Ci sarebbero state moltissime cose da poter dire all’indomani degli attacchi terroristici che hanno colpito il Regno unito nel giro di pochi giorni; il primo a Manchester, intorno alle 22.30 di lunedì sera, che ha ucciso più di venti persone e ferendone oltre sessanta, tutti giovani e giovanissimi in uscita dal concerto di Ariana Grande al Manchester Arena; il secondo a Londra, quasi alla stessa ora ma di sabato, che ha visto la morte di sette persone ed il ferimento di altre venti.
Molte cose, tante, diverse.
Avremmo potuto dire: «Resteremo ancorati ai nostri valori, non cederemo all’odio, non risponderemo al male col male. Non ci lasceremo andare a ritorsioni inutili, perché sappiamo che le azioni militari in Paesi che non sono di fatto i mandanti dell’attacco non farebbero che sostenere la retorica anti-occidentalista dei terroristi, alimentando un circolo infinito di odio e violenza.»
Avremmo potuto dire: «Resteremo ancorati ai nostri valori: non ci faremo sopraffare dalla paura, crediamo alla ragione ed alla sua capacità di contenere e indirizzare anche le emozioni più distruttive. Non daremo spazio alla paranoia, risponderemo seriamente alle minacce effettive senza alimentare un’atmosfera tesa e velenosa, che porta i nostri cittadini a guardarsi l’un l’altro con sospetto e che distrugge dalle fondamenta il nostro tessuto sociale. Indagheremo con serietà e prenderemo le dovute misure di sicurezza per impedire che mostruosità del genere avvengano ancora, ma ci rifiutiamo di creare uno Stato di polizia che alimenti sfiducia e paura piuttosto che quietarle.»
Avremmo potuto dire: «Resteremo ancorati ai nostri valori, e ci rifiuteremo di seguire chi ci dice che la nostra civiltà passa attraverso l’esclusione, la discriminazione, la ghettizzazione, la marginalizzazione. Non daremo ascolto a politici e capipopolo xenofobi che parlano alla pancia delle persone, che sfruttano il dolore e la paura per aumentare il proprio prestigio e il proprio potere, e che dividono le nostre città tra “ben accetti” e “indesiderati”. Noi crediamo in uno Stato di diritto che riconosce tutti uguali di fronte alla legge, e non ci lasceremo incantare dalle sirene di chi chiede a gran voce uno sguardo pregiudizievole e prevenuto da parte delle forze dell’ordine, che invoca rastrellamenti, che pretende si neghino i più basilari diritti umani, di movimento, di espressione, di culto, a chiunque non rientri nel novero dei cosiddetti “nativi”. Non crederemo alle generalizzazioni di chi vuole dividere il mondo in gruppi e categorie, ma anzi, lavoreremo fianco a fianco con le comunità da cui i terroristi provengono, per far sì assieme a loro che nessun giovane cresciuto sul nostro territorio pensi mai più di rispondere a un disagio sociale endemico abbracciando scelte abominevoli come quelle proposte dai vari gruppi terroristici.»
Avremmo potuto dire: «Resteremo ancorati ai nostri valori, e non sacrificheremo la nostra umanità alla sicurezza, non lasceremo che degli innocenti muoiano per accontentare razzisti e paranoici, non chiuderemo i nostri confini nell’illusione di poter riportare il mondo a un’epoca passata di isolazionismo e protezionismo, convinti di ritrovare così sicurezza e benessere. Continueremo ad accogliere chi fugge dalla fame, dalla guerra, dalla carestia, presentando loro una società aperta, che condivide prima di tutto le proprie conquiste umane e politiche, rompendo così una catena di risentimento che viene alimentata da respingimenti e maltrattamenti.»
Avremmo potuto dire davvero tante cose.
Invece, abbiamo detto: «Resteremo ancorati ai nostri valori, continueremo ad andare ai concerti»1.
Considerate tutte le componenti in gioco nella guerra asimmetrica in corso tra “Occidente” e IS, dal divario socioeconomico ai trascorsi coloniali e neocoloniali, ridurre tutto a uno “scontro di civiltà” appare quantomeno inesatto, se non volutamente strumentale. Adottare questa definizione, però, dovrebbe dar modo al mondo occidentale di riesaminare se stesso, di rafforzare i valori e i principi che ne costruiscono l’identità e che ne hanno plasmato la cultura e la politica. Quello che emerge, però, nella glorificazione pubblica dei “valori occidentali”, è il più delle volte una vuota rivendicazione di uno stile di vita decadente e consumista, la cui unica utilità è fomentare in patria l’individualismo e il disinteresse, e fornire ottimi strumenti alla propaganda ipocrita e moralizzatrice del sedicente Stato Islamico. Considerata la disparità delle forze in gioco, dovremmo ritenerci fortunati: se questa fosse davvero una guerra di civiltà e di culture, non avremmo niente da mettere in campo.
Giacomo Mininni
[Immagine tratta da Google Immagini]
NOTE:
1La frase in questione è stata diffusa ampiamente sui social e sui mezzi d’informazione, anche durante la conferenza stampa del Connestabile Ian Hopkins (qui).