartenere. Egli diventò martire per dare vita ad un’Italia unificata, metafora del nostro tutto. Mettere in gioco la propria vita per completarci come persone, per raggiungere il proprio senso, a costo anche della morte. Gli uffici mi chiedi? Sono stanze immaginate dentro le quali ci piace pensare si preparasse la rivolta “Si suona come si vive, per scoprire, costruire e conquistare quella parte di noi che sentiamo debba in qualche modo appartenerci, per accendere la luce in quegli uffici in cui progettiamo ogni giorno le nostre rivoluzioni.”

Come vedrebbe il presente O.?

La vedrebbe male, perché l’Italia è di fatto ancora divisa, non c’è senso di fratellanza , non c’è ascolto ne dialogo tra le persone. La speranza è che la musica possa continuare ad aprire gli occhi e i cuori delle persone, annullando le distanze che portano a sentirci soli in mezzo alle nostre trincee.

parto con le domande filosofiche della redazione:

Nelle vostre canzoni si scorge il paradosso tra l’evoluzione dell’uomo attraverso lo sviluppo tecnologico e l’involuzione della sua etica: secondo voi è impossibile che tecnica ed etica possano percorrere insieme la stessa strada? Perché?

Mi dicono che la tecnica non è un male, il problema è l’utilizzo che se ne fa. Mi dicono anzi che la tecnica è meravigliosa. Anche fare un cd richiede un sapere tecnico notevole, occorre saper suonare, saperlo produrre e poi saperlo distribuire al pubblico. È il profitto che poi crea i problemi. Il profitto quando questo diventa l’unico obiettivo.

Ecco si il problema tra etica e tecnica è proprio questo. Andrebbero benissimo le due cose se puntassero entrambe ad un obiettivo giusto. Chiedo cosa vuol dire giusto? Giusto è ciò che può servire a nutrire e a perseguire il bene comune, e personale. Giusto è quel qualcosa che veramente è utile all’uomo, un’utilità che si avvicina al naturale. Alla natura animale dell’uomo, non intesa come irrazionale, o non solo, ma come stato di natura non condizionato dal contesto sociale. Quella cosa tanto ricercata da Hobbes e Locke. Si aggancia subito la seconda domanda.

2 Nella vostra canzone “Contronatura” mi hanno stupito questi due versi:

“Non cercare di andare contro natura

non cercare di andare contro quello che sai”

Cosa vuol dire per voi ‘andare contro natura’? Essere ‘secondo natura’ o meno, è, secondo voi, qualcosa che dipende dal soggetto singolo o dalla società?

I versi citati sono un gioco voluto, possono essere intesi come le parole della società, che eleva il suo giudizio a verità naturale, inattaccabile. Non andare contro natura, contro quello che sai, quindi contro quello che ti è stato detto. Allo stesso tempo queste parole possono essere un mantra da ripetersi. Un ricordarsi quello che sai dalla nascita, prima che i dogmi sociali imprigionino il tuo pensiero, quei desideri puri e quei bisogni reali che tutti possediamo.

Cerchiamo poi di definire cosa sia naturale. Ma non ci riesce alla perfezione, e siamo contenti di questo. Si ci sono dei bisogni comuni, ma non siamo omini di pongo fatti con lo stampino, il senso di questo esistere è proprio scegliere quali sono le vie che più ci piacciono, quelle che ci fanno correre senza mollare.

3- Leggendo il testo di “Perdo tempo” mi viene da pensare che ci sia paura nei confronti del tempo. Secondo voi il tempo è soggettivo, quindi è una costruzione mentale che il singolo plasma a seconda delle sue esigenze o esiste davvero un tempo oggettivo pertanto menefreghista nei confronti dell’uomo?

Preciso che tra una domanda seria e l’altra ci perdiamo in cazzate esistenziali senza capo ne coda, ma estremamente fondamentali. Ma di questo parlerò dopo.

Rispondono alla mia domanda ed ammetto che sono costretto a richiedere più volte la risposta, alla fine arrivo a capirci qualcosa. Per limiti miei ovviamente. Riassumo come posso. Il tempo oggettivo come quarta dimensione fisica lo scartiamo proprio. Non ci interessa ciò che non passa attraverso l’uomo. C’è nel tempo umano, un tempo considerato semi-oggettivo. La classica linea della vita, che ci dovrebbe spiegare quando è il momento di fare cosa. Ma agli Uffici non piace avere obblighi e preferiscono cancellare le tacche da questo metro. Perché? Perché anche questo tempo è un’invenzione. Si finge oggettivo quando in realtà è una costruzione altrui. La risposta è: “non è che non esita proprio, ma chissenefrega!”. La soluzione non è misurare il tempo. È caricarlo di valore. Quando una vita è ben spesa anche l’angoscia del tempo sparisce. I Baustelle dicono: “credi di morire, non è niente se l’angoscia se ne va”.  Pasquale mi racconta di come sia cambiata la sua vita da quando suona: “Prima tornavo a casa da lavoro, guardavo la tv, andavo a letto e poi di nuovo a lavoro. Adesso ci troviamo a suonare. Creiamo qualcosa di nostro. Sono sempre stanco morto. Ma sono felice.” E mi dice anche che ogni cosa dovrebbe essere fatta come fosse l’ultima volta. Non credere a quello che si fa. Quello è perdere tempo! E non, come si sentono dire tutti quelli che fanno qualcosa che gli piace: fai qualcosa di utile, fai qualcosa che serva, non fare il perdi tempo.

E ci troviamo a perdere tempo a chiacchierare, a scoprirci, a scrivere articoli, a scrivere poesie, ad ascoltare musica buona e schifosa. A fare progetti che magari non fanno successo. Ma come mi dicono Gli Uffici di Oberdan, l’importante è non voltarsi indietro e vedere una vita di rimpianti, l’importante è averci provato.

Ok prima vi parlavo di tutte quelle altre cose non propriamente attinenti alle domande, provo a raccontarle unendole alle sensazioni dell’ascolto del loro disco:

Parte svarione, solo per chi ha tempo da guadagnare.

Ascolto gli Uffici di Oberdan su Spotify, quello per computer che quello sul telefono fa schifo. La velocità degli anni “perché il tempo ci sfugge ma il segno del tempo rimane[1]”. E con il passare del tempo, nei miei attimi recenti, la gente scema mi pare sempre meno interessante e mi trovo ad essere meglio di loro senza presunzione. Ok uno due tre, schiaccio play:

“Puntiamo solo a salire, puntiamo solo ad impazzire” puntiamo pesante  sui nostri sogni, puntiamo a scendere dal letto con felicità. Che poi è donna e quindi per averla non va rincorsa.  Ma stiamo parlando di rivoluzione e di bombe in tasca. “pronte ad esplodereee” e forse bastano due bombe in tasca come coperta di Linus per fare la rivoluzione, Oberdan non si nasce si diventa, si diventa morendo, ma vabbè.

“ Non cercare di andare contro quello che sai” “la chiave della felicità è la disobbedienza in sé a quello che non c’è[2]”. Non cercare di imparare dagli altri quello che non sai, meglio stare incompleti che vivere altre vite “so che hai sogni non tuoi”. Cosa vuol dire contro natura  chiedo agli Uffici? contro natura gioca sulla natura naturale e su quel che ti dicono sia naturale. Ma cos’è naturale? “com’è spoglia la città da quando soffre solo il freddo”, naturale è ciò che appartiene all’animale umano, il naturale ce l’hai nel sangue, non è naturale l’imposizione della società che crea bisogni indotti intrappolando l’individuo. a casa mia si parla di mangiare e di proteggersi da varie cose: dal disordine, da futuro, da stare da soli, da far soffrire gli altri e dal non farli soffrire proprio. Proteggersi è naturale, ma imprigionarsi non lo è. Per gli Oberdan è una ricerca non finita, il loro album è un invito a ricercare la propria via, nel rispetto degli altri, della bellezza naturale e di quella umana. È un tentativo di slegare le catene ai tizi nella caverna, consapevoli che i molti se ne resteranno comodi al buio, ma qualcuno uscirà alla luce. “sarebbe stato più semplice non aver mai aperto gli occhi, sarebbe stato più facile, non averli chiusi mai”

Dopo averli intervistati è più chiaro questo cd, dovrebbe essere obbligatorio ed illegale un colloquio con l’artista. Continuiamo parlando della comunicazione, degli effetti di parlare solo di sesso e violenza

Venerdì sono andato a vedere Jovanotti. Che gioca al rock n’ roll. Anche Ligabue dice qualcosa di simile, aspetta come dice? Apro Youtube e trovo questo: Andrea comunica il suo suicidio con un video, poco dopo si toglie la vita. E forse gli Oberdan avevano ragione, tira più un morto ammazzato che un carro di buoi. Sulla fica non saprei.

“Mi vedi bene; mi vedi bene; mi vedi bene; mi vedi bene ma io — non ci riesco!!” e subito penso alle ragazze e dimentico Andrea “Andrea si è perso, ma non sa tornare, Andrea ha in bocca un dolore, la perla più scura[3]”. Ha ragione Andrea, che i miei articoli vanno letti cagando. E mi rende felice avere un posto nel mondo, un posto di pace e meditazione. “Che bello che era averti attorno/ come aver trovato un posto al mondo/ dove alla fine fare ritorno/ quando non c’è un posto dove andare[4]” “Non essere noioso Non sentirmi più solo/ Stare bene così/ Senza un posto nel mondo[5]

In sostanza se non srotolo una morale, se non estraggo pathos dal concetto dell’album, vuol dire che  PERDO TEMPO? Di questo parliamo al secondo spritz metà Aperol e metà Campari, di quello che ti dicono, del non naturale che diventa fondamentale, ti dicono che se non si fanno le cose come vanno fatte, si perde tempo. Se non si fanno le cose che vanno fatte si perde tempo. E così il tempo non si vince mai, si asseconda. E il tempo poi vince sempre sulla lunghezza, si può batterlo solo in intensità. E gli Oberdan mi dicono: meglio bruciare rapidi e intensamente piuttosto che spegnersi lentamente senza aver mai prodotto alcun calore. “Non tutto quel che brucia si consuma” “e lo ripeto ancora, fino a impararlo a memoria, finché siamo qui, noi siamo gli immortali[i].”

Finisco l’intervista, ci penso qualche giorno, che la vita non è facile, la vita non è male se scegli come spenderti, scegliere da gusto all’esperienza, dà peso all’esistenza.  E la scelta viene dal desiderio e dalla ragione, la scelta è l’espressione dell’individuo. E che parlare con la gente è sempre una scusa per scoprirsi

parlare di qualcuno

È parlare di tutto il resto

dei pochi sconosciuti

tra i sette miliardi

e dei soliti sette gatti

 

cose dalle cose.

parlare del tale, dell’ernia iatale

sempre parlare di tutto

il resto

lasciare o non lasciare il resto di mancia

lasciare o lasciare una manciata di affetto

in prestito, in franchising

la propria personalità, francamente

Franca, dovresti smetterla di essere così brava

 

parlando di qualcuno

parlare di tutto il resto

e dei pochi sconosciuti

tra i sette miliardi

tra i soliti sette gatti

che ci si sente sparlati

ed è fastidioso non sentirsi nominati.

e non posso fare a meno di infastidire

di infastidirmi, di evitare

di essere schiacciato, di schiantarmi sul gelato

E di scegliere sopra quale merda ronzare

di proclamare la mia indifferenza

nell’attesa della tua venuta.

Bzzz

amen

 

Gianluca Cappellazzo

 

[1]Baustelle, Le rane

[2]Afterhours, Quello che non c’è

[3]Fabrizio De André, Andrea

[4]Ministri, Comunque

[5]Marracash, Senza un posto nel mondo

[i]Jovanotti, Mezzogiorno. Jovanotti, gli immortali.

Bene, facciamoci del male

Solitamente la mente collega e intreccia concetti che sono poi semplici banalità.

Mettere ordine tra i pensieri ricorrenti è uno sforzo continuo e spesso inconsapevole.

I risultati per quanto ci appaiano meravigliosi inizialmente, sono poi delle altre banalità.

Insomma un pacco di apparente inutilità, da scartare o da tenere?

Il punto di partenza è che questo meccanismo non può essere fermato, ed anzi avrà la sua ragione biologica d’esistenza, bisogna poi capire che è un gioco mentale proprio, soggettivo, d’interesse solo per noi che ci ragioniamo su e che di fatto siamo l’unico universo che ci sia dato conoscere. E che ancora tra i vari moti perpetui che invadono il nostro cervello, a quanto pare non può stare fermo, c’è una grossa differenza tra concetti che abbiamo sentito, che sappiamo, da quelli che abbiamo realmente capito.

Tutto questa introduzione per raccontarvi che ogni tanto capita di capire qualcosa, e proprio quel qualcosa mi va di raccontarmi, perché? Per cristallizzarlo in qualcosa di reale, reale perché a contatto con il mondo collettivo:

Stamattina (19/06/2015) tiravo le somme (come capita spesso) sul mio fare artistico: scrivere, pensare ad opere che non realizzerò, pensare a cose da scartare e a cose da migliorare. Le conclusioni: ho avuto grandi periodi di non miglioramento. Perché? Perché non mi sono fatto del male. No non mi taglio.

È il principio naturale del rafforzarsi, della calcificazione delle tibie dei combattenti di Muay thai di Nietzche che mi dice che ciò che non lo uccide lo rende più forte (poi è morto). Come dicevo prima, un conto è sapere le cose un conto è capirle. Fino a sta mattina avevo sempre visto il detto di N. come una scusa morale da falliti o da gente che ha sofferto (certo lo siamo tutti), per darsi un briciolo di coraggio, per tirarsi giù dal letto la mattina e continuare il proprio ciclo vitale utilizzando sogni come stampelle. Prima di pranzo però ho girato la frittata, ed era splendida e l’ho mangiata.

Parlava con le parole di Nanni Moretti: Vabbè, continuiamo così, facciamoci del male. Il senso non è il suo, non è polemico, ma le parole sono giuste. Bene! Facciamoci del male! Calcifichiamo la scrittura… macché prima pers. Plur. Io parlo per me. Come posso fare per farmi del male e migliorare? Ovviamente sapevo già la risposta prima di farvi la domanda, come fanno le maestre delle medie che aspettano gli alunni all’arrivo della loro conoscenza, come se la conoscenza percorresse solo una strada. Comunque la risposta è la seguente, sono permaloso e soffro gli attacchi all’orgoglio, però quando vengo attaccato poi scrivo molto, e meglio. Quindi continuo così, mi faccio del male. L’obiettivo è andare oltre, oltre il proprio quieto vivere, non è la felicità, altrimenti non ci si farebbe del male, è un super stare, un sovrastare la mediocrità, è dedizione e sono cazzi personali soprattutto.

Lo dice anche Carmen che Myazaki se lo chiede, se essere felici sia importante. E in tre rispondiamo: “anche no”. Lo dice ancora Nietzche che se non avesse un’altra missione si preoccuperebbe di andare a letto sereno. E siamo in quattro a cercare qualcos’altro. la stagione di caccia è aperta.

Un prodotto di questa ricerca:

stucco ferite, apro finestre, conosco gente

conosco solo ragazze, per quanto valga la pena conoscere il mondo

conosco solo ragazze, per quanto sorrida spesso

e starei bene da solo, non riesco a stare solo

non mi piacciono\ i passatempi infruttuosi

e quelli propedeutici al lavoro

non mi piace lavorare finchè non lavoro

 

il tempo ci sfugge. basta indugiare

per spenderlo bene. bisogna resistere per dirselo

 

dovrei trattenermi a digiuno

sul tuo campo ingerminato

vedo quei puntini, il tuo morbillo

i lamponi che inghiotto

io che i dolci li snobbo e ti ripeto

non li voglio, ma scivola un rivolo

blu dal lato sinistro del labbro inferiore

quasi non voglio più vivere

con tutta questa vita che preme,

ostento decoro.

 

e non mi sento neanche un po’ in colpa

e fa un po’ bene pensare

che me ne sbatto il piffero

di sbucciarti quando mi viene voglia di frutta

autotrofo abborro la mente con il glucosio dei pensieri pensati

 

stucco ferite, apro finestre, conosco gente

conosco solo ragazze, per quanto valga la pena conoscere il mondo

conosco solo ragazze, per quanto sorrida spesso

e starei bene da solo, non riesco a stare solo

non mi piaccioni i passatempi infruttuosi

e quelli propedeutici al lavoro

non mi piace lavorare finchè non lavoro

 

allegria è reputare facile l’esistenza

in fondo

allegria è un’ottima aspirazione

è accorgersi che non sarebbe brutto

in finale

uscirsene in non isterica allegrezza

cennare all’abbate: che non è male andarsene

non è male come il liquore della scorsa estate

se lo ricorda il liquore che le ho rubato?

se lo ricorda come l’ha apprezzato?

 

Gianluca Cappellazzo

[Immagine tratta da Google Immagini]

La musica come passione: intervistando Sisma

Cos’è Sisma?

Copio e incollo la descrizione da Facebook, così vi evito ulteriori click e mi evito di dire cazzate:

“SISMA è un collettivo di ragazzi, musicisti o musicofili, che vuole creare una scena musicale viva, forte e sempre presente, supportando band emergenti locali affiancate da band più note nell’underground.”

Cos’è Sisma è più o meno chiaro, ma voglio approfondire, e allora decido di intervistarli, perché la loro idea mi muove qualcosa di genuino e perché suonano bene, bene che non te l’aspetti dalla scena trevigiana: come gli pare e piace, sbagliando ma riuscendo.

L’intervista è una chiacchierata tra “fioi”, nella quale provo a togliermi qualche dubbio sul loro lavoro e sulle loro idee di musica, filosofia, poesia, etc etc.

Le risposte alle mie domande sono la somma/sottrazione di più voci, non cercate quindi d’immaginare Sisma come il prodotto di una singola mente ma come un casino coerente.

Il concetto che mi ripeteranno in varie forme è semplice ed efficace: vogliamo fare musica nostra, non ci interessano le rivalità tra gruppi, non ci fermiamo anche se dobbiamo “sbatterci” per poter suonare.

Verso dove e verso cosa stiamo andando incontro è poco rilevante, fino a quando possiamo portare in giro la nostra musica.

– Sisma, sulla carta è composto da musicisti e musicofili… che ci fanno i musicofili?

Nasciamo come un gruppo aperto; musicofili possono essere persone che organizzano gli eventi, fonici, grafici, malati di musica o malati di mente. Attualmente il gruppo è composto quasi completamente da musicisti (5/6 gruppi). Forse perché quando il gioco si fa duro restano solo i più motivati.

In altre città come Padova un collettivo simile al nostro, quello dei Sotterranei, accoglie al suo interno video makers, grafici, fotografi, etc, il problema è probabilmente culturale: essendo Treviso una città non universitaria non si riesce a creare un contorno alla scena musicale indipendente.

Vado a pagare il parcheggio!

– Avete una scena di riferimento o siete voi la vostra scena preferita?

Così egocentrici?

Diciamo che l’obiettivo è quello di crearne una, perché anche se in effetti ce ne sono già diverse, ne manca una legata ad un certo stile musicale, quello underground o indie/ rock alternative. Insomma chiamalo come vuoi ma il concetto che ci interessa è quello di come si fa la musica: l’autoproduzione, lo sbattersi, credere la musica come arte, come espressione di se stessi e non come un prodotto da vendere, di cui campare, con il quale fare i fighi.

Una scena così era stata calcata da figure come la Fosbury[1] che però recentemente si è “esaurita”. Attualmente stanno sorgendo altre realtà, tutte però fuori dal centro di Treviso, noi invece vorremmo spostarci dalla periferia all’interno.

La difficoltà è trovare un luogo dove poter suonare che sia ubicato in una posizione centrale.

Tornando alla domanda sulla scena, sicuramente siamo influenzati e simili ai Sotterranei di Padova, con i quali siamo in buoni rapporti; più in generale, l’etichetta riferimento per chiunque faccia il nostro genere di musica è la Tempesta[2]

– Del mercato e della critica musicale cosa ne pensate?

Vai Mattia!

Mattia Quaglia ride e intuisco abbia già un proiettile in canna.

Sono parecchio contrario al filone di critiche positive che perennemente si legge quando si tratta di un artista della scena, possono essere i Verdena, il Teatro degli orrori, etc … la critica si limita all’elogio, bloccando quindi le possibilità di ragionamento e di crescita. Al contrario invece quando si parla di band emergenti, è fin troppo facile la critica negativa, quando proprio queste invece meriterebbero il beneficio del dubbio.

Ad esempio quando è uscito il nuovo album dei Verdena , i canali mainstream di critica, come può essere Rumore, si sono limitati a dire che oggettivamente l’album era figo, ok sono d’accordo, ma a me l’album non è piaciuto, per me una critica dev’essere soggettiva e non omologata al giudizio di chi la leggerà. Non si può vivere di sole critiche positive. Probabilmente i Verdena se ne fottono delle critiche positive -probabilmente se ne fottono delle critiche in generale-questo circolo di critiche positive è per incentivare l’idea che tutti ce la possano fare, quando in realtà non è così facile -dovrebbe essere tutto più leggero, ognuno dovrebbe dire quello che pensa, se non abbiamo il coraggio di esporci allora non facciamo questa musica ma facciamo le cover.-

Hai da accendere?

È quasi una moda, ascoltiamo i Verdena, fanno figo, chissenefrega se ci piace o meno il disco.

Mentre poi tra gruppi più piccoli appena fai una cazzata tutti sono pronti a puntarti il dito contro. Anche tra di noi. E poi c’è poco supporto e curiosità, se non piace il gruppo o il genere non si prova neanche ad ascoltarlo. O addirittura quando abbiamo detto di aver in programma il concerto del primo maggio al Django[3] in molti ci hanno detto: ci sono i comunisti io non vengo. C’è molta diffidenza a priori. Ci vorrebbe meno buonismo con i gruppi grossi e più sostegno ai “piccoli”.

Treviso si basa sull’apparenza.

Via con la lista dei gruppi del Sisma, chi consigliate di ascoltare tra i vostri ospiti a chi di musica capisce ben poco:

Sisma: Alcesti; Gli uffici di Oberdan; Super Portua; Ciclotus; Anime di pongo; Saeglopur.

Ascoltatevi gli AIM, sono bravi e stanno avendo molto riconoscimento. O ancora Captain Mantell, Altre di B, Norman, Pietro Berselli…

( se il genere vi piace spulciate la pagina Facebook  di Sisma e troverete sicuramente qualcosa da ascoltare senza dover ricorrere a Spotify per trovare qualcosa di nuovo che solletichi il vostro palato musicale.)

– Che rapporto c’è tra musica e poesia?

Davide Cadoni. parte subito

La musica è l’arte delle 5 muse, quindi al suo interno comprende inevitabilmente la poesia” dopo aver pensato per un attimo di poter chiudere qui la domanda perché la risposta è perfetta e racchiude secoli e secoli di riflessione filosofica, di pratica artistica e di interviste come la mia… mi arrivano anche le altre risposte.

La ricerca letteraria è fondamentale.

L’animo che si avvicina alla poesia è lo stesso che si avvicina alla musica. Musica e poesia sono complementari, la musica ha la capacità di trasformare il testo

Uno stesso testo con musiche diverse può cambiare l’impatto sull’ascoltatore

C’è un’intervista tra Godano (Marlene Kuntz) e Capovilla (Teatro degli orrori) nella quale si parla di musica e testi, viene fuori una differenza tra testo come avanguardia, come volontà di cambiamento sociale, contro testo come comprensione dell’animo e delle sofferenze umane e quindi come consolazione. Questo per dire che di testi se ne scrivono e se ne ascoltano di tutti i tipi.

La musica alle volte veicola la parola, altre volte è essa stessa contenuto principale..

La musica è però diversa dalla poesia pura, almeno a livello contemporaneo, per un fattore più fisico oltre che mentale; la musica è socialità.

– Utopia: dove vorreste arrivare?

Hai presente Danbilzerian?

Un centro sociale dove suonare in pieno centro

Parlando più seriamente ci piacerebbe ottenere un successo simile a quello dei Sotterranei, avere quindi un gruppo di 200-300 fans affezionati che ci seguano. Quindi un’utopia abbastanza raggiungibile.

Sì, ci “basterebbe” rendere Treviso una città viva musicalmente e culturalmente… Il comune ci dovrebbe finanziare!

Fora i schei!

A me piacerebbe che da qui a qualche anno ci fossero in centro 4-5 locali dove poter suonare. Dove ascoltare band interessanti. In poche parole che esista una scena e che diventi più facile quello che stiamo provando a fare con fatica. Creando un terreno fertile anche per futuri gruppi, facendo capire che con la voglia di sbattersi è possibile ottenere dei buoni risultati.

– Non siete poi così distanti dall’utopia o sbaglio?

Mmmh… nonostante il lavoro fatto ci sono ancora tanti che ci ignorano, e non ti parlo solo di pubblico ma anche di gruppi. Cazzo nasce una cosa del genere a Treviso ci aspettavamo più voglia di collaborazione.

Vorremmo dimostrare che il rock non è morto.

– Se vi chiedessero di aprire il concerto di Laura Pausini

Perché no?

Si ma… è Laura Pausini

Diciamo che lo faremmo per poter portare uno dei nostri gruppi a farsi e farci conoscere su un grande palco. Non che ce ne freghi di Laura Pausini.

Saremmo orgogliosi di sapere che uno dei nostri ce l’ha fatta!

– Cos’è la musica?

È l’arte che tocca più dentro. Posso piangere ascoltando una canzone. È la forma d’arte più completa. Ed è l’arte più diffusa. Si vede che è insito nell’essere umano un forte bisogno di musica.

Musica è socialità, andare al concerto con qualcuno, ascoltare una canzone con qualcuno nel momento giusto è fantastico. Ma anche suonare è un momento unico, che non è ripetibile suonando da soli a casa.

È una componente della vita.

– Cos’è la filosofia per voi?

Ce l’ho!

Vai

È etica ed estetica

Per essere etica dev’essere estetica

Filosofia è parlare dell’uomo

– Quindi, se la musica parla dell’uomo e la filosofia pure…sono la stessa cosa?

Beh.. può essere

Diciamo che si fa filosofia facendo musica, perché si comunica un messaggio

Entrambe parlano all’uomo e dell’uomo;

Entrambe  spingono a cercare il vero senso delle cose.

Però, mentre Musica è solitamente uno stimolo alla ricerca, Filosofia è la ricerca stessa.

 

[1] Fosbury, http://it.wikipedia.org/wiki/Fosbury_Records

[2] www.latempesta.org non a caso Sisma e Tempesta richiamano entrambi  già nel nome a sconvolgimenti climatici.

[3] Cso Django Treviso (Centro sociale)

Gianluca Cappellazzo

Il premio dubito

Mi è capitato di conoscere un poeta ed un premio. D’entrambi vale la pena parlare.

Del Premio Dubito e di Alberto D. tanto si è già detto ed è stato fatto bene, quindi vi lascio semplicemente la mia storia, di come ho conosciuto Alberto Dubito poeta e un po’ delle mie impressioni. Questo è quanto mi sento di poter fare per far conoscere un pelo di più la faccenda. voi in cambio provate a far crescere i vostri dubbi ed a cercare qualche risposta. (a fine pagina i link seri dove informarsi e approfondire!)

Perché parlare del Premio?

Perché nei paraggi non ci sono storie di periferie così centrali come questa.

Info basi

cos’è il Premio Dubito? è un premio di poesia in musica, l’unico in Italia, arrivato alla sua terza edizione.

nato per ricordare e onorare la memoria di Alberto “Dubito” Feltrin, morto suicida a 21 anni.

il Premio è nato su iniziativa della famiglia Feltrin, l’edizione 2015 si è tenuta al CSO Django.

La mia breve storia:

vi ricordate Alice di qualche articolo fa? la poetessa diciasettenne? insomma sta mia amica va matta per Dubito e per la sua poesia. Me ne parla, mi fa leggere qualcosa, ma non mi prende troppo.

un giorno passo al Django e vedo uno striscione “disturbati dalla cuiete” (duo rap poetico del quale faceva parte Dubito), le mando la foto su Whatsapp e lei mi fa:

-dove sei?

e io:

-in un centro sociale a Treviso.

e lei:

-e cosa ci fai là? (probabilmente stono con il contesto)

e io:

-bevo una birra, anzi due.

e lei:

-ah il discorso fila (probabilmente stono meno con la birra… mah, la visione altrui è sempre un mistero)

Allora chiedo info a una dentro al bar “Mandragola”, sapendo che è un mezzo boss del posto (i compagni sono tutti dello stesso “grado”? quanta ignoranza mi porto dentro) e mi spiega che a breve si terrà la terza edizione del Premio Dubito e chi era Alberto.

Allora riprendo il telefono e racconto dell’evento ad Alice.

Qualche giorno dopo ci troviamo lì.

Io nel frattempo con la scusa di farmi mandare del materiale per questo articolo finisce che esco con la tipa del Django. Leggo il materiale che dopo un po’ mi arriva. Ascolto dubito (Disturbati dalla cuiete c’è anche su spotify!!). discuto di poesia con varie ragazze. Penso alla poesia. Penso che sono indietro rispetto ad Alberto. Penso che è da un po’ che non progredisco. Leggo Nacci e scrivo questa:

non è garbato mettere parole in bocca

ad altri (o dita o tegole).

non è tardi fino al secondo prima

della scadenza. e tu mi dici:

il tetto è da rifare, il letto almeno

potevi rifarlo. Ma non abbiamo una casa

non ti conosco e ti vorrei tanto

mettere in bocca

delle paranoie

per sentirmi più sposato

meno spossato

meno primo

e conseguentemente

meno distaccato.

 

(la massa è nel mezzo

il primo e l’ultimo smezzano

un segreto, quando il lento

viene doppiato

il cerchio ricominciato

quando raramente, lentamente

non si corre solo per correre

ma esclusivamente per correre

e ci si dovrebbe fermare

per godersi l’altrui

affanno)

DA QUANTO HO VISTO, LETTO E ASCOLTATO IL PREMIO DUBITO è UNO DEI MIGLIORI ESEMPI DI PREMIO POETICO, E PIÙ IN GENERALE DI MANIFESTAZIONE CULTURALE PER QUALITÀ ED INNOVAZIONE DELLE OPERE PRESENTATE.

C’è poi chi lo snobba perché è organizzato dai “comunisti”. A me questo non importa, m’interessano di più le proposte nuove e le scoperte entusiasmanti.

Gianluca Cappellazzo

[Immagine tratta da Google immagini]

TUTTE LE INFO SUL PREMIO E MATERIALE SULLE PASSATE EDIZIONI: http://www.premiodubito.com/

CASA EDITRICE DI ALBERTO DUBITO: www.agenziax.it

DARGEN D’AMICO LEGGE DUBITO: https://www.youtube.com/watch?v=XBz-dIuZAUM

PERFORMANCE LIVE DI ALBERTO DUBITO:  https://www.youtube.com/watch?v=kwYLxBog_Qs

Mio fratello scrive

Che cos’è uno zibaldone? Scartafaccio in cui si annotano, senza ordine e man mano che capitano, notizie, appunti, riflessioni, estratti di letture, schemi, abbozzi, ecc.:.

Lo zibaldone è ciò che più si avvicina alla mia idea di coscienza, ciò che conosco che ricordo o posso ricordare è stato scritto perché sembrava importante, ma poi trovare un ordine all’insieme delle annotazioni è molto difficile e più si accumulano informazioni, più si fa ricco lo zibaldone personale, più la difficoltà ad unire le parti aumenta.

Ed è forse per questo che si scrive, per dare un senso alle idee che si rincorrono, Mattia ha chiamato “appunti per una guerriglia” il suo insieme di scritti e degli scritti che l’hanno colpito, guerriglia perché l’esistenza non è quasi mai una battaglia campale, accompagnata dalla tempesta e dallo squillo di trombe! ma piuttosto una lotta casa per casa, con il coltello e la pistola. E un verso, una poesia possono aiutare a ribaltare lo scontro, quando ormai tutto sembra perduto.

“Perché fatti non foste per viver come bruti” si ricorda Levi nei campi di concentramento, “stai leggero ragazzo” mi dico io nei momenti più tesi, non so da dove venga ma è una frase che ho memorizzato. E così le frasi ci seguono, questa è la cultura che m’interessa: quella che accompagna nel percorso alla comprensione della vita, alla sopportazione della vita, che spesso serve a poco, ed altre volte è indispensabile. Quella che lasci in un baule perché non è il momento per aprirla e quella che sai esattamente dove andare a recuperare quando ne hai bisogno.

 

Scrivo per non dimenticare,

scrivo per ricordare,

scrivo perché ho tempro per farlo, scrivo perché sono vivo,

scrivo perché non riesco a dormire,

scrivo forse perché l’oralità è morta,

Mattia Cappellazzo

La scrittura è qualcosa in più della sopravvivenza, ma è fondamentale alla sopravvivenza dell’intelletto… perché “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza

La scrittura è qualcosa di personale, e come tutte le cose strettamente personali, è qualcosa di universale, perché è qualcosa di umano.

Sono andato a correre. Ho svuotato la mente da ciò che non fosse necessario, da ciò che non fosse il ritmo, del mio respiro e delle mie gambe. Ho continuato a correre, a spingermi, a ignorare i polmoni. Sapevo perché correvo. Dopo l’ennesima curva me lo sono trovato di fianco, di colpo. Stessa maglietta, stessi pantaloncini, stesse scarpe, capelli più lunghi. Lo stesso percorso che avevamo fatto la scorsa volta, quando sembrava anche felice. E forse lo era.

Non importa, sapevo perché ero lì. Ho corso più forte, più veloce, ho dato fondo all’ultima riserva d’aria e l’ho lasciato indietro. Ho spostato più avanti (ma anche più indietro) i miei limiti.

Alla fine mi sono trovato seduto per terra, mi sono tolto le scarpe, e dopo mesi ho camminato scalzo sulla terra, sull’erba. Oggi è anche Primavera.

 

La Primavera non rinasce nell’erba sintetica dei vostri giardini,

nei neon dei vostri stabilimenti balneari,

nel cemento delle vostre strade,

ma nei canneti lungo gli argini dei fiumi,

nella sabbia delle spiagge più isolate,

nel pietrisco dei sentieri di montagna.

Dove l’uomo non può sentirsi padrone,

ma può solo sentirsi parte dl tutto.

Mattia Cappellazzo

Articolo di Gianluca Cappellazzo

[immagini tratte da Google Immagini]

“L’Arte come scintilla che muove l’universo”: intervista a V Spartacus

Le domande e risposte che seguono sono un estratto di un’intervista all’artista V Spartacus inserita nella mia tesi di laurea. I suoi discorsi radono al suolo il mondo dell’arte, e più che provocazioni sono verità gettata in faccia, io sono un inguaribile ottimista e quindi vedo in questa distruzione le fondamenta per il nuovo percorso dell’arte. Che poi, c’è un percorso? Penso più tosto che il primitivo che dipingeva sulle pareti della caverna e Picasso appartengano alla stessa specie quindi stesso cervello, e stessa tendenza a creare usando il pollice opponibile e qualche strumento… dalla selce al mouse. quindi no percorso, e allora dove porta la filosofia dell’arte? forse solo a girare su se stessi a perdersi, dopo la vetta… perché il punto più alto non è il cucuzzolo della montagna, ma le nuvole.

Come definisci il tuo lavoro?

L’ARTE per me è la scintilla che fa muovere i meccanismi dell’universo. Nel momento in cui cessassi di percepire la “magia” nel vissuto, tramite l’osservazione con tutti i sensi a mia disposizione, non avrebbe più senso esistere. Da questa mia profonda concezione dell’espressione, opero tramite critica ed autocritica, verso il miserabile e casalingo ruolo che ha l’arte nel nostro tempo. Tutto il mio operato, è la mia personale rivisitazione del ridicolo che mi viene proposto sotto forma di ARTE. Il SISTEMA ARTE. Credo che tutti ormai siamo al corrente di determinate dinamiche che definirei MAFIOSE grazie alle quali una persona diventa o meno nota, in ambito gallerista o museale. Si comincia pagando per esporre e poi lascio il resto all’immaginazione…Le opere che ho presentato allo Subsculture fanno parte della serie GALLERIA DELL’ARTE ACCIDENTALE. Cinque “opere” casuali, realizzate inconsciamente, ma che se ricontestualizzate, potrebbero benissimo essere inserite in una qualsiasi galleria d’arte contemporanea. In più’, ho creato una performance sul luogo: ho rovesciato un cestino di cartacce ed ho messo un quaderno vicino all’OPERA per avere delle critiche dal pubblico. Un successone…mi é’ stato pure proposto di esporre da altre parti. Ho riso di questa offerta con amici e parenti.

“Provoke the universe for business”, come vedi il mercato dell’arte attuale?

PROVOKE THE UNIVERSE FOR BUSINESS è una delle mie MISSION, possiamo dire. È uno slogan legato al mio progetto CONTROVERSY RECORDS, sotto questo marchio produco t-shirts, musica ed altri gadgets in cui appunto la provocazione è il filo conduttore. Attraverso varie chiavi come l’ironia, il sesso e l’attualità, lancio messaggi contraddittori al fine di far pensare. È una provocazione nella provocazione, dal momento in cui provoco per creare reazione e dunque energie positive nella contrapposizione. Non avrei mai creduto in un ritorno economico, vista l’ipocrisia del tutto, lo cominciai come esperimento sociale, ma invece il progetto dopo un primo momento di semplici boutade (come avevo ipotizzato all’inizio) comincia a dare frutti in un senso (seguito e scontro con le entità insultate) e nell’altro (ho cominciato a coinvolgere artisti emergenti eliminando la critica a se stante per creare grafiche costruite sulla realtà e sul pensiero). Sul serio non riesco a smettere con questa cosa, mi diverto troppo. Un giorno ho pure litigato con la segretaria di Prince per i diritti del nome Controversy Records (Accusa caduta con tanto di scuse…). Per quanto riguarda il MERCATO ARTISTICO purtroppo ho conosciuto solo i confini di tale COSTRUTTO D’IPOCRISIA. Sul serio, dopo svariate esposizioni, ho rigettato il meccanismo in cui stavo entrando. È una sorta di percorso alla Scientology o quelle aziende a struttura piramidale. Ho visto gente uscire dall’accademia con mostre in tutta Europa già organizzate (cocchi di qualche prof…) ho visto gente investire risparmi per pagare partecipazioni a mostre mercato su mostre mercato. Ho visto gente praticamente prostituirsi accompagnandosi con persone anagraficamente non compatibili pur di assicurarsi un posto in galleria. Poi vedi Jeff Koons sputare per terra e farsi quotare lo sputazzo 9 milioni di euro. Leggi lo stesso Cattelan dire che “se non sei simpatico a quei cento investitori milionari nell’arte non sarai nessuno”. Cosa penso del mercato artistico? Ho lo stesso parere per Cosa nostra e la Camorra.

Come consideri la mercificazione del prodotto artistico?

La mercificazione. Ho due diversi modi di vedere la cosa legata all’arte.

1.La mercificazione dell’OPERA unica, la ritengo bieca ed artefatta. Guardiamo i fatti: come si può dare un valore al pensiero di una persona? Anni fa’, fui ripreso da “colleghi” artisti perché alle collettive mettevo “Offerta libera” dietro alle opere in vendita (esiste un prezzario in base alla misura, mi fu’ detto…). Sul serio, non ho saputo mai dare un valore all’opera singola. L’espressione in ambito contemporaneo dovrebbe essere funzionale al progresso, al futuro, ai costumi ed alla cultura in genere. La produzione in questo settore dovrebbe essere esposta gratuitamente, in luoghi appositi, perché TUTTI possano “arricchirsi interiormente” con messaggi o visioni. L’artista dovrebbe impadronirsi di nuovo del ruolo di protagonista nella storia del genere umano e non di prostituta intellettuale (inserisco anche gli artisti che hanno lavorato su commissione nella storia conosciuta). Forse l’ultimo artista in questo senso é stato un uomo di Neanderthal.

2. La mercificazione dell’arte utilizzata negli (e sugli) oggetti di consumo invece, la ritengo NECESSARIA. Necessaria per tutte le persone incastrate in questo sistema iper-capitalista e consumista. La creatività aiuta a combattere la standardizzazione, se ricercata e ben applicata. Lo stesso meccanismo sistemico soffocante che sacrifica vite alla divinità economica, ci mette nelle condizioni di diventare dei professionisti nell’applicazione creativa sulla produzione industriale. Ho sempre ammirato gli artisti impegnati sui grandi marchi. È sicuramente più sincero di esporre per quei tre gatti che ti prendono l’opera e la murano nel loro museo personale. Nell’industria un artista lavora per tutti (o tanti). È paradossale, ma svegliarsi la mattina e vedere un’opera di Liu Wei sul barattolo del caffè mi dà vibrazioni positive. È un idea condivisa e confrontata con milioni di persone.

Come sei entrato in contatto con Subsculture?

Sono stato scelto dal direttivo. O almeno da alcuni membri. I ragazzi che hanno organizzato fanno parte anche di altri progetti, con cui ho collaborato in passato. In particolare FOETUS rivista. FOETUS rivista è una fanzine che raccoglie scrittori, fumettisti, musicisti, stilisti e molto altro, tutto a livello underground. In seguito a questa collaborazione Lenny Lucchese (noto fumettista) ha realizzato due t-shirts per CONTROVERSY RECORDS (“No violence? Wrong choice!” e “What?”). Penso sia stato lui il mio massimo sponsor in Subsculture. Lenny dà un nuovo significato allo stereotipo di ARTISTA POLIEDRICO.

Che ruolo ha l’esposizione nel tuo fare Arte?

Mi sono sempre fatto tanti amici alle esposizioni, conosciuto nuovi collaboratori. Alla fine sono un utilitarista. Però l’avvenimento in se mi annoia. Mi sembra di essere un venditore di frutta al mercato. Infatti sono parecchio evanescente in questi casi. Mi presento il giusto per conoscere gli altri artisti in esposizione e fare le chiacchiere SUFFICIENTI coi visitatori. Anche tra i visitatori ho conosciuto elementi interessanti. Molte volte venute li per criticarmi. Però è utile per farsi conoscere. Esporre OPERE è così, invece con altre forme d’arte tipo le tshirts mi trovo molto più a mio agio. Le indossano le persone come un virus. Mi diverto quando capita che in un determinato luogo qualcuno indossa una mia t-shirt, ed altri commentano. Puoi raffigurarmi come un voyeur dietro una tenda che spia la vicina mentre si spoglia. È calzante.

Che peso hanno la storia dell’arte e la critica d’arte nel tuo lavoro?

La storia dell’arte per me è fondamentale. Parlo degli artisti del passato o contemporanei come parlo dei mie compagni di bevute. Ma come per la storia ufficiale so perfettamente che a noi non sono arrivate tutte le informazioni che ci dovevano arrivare. La storia la fa’ chi vince no? E non vince sempre chi dovrebbe. Per i critici invece, scrissi quello che penso di loro in un articolo del mio blog (Artburner) e te lo riporto:

[…] Immaginatevi un uomo primitivo, rozzo, sporco e scimmiesco, con i capelli arruffati e nessun gusto nel vestire. Immaginatelo intento a raffigurare il prodotto di una fantasia, un sogno od una visione con rudimentali colori sulla parete della sua caverna. Un colpo di genio, uno slancio espressivo, ciò che in futuro verrà denominato PITTURA RUPESTRE, una rivoluzione per l’umanità che continua tutt’ora ad essere praticata in svariate forme…e nessuna novità, ma questo è un altro discorso… Torniamo al nostro uomo preistorico, preso dall’enfasi di rappresentare ciò che ha dentro, aggredendo quella parete di pensiero colorato. Immaginatelo con alcuni membri della sua tribù dietro ad esultare, per questa stupefacente novità, producendo una serie di gutturali versi… Ora, sempre con quest’immagine in testa, osservate l’omino preistorico alla destra dell’artista. Piccolo, più peloso degli altri. Non ride, non esulta, non grida. Le donne della tribù non lo considerano, gli uomini non gli affidano nemmeno il giubbotto durante le risse. Di lui nella tribù dicono: “grgrfggfrgrg rgrgrfgfrgrf” (che tradotto sarebbe << Come non capisce un cazzo lui, non lo capisce nessuno>>). Ecco, riuscite a raffigurarlo? Ebbene, un secondo dopo il termine dell’opera da parte del nostro artista primate lui sentenzierà: ” ggrghrg rghrgrhgr” (Tradotto <<Sei molto immaturo come artista>>). Questo primo critico d’arte della storia ho ragione di credere sia stato massacrato a colpi d’osso e pietra, ma qualcuno in maniera infausta fu’ subito pronto a raccogliere in segreto la sua eredità, continuando questa stirpe maligna fino ai giorni nostri. Ora il mercato é in mano a persone che con la loro critica al niente condizionano carriere e creano enormi merde snob. La cosa é peggiorata parecchio dai tempi della Preistoria… […]

A conti fatti esporsi ti rende soggetto a giudizio e sarebbe infantile evitarlo

Come vedi il triangolo artista- museo/critico d’arte- spettatori ?

Diciamo che in parte ti ho risposto nelle precedenti domande, però aggiungo che ho sempre tentato di evadere da questo triangolo. Un esempio: mi sono sempre relazionato ai miei spettatori come un Geova che li deve convertire. Li voglio convertire in artisti, per l’appunto. Ho una fissa per scoprire e far sviluppare il lato creativo delle persone. Forse perché arricchisce il mio. Altra forma di evasione la sto progettando in questi giorni: si tratta di un opera collettiva potenzialmente infinita (o non-finita). Comincerò un opera su supporto e poi la darò da continuare ad un amico che dipinge o comunque produce artisticamente. La regola è che potrà fare e farne ciò che vuole ma deve documentarlo ad un indirizzo mail. Così avremo uno storico, finché si riuscirà. Ecco due esempi ma ho sempre tentato nuove forme alternative al convenzionale. Non rinnego completamente l’esperienza gallerista o museale, sia come artista che come spettatore ovvio, ma mi piacerebbe vedere molta più varietà di strutture e situazioni in un ambito in cui é un caposaldo l’immaginazione e la fantasia.

Per te cos’è la filosofia?

Per me la Filosofia è il collante dell’esperienza vita. La Filosofia come materia è il resoconto di uomini e donne straordinari che nel corso della loro esistenza si sono fatti qualche domandina. Addirittura, mi interessa più la vita dei filosofi rispetto ai pensieri degli stessi. Si perché, mettere in pratica o rapportarsi al reale dopo aver teorizzato cose altissime, dice tutto sulla vera natura dell’uomo stesso. Vera o veritiera. Nel corso delle mie letture di Filosofia Amatoriale, mi sono appassionato a più periodi ed a più FIGURE…da Talete a Foucault, da Marco Aurelio a Baudrillard, da Rousseau a Debord. Ma come dimenticare il grande Cratete da Tebe, che voleva suicidarsi dopo essersi fatto sfuggire una rumorosa scurreggia durante un orazione. (In realt`a Diogene lo istruì da Stoico e gli fece conoscere il lato affascinante della dissolutezza.). La vita va presa con filosofia…

Gianluca Cappellazzo

Speranza: Die hard

 

Non muore la speranza

 

Non muore la speranza

si scioglie solo

dentro un corpo

freddo…

 

Resta fissa

in un mondo caotico

confondendosi

nei vostri pensieri

e diventa aria

dove l’aria è polvere.

Con occhi di ghiaccio

velati da un vapore…

che si sgretolano al calar della sera.

 

Ma non muore la speranza,

colei che muore è lei,

piano…

serena…

dolce e leggera.

Macrina Barea Cerap

Sono arrivato a casa dopo una mostra, era andata abbastanza bene, bene. I rapporti umani erano stati troppi, io confuso, avevo esagerato in esuberanza. Mi dicevo: meglio così che fingere indifferenza, spremi la vita finché fa male. Senza qualche scusa si sta li a rimuginare per troppo tempo e il tempo non è mai troppo.

Stanco ma senza voglia di addormentarmi, mi sono infilato sotto le coperte, mi sono infilato le cuffiette alle orecchie come qualsiasi altro sedicenne (ho 22 anni), ho scelto la prima canzone e le altre si sono susseguite automaticamente (con qualche skip devo ammettere) ed hanno dipinto il mio stato di solitudine: “ora tarda, c’è bufera/ dormo solo con la tv accesa/ questa camera è spoglia come la mia anima/ spero la notte sia rapida/ e il cuore è un vecchio apparecchio in disuso/ siamo fantasmi in un guscio/ e mangio fissando il muro tanto/ mai a nessuno è importato un cazzo… ”

E così via…

In sostanza ho dormito male tutta la notte, passando da un incubo a un sogno meno agitato, con la sensazione di non riuscire più a venirne fuori, ma lo volevo, eccome se lo volevo, la speranza non era morta…. Chissà, magari sarei ancora lì. La speranza non muore ha ragione Macrina, si nasconde si scioglie ma non muore. Perché la speranza non è un’invenzione la speranza è di tutti, come il coraggio o il naso. La speranza è l’unico futuro che conosco. È resistere ed è una cosa INTIMA.

È mezzogiorno, mi alzo, è tutta la notte che voglio bere una spremuta (ma non avevo voglia di alzarmi) e quindi spremo subito 3 arance… buonissima! Sto bene, la speranza aveva ragione.

La propria croce la si porta da soli, e anche l’uomo che ama gli altri sa cos’è la solitudine, la diffidenza, l’orgoglio, il rancore. Ma io dico “Dominati, e gli altri ti sopporteranno” (E. Pound) lascia alla notte ciò cheti ha afflitto, non scaricare sugli altri ciò che non gli compete, non sentirti speciale perché soffri, ma pensa che anche il tuo professore, il tuo capo, lo sbirro, il giornalaio che non saluta alla mattina, tua madre, tua zia, non il gatto, non il cane, il tipo seduto al tavolino, hanno avuto notti insonni, hanno avuto voglia di mollare tutto, di buttarsi su qualcuno e scaricare una parte del peso che si portano dietro per diritto di nascita. e quindi? Quindi niente, sono solo considerazioni nella mia personale strada alla conoscenza. È un tentativo di fissare delle riflessioni, perché i sentimenti sono mutevoli, e da quelli spesso partono i nostri ragionamenti e non dalla somma ragione.

La solitudine non è come la speranza, non è una cosa che hai dalla nascita, ha le stesse caratteristiche della musica o del paesaggio, modifica il nostro sentire per lassi temporali brevi, e certo è un sentimento attanagliante, ma sapere che è volatile fa perdere forza alla sua presa.

E quindi? Quindi sta mattina c’è il sole, un po’ di casino in casa perché è domenica, ma sto bene, quindi non mi sposto.

Gianluca Cappellazzo

[Immagini tratte da Google Immagini]

Dalla poesia all’uomo

 

Lo ammetto in partenza, il discorso non è utile ma è personale, forse sarebbe stato più fruttuoso un tutorial di make up, In ogni caso il fatto è questo: sto leggendo le poesie di Marco Coppe e le seguo, ne vedo la qualità ma ancora non riesco ad entrarci, c’è qualcos’altro qui vicino che fa fuoco fuochino e dal quale sono attirato. Seguo quel richiamo e capisco: quello che sto cercando nella poesia è la grandezza dell’uomo (“cercavo grandi uomini ed ho trovato solo le scimmie dei loro ideali” F. Nietzche), cerco specchi, cerco confronti, scontri. E lo so che il discorso continua a farsi banale

“…

è solo che siamo banali

e vorremo essere balene

bianche

in un oceano

che conosce il nostro destino

e che ci culla in grembo”

Gianluca Cappellazzo

ma una risposta alla mia esigenza inizio a trovarla: se cerco la raccolta di poesie Direzionidiverse su Google trovo molte sue poesie pubblicate in vari siti, trovo il suo sito e dentro a questo delle fotografie e poi ripenso al fatto che, anche se per vie traverse, sia stato lui a trovare me… ostinazione, caparbietà.

e rileggo ora le poesie, ora che l’uomo mi da fiducia, che conosco l’impegno e sento l’essersi buttato dal dirupo con poesie mature ma anche con quelle più acerbe, perché una vola partorite meritano di essere viste crescere. Ecco che lo scorgo, gli vado a presso e lo colgo: un legame stretto, indissolubile anche se sofferente, con la poesia, così come lo vorrei anche io, e sono felice di aver incontrato quest’uomo.

Amaro

La poesia

più non conquista l’animo

in questo deleterio mondo.

Ahimè io rimango

ancor ancorato ad essa,

fino all’ultimo respiro

trasudandone l’essenza

Marco coppe da Direzionidiverse

Sempre la poesia chiude il cerchio, e costringe il concetto dentro la sua botte, ci sono versi, come questi, che ti porti in tasca e quanto non te l’aspetti si aprono da soli.

[…]

Strappa da te la vanità,

Ti dico strappala.

Ma avere fatto in luogo di non avere fatto

questa non è vanità Avere, con discrezione, bussato

Perché un Blunt aprisse

Aver raccolto dal vento una tradizione viva

o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata

Questa non è vanità.

[…]

Ezra Pound

Quando a muovere la ricerca artistica c’è un bisogno profondo e non la vanità allora il lettore/spettatore cessa di essere diffidente, quando Marco mi dice che trasuda l’essenza della poesia mi pone in mezzo ad un bivio, o la sua è una semplice iperbole poetica e per me ha poco valore, o è realtà o ci si avvicina molto, e allora posso accogliere la cosa con meraviglia, e tramite l’arte creare un ponte da me ad un altro uomo, con suoi problemi, i suoi dubbi e la sua forza: con la sua umanità

“No man is an island entire of itself; every man

is a piece of the continent, a part of the main”

John Donne

P.S. per chi volesse immergersi nella poesia e nelle immagini di Marco Coppe consiglio il suo sito http://www.coppemarco.it/

Gianluca Cappellazzo

[Immagini tratte da Google Immagini, opere di Magritte]

Poesia senza poeta

Bisogna in ogni caso insistere sul fatto che il poeta deve sviluppare o acquisire la coscienza del passato e continuare a svilupparla per tutta la sua carriera. Ciò facendo, il poeta procede a una continua rinuncia al proprio essere presente, in cambio di qualcosa di più prezioso. La carriera di un artista è un continuo autosacrificio, una continua estinzione della personalità. […] quanto più perfetto è l’artista, tanto più rigorosamente separati resteranno in lui l’uomo che sof­fre e la mente che crea, tanto più perfettamente la mente assimilerà e trasmu­terà le passioni che sono il suo materiale. T. S. Eliot

Vociferare attanagliante

Latte torbido

Putrefazione di un riflesso puro

Sabbia sgretolante malvoluta

e bagliori pesca di una notte

mai voluta

Sordo assordato assordante

 assoluto

povertà indiscriminata

schiavi tristi e nostalgia

nobiliare

Alice Amico

Alice ha diciassette anni, e non penso abbia studiato il correlativo oggettivo di Eliot. So per certo che conosce lo “stream of consciousness”. Non so se Eliot abbia completamente ragione sull’abbandono della personalità, ma so che Matisse dipingeva con la cravatta. Sono quasi sicuro che Alice non conosca Eliot, e sono quasi sicuro che Eliot abbia mischiato l’uomo che soffre e la sua mente prima di dividerle. Sono sicuro sicuro che artista sia chi punta a “qualcosa di più prezioso”, chi si fa madre e cova il proprio figlio, chi il figlio lo scaglia come fa l’arco con la freccia [L’immagine è di Kahil Gibran il profeta.]. E penso che del resto del nostro passato siamo costituiti, eccetto che per quell’attimo (quell’unità di Plank) che è il nostro presente, e che quindi questo e la nostra personalità costituiranno inevitabilmente il DNA della poesia, ma essa contemporaneamente sarà altro da noi proprio perché dal nostro corpo e dalla nostra mente si stacca per entrare a far parte del mondo sensibile.

In un’altra parte del discorso di E. il fare poesia viene accostato ad un processo scientifico, la mente del poeta è vista come un filamento di platino, il quale introdotto in un ambiente contente ossigeno e biossido di zolfo crea acido solforico, “ciò nonostante nell’acido che si è formato non c’è traccia di platino, né il filamento risulta toccato dal processo”. Non sono sicuro che l’arte sia totalmente assimilabile al processo descritto, e tuttavia il mio è un invito a riflettere sulla precedenza dell’arte generata rispetto a chi la genera, è allo stesso tempo uno sputo su un occhio agli artisti creati da critici e agenzie di pubblicità, all’artista elevato a semi-divinità di modo che anche una sua pisciata sia presa per oro liquido. Invito a guardare/ascoltare/annusare ogni opera d’arte come un tentativo di creare “qualcosa” di bello o di buono, ad osservare con pazienza e senza pregiudizi, e consapevoli che il giudizio non è sulla creazione ma sulla nostra percezione di essa, il chi l’ha generata deve importare solo dopo, molto dopo.

Non sono sicuro che l’artista esista, sono convinto che non sia l’abito a determinarlo, sono convinto che l’arte esista, che la poesia sia, e non so se Alice sia d’accordo con Eliot o con me ma le rubo tre versi per spiegarmi meglio:

Rifletto

Sono un cerchio concentrico

Concentrato

P.S. il fatto che Alice abbia 17 anni non è rilevante né in positivo né in negativo, l’importante è la sua poesia: ricca di tentativi coraggiosi e di riuscite meravigliose… inoltre tengo a precisare che questo articolo non sarebbe esistito senza un nostro scambio di opinioni.

Gianluca Cappellazzo

[Immagini tratte da Google Immagini]